Archivi per settembre, 2011

IL BENGODI INCONSAPEVOLE, di Mario Sechi

Pubblicato il 25 settembre, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Il debito. Berlusconi. Gli scandali. Il realismo. Machiavelli. E poi? «La dolce vita». «Ciao, bella». La Ducati. Gucci. Prada. Dolce e Gabbana. Antipasti di peperoni. Nella mia lettura quotidiana della stampa estera il Financial Times e il Wall Street Journal sono i primi della lista. Dopo viene l’Asia Times con l’imperdibile rubrica di Spengler e qualche quotidiano francese, giusto per avere ogni giorno conferma della non superiorità dei nostri cugini. Anche la lettura di ieri conferma un’altra cosa che apprendiamo solo quando stiamo a lungo all’estero: l’Italia è uno dei posti più belli dove vivere. Siamo stati per lungo tempo un Paese di migranti, di gente in cerca di fortuna. Fatevi raccontare le peripezie e le sofferenze di chi ha lasciato la Patria. Andate a leggere gli epistolari. Scoprirete la grande nostalgia che pervade l’anima di chi è lontano dal villaggio, dalla città, dal sole, dal mare, dalla montagna, dal cibo, dal vino, da quello straordinario cocktail che è l’Italia. Se volete un’altra conferma sul nostro Bengodi inconsapevole, leggete gli annunci delle case da sogno di Sotheby’s e Christie’s, l’Italia è un enorme mercato del lusso, il buen retiro sognato da milioni di super-ricchi. Come fa un Paese con una ricchezza delle famiglie largamente superiore a quella della potentissima Germania a uscire dalla crisi del debito? Come fa una nazione mutevole a ritrovare l’orgoglio, la creatività e la forza del boom economico che tra gli anni Cinquanta e Settanta la risollevò dalle ceneri della guerra? La chiave di quella rinascita fu l’industria, la manifattura, una classe imprenditoriale geniale e infaticabile. I governi ne assecondarono il talento e la affiancarono con una politica industriale da grande potenza. La nostra vita a debito cominciò dopo quel periodo. E fu un errore colossale. Così abbiamo perso il carattere, lo spirito dell’impresa, la visione del futuro. Sì, oggi è il Palazzo il grande imputato, ma cari industriali, rileggete le opere dei vostri padri e nonni, vedrete che facevano meno manifesti e passavano più tempo in fabbrica a sudare e inventare. E se questa politica non vi piace, allora fate voi il passo: misuratevi con la cosa pubblica. Scoprirete che l’Italia è ancora tremendamente ricca e bella, ma riformare gli italiani di oggi è un’impresa titanica.  Mario Sechi, Il Tempo, 25 settembre 2011

A NAPOLI I CLAN PAGAVANO 10 EURO PER UN VOTO ALLE PRIMARIE DEL PD

Pubblicato il 24 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Napoli - Una dozzina di nomi o poco più: secondo l’inchiesta sulle primarie Pd aperta dalla Procura di Napoli sarebbero diversi personaggi legati al mondo della camorra di Miano, quartiere limitrofo a Secondigliano, ad avere gestito nel famigerato seggio di via Janfolla, le consultazioni (poi annullate) indette per scegliere il candidato a sindaco di Napoli. Il nome del clan non è un mistero: è quello dei potenti Lo Russo, famiglia con le mani in pasta dappertutto: droga, estorsioni ed ora – a quanto pare – anche in politica.
In base all’indagine condotta dal Procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, per portare a votare il popolo del Pd nel seggio di via Janfolla, dove stravinse con 1.067 preferenze l’europarlamentare Andrea Cozzolino, di stretta fede bassoliniana (al secondo posto Umberto Ranieri, vicino al capo dello Stato Giorgio Napolitano, con appena 208 voti) furono sborsate promesse e soprattutto fior di quattrini.
Ci sarebbe stato un vero e proprio tariffario per convincere i napoletani ad andare a votare alle primare Pd. Dieci, venti euro, finanche 50 o una spesa di poche decine di euro per votare il candidato prescelto. Pane, latte, carne, yogurt in cambio di un voto, in un quartiere dove i problemi di camorra, disoccupazione, casa e spazzatura (da queste parti l’emergenza non è mai finita) sono una vera emergenza. Per i «grandi elettori», probabilmente, le promesse erano ben diverse: un posto di lavoro.
Nell’elenco stilato dalla polizia giudiziaria ci sarebbero i nomi di camorristi e galoppini del clan Lo Russo, incaricati di operare un vero e proprio rastrellamento nel quartiere, per portare la gente a votare nel seggio di via Janfolla nei giorni del 23 e 24 gennaio scorsi. Un’affluenza strana, insolita: ritmi insostenibili per consentire a tutti di poter espletare il proprio diritto a scegliere il successore di Rosetta Iervolino. L’informativa è quasi completa, qualche limatura poi verrà consegnata ai pm della Direzione distrettuale antimafia.
Le polemiche sulle primarie vinte da Cozzolino e gli scambi di accuse tra i candidati scoppiarono mentre erano ancora in corso le votazioni. Cozzolino, giova ricordarlo, si impose con uno scarto di 1.200 voti sull’ex sottosegretario agli Esteri Ranieri. Sconfitti anche l’altro bassoliniano, Nicola Oddati e il candidato di Sinistra e libertà, l’ex magistrato Libero Mancuso. E alla fine la vittoria di Cozzolino che sognava di aprire un nuovo ciclo dopo il suo capo Bassolino, non fu mai omologata. La federazione del Pd di Napoli fu commissariata: da Roma fu mandato – e da allora non è più ripartito – il commissario Andrea Orlando.
Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ieri ha telefonato ai vertici del Pd partenopeo: «Le infiltrazioni camorristiche sono un problema comune a tutti e nessuno può pensare di mettersi in cattedra e dire: il problema è solo tuo». Ma tra i democrats la tensione è alta. L’ex parlamentare dell’ex Pds, Berardo Impegno, rilancia: «Azzeriamo il partito e cambiamo il regolamento delle primarie». Il Giornale, 24 settembre 2011

FALLIMENTO E RINASCITA, di Mario Sechi

Pubblicato il 24 settembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Borse europee, un operatore La contemporaneità non fa sconti. Se gli Stati Uniti non riescono a trovare la cura dopo l’intossicazione finanziaria, l’Europa si lambicca su come interrompere la sua vita a debito. Parliamoci chiaro, i governi stanno seduti sulla nitroglicerina dell’inettitudine. La Grecia ha il novanta per cento di probabilità di fallire, la Bce per la prima volta non esclude il crac. Era questa la via da seguire mesi e mesi fa, senza perdere tempo e imporre a un popolo una ricetta che conduce alla guerra civile. Se la gente ha fame, se ne infischia della partita doppia degli gnomi della finanza. Brucia la casa di chi lo affama. Punto. Il collasso di Atene è in questi fatti e numeri: 353 miliardi di euro di debito pubblico (cinque volte quello dell’Argentina quando crollò nel 2001), due salvataggi inutili e tre anni di recessione. Capolinea. Credit Suisse ha messo le mani avanti e fatto i conti della dissoluzione dell’Euro. Non si sa mai. Mentre Atene brucia, Roma si contorce in una babele di ridicoli penultimatum. Confindustria presenta un manifesto che serve a fare titoli di giornale ma non aggiunge niente sul tavolo delle soluzioni concrete. I sindacati sono archeologia industriale, l’establishment sta alla finestra aspettando la caduta di Godot-Berlusconi. Nessuno tiene conto di una cosa: il nostro debito ha un rating da Paese in difficoltà ma in grado di far fronte alla sfida. L’Italia è ricca e può farcela. Basta avere visione e coraggio, perché la volatilità dei mercati sarà una condizione normale per lungo tempo e ci saranno cadute rovinose e formidabili riprese. È la storia che si fa e disfa sotto i nostri occhi. Dove qualcuno perde, altri guadagnano. È la legge di Wall Street, «il denaro non dorme mai», soprattutto quando i governi ronfano. Mario Sechi, Il Tempo, 24 settembre 2011

CLIMA DI ODIO E MANETTE: PAPA PAGA PER TUTTI

Pubblicato il 23 settembre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il rappresentante del popolo Alfonso Papa sta ancora sotto chiave in una cella di Poggio­reale e i magistrati che ne hanno preteso l’arresto, autorizzato dal Parlamento per la prima volta nel­la­sua storia per reati che non fosse­ro di sangue, dicono che non pos­sono concedergli gli arresti domi­ciliari perché quel tristo deputato, con le sue arti e la sua scaltrezza diabolica, se si trovasse a vive­re fra il salotto e la cucina di casa sua, saprebbe manipolare le prove. Diavolo d’un uo­mo. La sua abilità, e la paura che ispira, mi ri­cordano quella canzon­cina dialettale che esiste in tutte le versioni regionali e che dalle parti mie suona così: «Una sorcaccia intrepida nel mio camino entrò, tutta la notte rosica la cassa ed il comò.

In tredici o in quattordici l’annassimo a cercà, co li fucili carichi dove la bestia sta. Sentite che fece quella be­stiaccia: ci saltò in faccia e ci fece scappar, sentite che fece quella bestiaccia: ci saltò in faccia e ci fece scappar». Così mi sembrano questi intrepidi magi­strati che ottengono dal Parlamento della Repubblica ciò che mai fu concesso prima da un Parlamento della Repubblica: la con­segna di un membro eletto delle Camere dal sovrano elettore, perché possa essere privato non soltanto della sua libertà perso­nale, ma della possibilità di assolvere i suoi doveri, ma che dopo due mesi fa ancora una enorme paura, tanto che lo devono te­nere rigorosamente chiuso in gattabuia, es­sendo poco sicuri delle prove raccolte.

E qui un inciso, anzi una domanda: ma chi l’ha detto che a un deputato in carcerazione preventiva (perché di questo stiamo parlan­do e non di espiazione di una pena) possa es­sere sequestrato il diritto-dovere di votare le leggi secondo il mandato dei suoi rappre­­sentati, magari per via telematica dalla gat­tabuia in cui si trova? Dove sta scritto che la funzione dell’eletto decade se questi è mo­mentaneamente privato della libertà e non per espiare una condanna? I magistrati, come gli intrepidi cacciatori della canzoncina popolare, dopo due torri­di mesi estivi che certamente non avranno passato sotto l’ombrellone ma chiusi nei lo­ro uffici, hanno dunque ancora paura che Papa possa inquinare le prove. Il che vuol di­re, se la logica non viene meno, che ancora non hanno messo insieme uno straccio di fascicolo con prove solide e non più inqui­nabili. Ma che discorso è questo? O questi funzionari dello Stato non sanno fare il loro mestiere, che è quello di mettere insieme prove non inquinabili, oppure hanno altro in mente.

Qui non parlo da giornalista, ma da deputato: e da deputato ho l’obbligo di decidere se siamo di fronte a richieste com­pre­nsibili o se c’è anche il fumus persecutio­nis che va al di là delle esigenze di giustizia. Ed è francamente incomprensibile che do­po due mesi ancora si giustifichi la galera con il possibile inquinamento delle prove. E questo dubbio si fa molto più solido di fronte all’allegra e spensierata sorte capita­ta al senatore del Pd Tedesco che se ne va li­bero e bello dimostrando che esistono due pesi e due misure. Fino al caso di Papa il Parlamento non aveva mai concesso l’arresto di un suo membro, salvo che per fatti di sangue, ma in realtà neanche per quelli perché i deputati da arrestare si erano già rifugiati all’estero. Ma dall’arresto di Papa e nell’orrido clima che sta montando, siamo passati ieri a vota­re la richiesta di un altro arresto preventivo per il deputato Milanese, non concesso per motivi politici e non di principio, ma con la partecipazione di sette franchi tiratori della maggioranza che hanno votato per le ma­nette.

Questo dimostra che anche tra le for­z­e politiche si è perso il principio democrati­co di tutela del Parlamento come bene del popolo, il quale popolo è stato invece riedu­cato a dosi massicce di odio e ad applaudire gogne, forche e galere preventive». È l’aggettivo «preventivo» che fa la diffe­renza: se si trattasse di concedere l’arresto di un deputato condannato definitivamen­t­e dopo un processo che lo avesse dimostra­to colpevole, non ci sarebbero questioni. Ma ora si gioca tutto sull’umiliazione della sola maggioranza e questo obiettivo preve­de appunto l’uso mediatico della galera «preventiva» che, diversamente dalla legge che è uguale per tutti, è invece uguale soltan­to per alcuni, come si è visto dal caso del se­natore democratico Tedesco. Siamo dun­que all’uso di gesti di grande impatto emoti­vo, come ai tempi di Mani pulite, di cui sta per celebrarsi il ventesimo anniversario.

Allora una serie di sedute mediatiche nel tribunale di Milano, con Antonio Di Pietro nelle vesti del mattatore, decapitarono la Repubblica di tutti i partiti democratici che l’avevano fatta nascere e crescere,aprendo la strada alla cosiddetta seconda Repubbli­ca, nata dalla disperazione e dalla delegitti­mazione della prima. Ora si dovrebbe dire che tira aria di terza Repubblica, ma non è più il caso di giocare con le parole: il clima è quello di una messa in stato di arresto virtua­le e occasionalmente materiale del Parla­mento, facendo leva sull’impatto di inter­cettazioni che spesso non hanno nulla, dal punto di vista della raccolta di prove per la contestazione di reati, a che vedere con la giustizia ma molto con i titoli dei giornali. Quell’impatto viene cercato con accani­mento e con spesa di denaro pubblico fino­ra mai visti e suggeriscono l’immagine di una gigantesca caccia alla volpe: Berlusco­ni (e i suoi) con tutte le enormi magagne e imperdonabili imprudenze, è diventato il «cinghialone numero due»,essendo stato il primo Bettino Craxi.

Questa caccia al cin­ghiale è costosissima e richiede mille schioppi, mille cani, mille forconi e un eser­cito di inservienti in livrea che suonano le trombe e i corni. In questo panorama, il deputato Papa re­sta, come dicono nella Capitale, al gabbio perché le prove sulle sue malefatte, le stesse usate per chiedere con clamore il suo arre­sto, dopo due mesi non sono ancora di ma­­teriale solido, ma informe, manipolabile al punto che lo stesso Papa, se fosse agli arresti domiciliari, potrebbe farne palline del tipo di quelle levigate dai laboriosi stercorari, quei coleotteri che sono specialisti nell’arte di dar forma ai rifiuti organici. E questo ci sembra inaccettabile, ingiustificabile e in­credibile. Il giornale, 23 settembre 2011

GUERRA APERTA SUI NOSTRI SOLDI

Pubblicato il 23 settembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Soldi Le borse sono sotto un bombardamento planetario: il Dow Jones sta per bucare il pavimento dei 10 mila punti, tornando indietro di oltre un decennio; piazza Affari ha sfondato i 14 mila, considerato un supporto strategico di resistenza. Se noi siamo al Piave, gli americani sono sul tetto dell’ambasciata di Saigon, gli inglesi a Dunkerque, i francesi a Vichy. Neppure la super-Germania se la passa meglio: la Cancelleria assomiglia a un bunker, con tutte le sue sinistre memorie. Qui, chi volesse il 51 per cento di Intesa se lo prende con 8 miliardi: una bazzecola per un Warren Buffett di passaggio. Scopriamo che non c’è più nulla il cui rating non possa essere declassato: Italia, Usa, Giappone; la Fiat; le nostre banche, quelle francesi, domani le tedesche. Siamo tutti sotto downgrading, eppure sarebbe interessante capire dove vanno i soldi perché la regola che per ognuno che vende qualcuno compra non è stata ancora abrogata. Quando lo scopriremo vedremo il vincitore di questa guerra. Intanto ne conosciamo gli sconfitti: la classe dirigente americana ed europea, i banchieri centrali con le ferree e contrastanti religioni (quelli americani predicano il denaro facile, i tedeschi l’esatto opposto); gli industriali che guardano solo a Cina, Brasile e Turchia; i top manager tornati ai bonus milionari. E certo i politici. In questa situazione in Italia pare a molti un’idea vincente quella di sfrattare il Cavaliere. Fatto questo, risolto il problema. Al trio Bersani-Di Pietro-Vendola si è aggiunta Emma Marcegaglia. Partita per abolire il contratto nazionale, lascia la Confindustria a dov’era vent’anni fa, ai piedi del totem della concertazione e della Cgil. Il crollo dei mercati è impressionante. Quello dei cervelli ancora di più. Che ci sia un nesso? Marlowe,, Il Tempo, 23 settembre 2011

IL GOVERNO REGGE, LA CAMERA RESPINGE L’ARRESTO DEL DEPUTATO MILANESE

Pubblicato il 22 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Con 312 voti contro 305 (617 votanti sul plenum di 630) cui contare per il proseguio della sua azione la Camera dei Deputati ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazi oni a procedere di respingere la richiesta di arresto dei PM napoletani per il deputato del PDL Marco Milanese, collaboratore del Ministro Tremonti. Al di là del fatto in sè che dovrebbe essere prassi per tutti i cittadini per i quali l’arresto prima del processo senza  flagranza di reato o che  siano  accusati di fatti particolarmente gravi, costituisce una prova di forza a favore del Governo che nonostante tutti gi ostacoli che gli vengono frapposti ha una solida maggioranza  su  cui contare per il proseguio della sua attività. Infatti, questa stessa mattina. il Consiglio dei Ministri ha approvato ulteriori misure  relative alla manovra economica.

L’ATTERRAGGIO CHE NON C’E', di Mario Sechi

Pubblicato il 22 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il premier Silvio Berlusconi In tempi non sospetti ho scritto su questo giornale che per la storia personale di Berlusconi e collettiva del berlusconismo va preparato un soft-landing, un atterraggio morbido. Ho sempre combattuto in punta di penna l’estremismo di chi desidera in maniera compulsiva la fine tragica del Cavaliere, la sua uscita di scena a suon di monetine o pietrate. È un’idea di Italia lontanissima dalla democrazia, dal dibattito civile, dalla buona politica, un sogno psicotico pericoloso, foriero di altri drammi e divisioni di cui il Paese non ha bisogno.
Gli avversari se ne facciano una ragione: Berlusconi non è un tiranno, ma un leader democraticamente eletto. Su Il Tempo abbiamo affrontato varie volte in un dibattito franco e senza tabù la questione del passo indietro del Cav. Per alcuni salutare, per altri un errore. Il combinato-disposto della crisi economica, la speculazione sul nostro debito sovrano e le nostre imprese e l’assalto giudiziario hanno rimesso il tema sul tappeto. Io non sono tra quelli che pensano che la sua uscita sia la soluzione per i nostri mali. L’ho scritto ieri e lo ripeto oggi: il Cav esce? L’Italietta resta. Con i suoi problemi, le sue ipocrisie, le sue cricche, i suoi clan, le sue lobby e la sua cronica irriformabilità.
Sono però assolutamente convinto che bisogna evitare il crash di Berlusconi, per il bene del blocco sociale che l’ha votato e per il futuro del centrodestra. Sergio Romano ieri sul Corriere della Sera ha avanzato la proposta: il premier annuncia che non si ricandida, propone al Capo dello Stato il voto nel 2012 e avvia la transizione.
Sorvoliamo sul fatto che di costituzionale non c’è nulla e diciamo per carità di patria che è tutto molto bello. Poi però dobbiamo tornare sulla terra. Anzi, stare in aria. Siamo in fase di atterraggio d’emergenza, dobbiamo provare il soft-landing. Benissimo. Si fa così: i piloti registrano la perdita di un motore e problemi al radar. Volo a vista. Avvertono il primo aeroporto disponibile. Si fanno guidare via radio dalla torre di controllo. Tutto il traffico aereo intorno viene fermato. Un’esercitazione militare pericolosissima bloccata. La pista viene sgombrata e l’aerostazione evacuata. I vigili del fuoco si tengono pronti, le ambulanze pure. All’interno del jumbo primo e secondo pilota tengono la rotta e seguono il piano di volo, l’equipaggio (hostess comprese) è calmo, fermo, rassicurante. I passeggeri sono tutti consapevoli di quel che stanno affrontando, ma sono pronti a indossare la maschera d’ossigeno, non si fanno prendere dal panico e hanno le cinture di sicurezza ben allacciate. Tutti svolgono il loro compito in maniera perfetta. Il volo balla un po’, in pista caracolla ma alla fine è salvo.

Nel caso del governo Berlusconi la situazione è la seguente: il primo pilota (Silvio) non ha ancora deciso che rotta prendere; il secondo pilota (Tremonti) è in difficoltà con i piani di volo; l’equipaggio (il governo) è incerto e non ricorda le procedure di salvataggio; i passeggeri (il Parlamento) sono preda del panico e non vogliono atterrare ma restare sempre in volo fino al 2013; la torre di controllo (Napolitano) dà istruzioni ma alla radio dall’altra parte non trova nessuno; i vigili del fuoco (i sindacati) sono in sciopero; le ambulanze (gli industriali) non partono perché senza carburante; le esercitazioni militari (la magistratura) non solo non si fermano ma continuano un gran lancio di razzi e missili intorno al jumbo in avaria. Ecco, caro lettori, questa è la realtà. Voi stareste alla cloche dell’aereo con tanta serenità? Sareste certi della piena collaborazione di tutti nell’atterraggio d’emergenza? O provereste a restare sopra le nubi finché c’è carburante pianificando un rifornimento in volo? In America si dice, «ask the pilot», chiedete al pilota.  Mario Sechi, Il Tempo, 22 settembre 2011

LICENZIARE I PADRETERNI……..E ANCHE I VANESI….

Pubblicato il 21 settembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

La copertina del pamphlet di Rizzo e Stella: Licenziare i padreterni, l'Italia tradita dalla Casta, Rizzoli editore, 9 euro.

Licenziare i padreterni” è il titolo dell’ultima  denuncia “politico-letteraria” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, i due giornalisti del Corriere della Sera, autori di altri bestseller sui costi della politica: La Casta. Così i politici politici italiani sono diventali intoccabili (2007), La Deriva. Perchè l’Italia rischia il naufragio (2008), Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia (2001). Sono anche autori di  tanti scoop giornalistici, come quello sulle Comunità Montane a livello del mare e di inchieste sugli scandali italiani degli ultimi 30 anni. Quest’ultimo pamphlet, appena arrivato nelle librerie è aggiornato all’agosto 2011 e certifica sino all’ultimo centesimo gli sprechi della politica, dai costi degli organi dello stato ai vitalizi d’oro della casta,  e i mancati tagli ai costi della stessa,  nonostante le tante promesse e i tanti impegni, solennemente assunti e puntualmente disattesi. Non a caso il  breve ma assai istruttivo pamphlet di Rizzo e Stella ha come sottotitolo “l’Italia tradita dalla Casta” ed è dedicato, provocatoriamente, “a tutti coloro che confondono i privilegi con la democrazia”. Il libro, edito come gli altri  di Rizzo e Stella, dalla Rizzoli, costa 9 euro e si legge tutto d’un fiato, sino all’ultimo rigo, anzi sino al’ultima pagina, un esilarante  “postscriptum”, troppo bello per non anticiparlo qui per gli amanti del genere . Eccolo.

Post-Scriptum. Telefonata:”Buongiorno, è la presidenza della Provincia di Bari. Stiamo organizzando un convegno sui costi della politica e il presidente Francesco Schittulli vorrebbe chiederle di partecipare. Glielo posso passare?”  “Prego” Drin…Drin…Drin….”Pronto, buongiorno, sono il presidente. Scusi un attimo che esco dalla sala operatoria così parliamo meglio. Eccomi. Scusi, sa, stavo per cominciare un intervento…..”. P.S…..Non  si era detto che le Provincie sono così indispensabili che chi le amministra non ha il tempo di respirare?”

Sin qui l’ironia di Stella e Rizzo che colgono nella perfomance telefonica di Schittuli una palese  contraddizione: fa chiamare dalla Presidenza della Provincia ma sta in sala operatoria. Delle due l’una, o ha detto una bugia chi ha chiamato,  oppure Schittulli sì è portato in sala operatoria la segretaria…. Chissà, poi, cosa direbbero Rizzo e Stella se sapessero che Schittulli,  che ha fatto suo, solo a parole,  il motto mussolinano “largo , pardon, lavoro, ai giovani” ha  affidato l’incarico di  suo portavoce pagato 70 mila euro l’anno ad un signore ultrasessantenne, pensionato d’oro dello Stato, preferendolo ad un dipendente della Provincia, oppure ad un giovane disoccupato. Un caso da inserire in un prossimo libro sulle furbizie della “casta” alla pugliese. g.


IL “CAROGNISMO2 DI SINISTRA TRIONFA…MA NON PASSERA’

Pubblicato il 21 settembre, 2011 in Costume | No Comments »

La carogna è in agguato. Quan­do muore un animale politico, un’ideologia,una passione civi­le, lascia la carcassa con i suoi miasmi. Finisce un’idea, resta un rancore. Dopo il comunismo viene il carognismo. Vedo crescere il carogni­smo intorno a noi. L’antico spirito di guerra civi­le, l’odio e il disprezzo assoluto verso chi non è dalla parte tua, il proposito di eliminarlo si inca­rogni­scono quando non hai un movente positi­vo e costruttivo, ma solo la sua carcassa, cioè re­sta il suo involucro di negazione e si sprigiona il gas mefitico della distruzione. Questo accade nei nostri giorni e non parlo solo della caccia al premier.

Dico, per esempio, la censura e il rogo per Falce e Carrello, che documenta i malaffari delle Coop e le loro sinistre protezioni, sono l’ultimo segnale inquietante. Il carognismo non entra nel merito dei dati e non contrappo­ne altri documenti, no,chiede la riduzione del­­l’altro a cenere e silenzio. O il killeraggio incivi­le del ministro Sacconi impiccato a una battuta e umiliato, offeso e trattato da Sofri su Repub­bli­ca come un volgare demente e additato alla fe­rocia del pubblico come un losco servo della re­azione.

O per farvi un esempio più piccolo e più vici­no, gli insulti, le aggressioni incivili che ho subi­to per aver raccontato semplicemente la verità storica su una pagina bieca dell’ Avanti e di Per­tini: quell’elogio infame di Stalin,dittatore san­guinario. La reazione non è stata di confutarlo, anche perché così evidente da non poterlo fa­re, e nemmeno un’assurda ma coerente difesa di Stalin, (di cui esistono ancora da Bologna a Savona vie Stalingrado). No, solo insulti e mi­nacce, non ti permettere, non osare di sporca­re il suo nome purissimo, vergognati, tu ignobi­le, tu venduto.

Mi era già capitato una volta a Ge­nova in un convegno su Pertini, dove avevo ri­cordato accanto alle luci, le sue ombre e nessu­­no le contestava sul piano storico, no: chiedeva­no semplicemente di togliermi la parola, rumo­reggiavano, qualcuno inveiva. E la volta succes­siva che tornai in quella città i nipoti dei predet­ti compagni assediarono l’università per non farmi presentare un libro. Sono episodi che se fossero accaduti a parti invertite, avremmo mobilitazioni mediatiche e culturali, agitazioni politico-sindacali. Non esiste qualcuno che possa avere idee diverse dalle loro e attingere a fonti storiche da loro ignorate; no, è sempre e solo, per definizione e a priori, un servo losco, un mercenario. Quel che spaventa è il dispositivo mentale che è alla base: se non la pensa come noi, eliminatelo, non fatelo parlare, bruciategli i libri, non fate circolare le sue idee o semplicemente i fatti che racconta. Di questa condanna a morte civile ne sanno qualcosa gli autori non allineati, total­mente cancellati dal carognismo culturale.

Non mi interessa stabilire se sia un residuo o un rigurgito di comunismo, di estremismo gia­cobino, di brigatismo o altro. La definizione riassuntiva è carognismo. Ai tempi di Stalin o delle Br si eliminava fisicamente il nemico, e poi magari lo si faceva sparire anche dalle foto; oggi lo si elimina mediaticamente, politica­mente, giudiziariamente, culturalmente. Mi spaventa che ciò accada e abbia anche un suo consistente pubblico, eccitato dagli agitatori. C’è un carognismo passivo e un carognismo at­tivo. Se il carognismo spaventa, il pilatismo scon­forta. Mi riferisco al silenzio ossequioso e omer­­toso degli altri, quelli di mezzo, appena interrot­to da isolati e defilati vocii di dissenso. Temono di essere accusati di complicità col Male, e allo­ra tacciono.

È lo stesso meccanismo del passa­to: se difendi il diritto di Caprotti, di Sacconi o di chi volete voi, sei dalla parte oscura delle forze maligne. Ti scoppia una grana che non ti dico, per quieto vivere e più quieto sopravvivere nel­le posizioni di comando meglio abbozzare. E per timore di ritorsioni, i sé-pensanti, versione egoistica dei benpensanti, lasciano fare, dire, eliminare, anzi si accodano a fingere l’inesi­stenza di fatti, autori e storie differenti. Così na­sce l’egemonia culturale del carognismo. Non concludo omeopaticamente, non chie­do di rispondere a carogna con carogna e mez­zo.

Dico da un verso di continuare incuranti delle carogne a testimoniare quel che si ritiene essere la verità e dall’altra a non riprodurre il meccanismo carognesco gettando nel baratro chi non la pensa come te. Combattiamo il caro­gnismo ma non pestiamo le carogne. Sforzia­moci di pensare che anche i più subdoli e furen­ti carognisti hanno il loro lato buono, credono in buona fede alle loro convinzioni, non si può ridurre l’intera loro biografia morale, intellet­tuale ed esistenziale al lato carogna. È un eserci­zio duro e difficile di civiltà prima che di carità, a volte munito dei conforti religiosi… MARCELLO VENEZIANI

CASO TARANTINI: LA COMPETENZA E’ DI ROMA, E ORA CHI PAGA?

Pubblicato il 21 settembre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

E adesso chi paga? Il duo Woodcock-Lepore non aveva titolo per indagare sul trio Berlusconi-Tarantini-Lavi­tola, caso che peraltro non esiste mancando la parte le­sa. La marea di telefonate spiate, sbobinate e consegnate ai giornali sono frutto di una illegalità, e non ci voleva la sentenza emessa ieri dal Gip per capirlo. Noi che non abbiamo studiato legge lo avevamo scritto il primo giorno: se i fatti sono avvenuti tra Bari, Roma e Milano, che c’entra la Procura di Napoli? Nul­la, appunto. Altro che accompagnamento coatto di Berlusco­ni.

Ma agli zelanti Pm che importa, l’obiettivo politico e media­tico, complici stampa e tv, è raggiunto. Sul campo restano le devastazioni all’uomo Berlusconi,violentato nel suo privato, e qualche milione di euro bruciato per via del trambusto pro­­vocato sui mercati dall’ipotesi di un premier in manette, sacri­ficato sull’altare dell’arroganza di magistrati arrivisti, e di com­mentatori faziosi e in malafede. Questa, in ordine di tempo, è soltanto l’ultima di una lunga serie di bravate e furbate della magistratura di parte. Perché neppure il più sprovveduto di noi poteva non sapere come sarebbe andata a finire l’inchie­sta di Napoli, nata sull’imbroglio del premier intercettato ille­galmente, cioè senza l’autorizzazione del Parlamento. Mancava il reato, mancava la competenza.

Solo chiacchie­re al telefono che se ascoltate casualmente ( non si capisce co­me) avrebbero dovuto incanalarsi in ben altri percorsi giudi­ziari, nei quali sarebbero state trattate con diversa cautela. Co­me quella, per esempio,adottata dal procuratore di Bari sul ca­so D’Addario e che ora, proprio per avere usato le pinze, si tro­va indagato. Già, perché chi non chiede l’arresto del premier al primo squillo di escort, chi non spiattella intercettazioni an­cora calde di telefono alla stampa, deve per forza essere com­plice del presidente del Consiglio e della sua banda di malfat­tori.

Eppure non sempre i Pm cauti finiscono sotto inchiesta. Per esempio, non una escort o un faccendiere ma l’allora sin­daco di Milano, Gabriele Alber­tini (oltre a questo Giornale ), sei anni fa segnalarono con forza alla Procura di Milano che l’acquisto delle quote Serravalle da parte di Pe­nati, leader della sini­stra, era molto ma mol­to sospetto. Bene, che fece la Procura? Nulla, che è molto meno di es­sere cauti. Semplice­mente girò lo sguardo dall’altra parte. Oggi, sei anni dopo, sappiamo che quella vicenda era uno scandalo enorme: tan­genti all’area Pd, sper­pero di soldi pubblici.

Quei procuratori e i lo­ro vice sono stati forse puniti, indagati per ma­nifesta complicità o in­capacità? Macché, so­no al loro posto, come se nulla fosse. Nel frat­tempo però la stessa Procura ha prodotto ol­tre centoventimila in­tercettazioni sul caso Ruby e sugli ospiti priva­t­i di Berlusconi ad Arco­re. Prenderanno pure una medaglia. Quella giusta sarebbe di tolla, come la loro faccia. Il Giornale, 21 settembre 2011