Il rappresentante del popolo Alfonso Papa sta ancora sotto chiave in una cella di Poggio­reale e i magistrati che ne hanno preteso l’arresto, autorizzato dal Parlamento per la prima volta nel­la­sua storia per reati che non fosse­ro di sangue, dicono che non pos­sono concedergli gli arresti domi­ciliari perché quel tristo deputato, con le sue arti e la sua scaltrezza diabolica, se si trovasse a vive­re fra il salotto e la cucina di casa sua, saprebbe manipolare le prove. Diavolo d’un uo­mo. La sua abilità, e la paura che ispira, mi ri­cordano quella canzon­cina dialettale che esiste in tutte le versioni regionali e che dalle parti mie suona così: «Una sorcaccia intrepida nel mio camino entrò, tutta la notte rosica la cassa ed il comò.

In tredici o in quattordici l’annassimo a cercà, co li fucili carichi dove la bestia sta. Sentite che fece quella be­stiaccia: ci saltò in faccia e ci fece scappar, sentite che fece quella bestiaccia: ci saltò in faccia e ci fece scappar». Così mi sembrano questi intrepidi magi­strati che ottengono dal Parlamento della Repubblica ciò che mai fu concesso prima da un Parlamento della Repubblica: la con­segna di un membro eletto delle Camere dal sovrano elettore, perché possa essere privato non soltanto della sua libertà perso­nale, ma della possibilità di assolvere i suoi doveri, ma che dopo due mesi fa ancora una enorme paura, tanto che lo devono te­nere rigorosamente chiuso in gattabuia, es­sendo poco sicuri delle prove raccolte.

E qui un inciso, anzi una domanda: ma chi l’ha detto che a un deputato in carcerazione preventiva (perché di questo stiamo parlan­do e non di espiazione di una pena) possa es­sere sequestrato il diritto-dovere di votare le leggi secondo il mandato dei suoi rappre­­sentati, magari per via telematica dalla gat­tabuia in cui si trova? Dove sta scritto che la funzione dell’eletto decade se questi è mo­mentaneamente privato della libertà e non per espiare una condanna? I magistrati, come gli intrepidi cacciatori della canzoncina popolare, dopo due torri­di mesi estivi che certamente non avranno passato sotto l’ombrellone ma chiusi nei lo­ro uffici, hanno dunque ancora paura che Papa possa inquinare le prove. Il che vuol di­re, se la logica non viene meno, che ancora non hanno messo insieme uno straccio di fascicolo con prove solide e non più inqui­nabili. Ma che discorso è questo? O questi funzionari dello Stato non sanno fare il loro mestiere, che è quello di mettere insieme prove non inquinabili, oppure hanno altro in mente.

Qui non parlo da giornalista, ma da deputato: e da deputato ho l’obbligo di decidere se siamo di fronte a richieste com­pre­nsibili o se c’è anche il fumus persecutio­nis che va al di là delle esigenze di giustizia. Ed è francamente incomprensibile che do­po due mesi ancora si giustifichi la galera con il possibile inquinamento delle prove. E questo dubbio si fa molto più solido di fronte all’allegra e spensierata sorte capita­ta al senatore del Pd Tedesco che se ne va li­bero e bello dimostrando che esistono due pesi e due misure. Fino al caso di Papa il Parlamento non aveva mai concesso l’arresto di un suo membro, salvo che per fatti di sangue, ma in realtà neanche per quelli perché i deputati da arrestare si erano già rifugiati all’estero. Ma dall’arresto di Papa e nell’orrido clima che sta montando, siamo passati ieri a vota­re la richiesta di un altro arresto preventivo per il deputato Milanese, non concesso per motivi politici e non di principio, ma con la partecipazione di sette franchi tiratori della maggioranza che hanno votato per le ma­nette.

Questo dimostra che anche tra le for­z­e politiche si è perso il principio democrati­co di tutela del Parlamento come bene del popolo, il quale popolo è stato invece riedu­cato a dosi massicce di odio e ad applaudire gogne, forche e galere preventive». È l’aggettivo «preventivo» che fa la diffe­renza: se si trattasse di concedere l’arresto di un deputato condannato definitivamen­t­e dopo un processo che lo avesse dimostra­to colpevole, non ci sarebbero questioni. Ma ora si gioca tutto sull’umiliazione della sola maggioranza e questo obiettivo preve­de appunto l’uso mediatico della galera «preventiva» che, diversamente dalla legge che è uguale per tutti, è invece uguale soltan­to per alcuni, come si è visto dal caso del se­natore democratico Tedesco. Siamo dun­que all’uso di gesti di grande impatto emoti­vo, come ai tempi di Mani pulite, di cui sta per celebrarsi il ventesimo anniversario.

Allora una serie di sedute mediatiche nel tribunale di Milano, con Antonio Di Pietro nelle vesti del mattatore, decapitarono la Repubblica di tutti i partiti democratici che l’avevano fatta nascere e crescere,aprendo la strada alla cosiddetta seconda Repubbli­ca, nata dalla disperazione e dalla delegitti­mazione della prima. Ora si dovrebbe dire che tira aria di terza Repubblica, ma non è più il caso di giocare con le parole: il clima è quello di una messa in stato di arresto virtua­le e occasionalmente materiale del Parla­mento, facendo leva sull’impatto di inter­cettazioni che spesso non hanno nulla, dal punto di vista della raccolta di prove per la contestazione di reati, a che vedere con la giustizia ma molto con i titoli dei giornali. Quell’impatto viene cercato con accani­mento e con spesa di denaro pubblico fino­ra mai visti e suggeriscono l’immagine di una gigantesca caccia alla volpe: Berlusco­ni (e i suoi) con tutte le enormi magagne e imperdonabili imprudenze, è diventato il «cinghialone numero due»,essendo stato il primo Bettino Craxi.

Questa caccia al cin­ghiale è costosissima e richiede mille schioppi, mille cani, mille forconi e un eser­cito di inservienti in livrea che suonano le trombe e i corni. In questo panorama, il deputato Papa re­sta, come dicono nella Capitale, al gabbio perché le prove sulle sue malefatte, le stesse usate per chiedere con clamore il suo arre­sto, dopo due mesi non sono ancora di ma­­teriale solido, ma informe, manipolabile al punto che lo stesso Papa, se fosse agli arresti domiciliari, potrebbe farne palline del tipo di quelle levigate dai laboriosi stercorari, quei coleotteri che sono specialisti nell’arte di dar forma ai rifiuti organici. E questo ci sembra inaccettabile, ingiustificabile e in­credibile. Il giornale, 23 settembre 2011