Archivi per settembre, 2011

IL CAVALIERE ESCE? L’ITALIA RESTA, di Mario Sechi

Pubblicato il 21 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi I giudizi della agenzie di rating, gli strappi nel centrodestra, le difficoltà dell’opposizione e le inchieste che colpiscono Berlusconi e il Partito democratico sono fatti apparentemente slegati. In realtà, hanno tutti una medesima matrice ed effetto finale. L’origine è nell’assenza di un assetto istituzionale chiaro nel Paese. Ponetevi un semplice quesito: chi comanda? Non Berlusconi che ha difficoltà a guidare le scelte dei suoi ministri, figuriamoci una maggioranza che ieri è andata cinque volte sotto in un’aula di assenteisti; non Napolitano il quale esercita al meglio il suo ruolo, ma pur sempre limitato; non i poteri forti che la crisi economica ha reso deboli; non i sindacati, in crisi di rappresentanza; non la Chiesa, «minoranza creativa» per lo stesso Papa; non la magistratura che ha la forza di distruggere ma non quella di creare.

Tutti hanno il potere parziale del veto, nessuno quello pieno del governo. L’incertezza sul comando e le forme e i mezzi con cui si esercita, genera una paralisi totale. Il Paese è fermo e agli occhi di chiunque – pensate ai veti sulla manovra – appare irriformabile. Una preda ideale per gli speculatori e le agenzie di rating che stanno al tavolo da poker del mercato. Berlusconi è una tessera importante del puzzle italiano, ma non il mosaico intero fatto di materiali scadenti e disegni approssimativi. Il Cavaliere esce? L’Italietta resta.  Mario Sechi, Il Tempo, 21 settembre 2011

PROCESSO LAMPO PER IL CAVALIERE

Pubblicato il 20 settembre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

DI DAVIDE GIACALONE

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Vita politica e vicende processuali sono indissolubilmente connesse, e già questo descrive un male profondo della vita italiana. Sia per la politica che per la giustizia. Si può sostenere che questo discende dalle colpe di Silvio Berlusconi, oppure dal tentativo, che si trascina da diciassette anni, di farlo fuori per via giudiziaria, ma quale dei due punti di vista si adotti, il risultato è che ci tocca occuparci di processi penali anziché di processi decisionali. Chi, come noi, ha a cuore sia il diritto che l’autonomia della politica, chi sa che, in una democrazia e in uno Stato di diritto, non si deve mai essere costretti a scegliere fra la legittimità che deriva dal consenso popolare e la regolarità che discende dal rispetto della legge, cerchi, almeno, di non perdere la bussola. Cominciamo dal processo Mills, che ieri s’è avvicinato alla sentenza. Di una cosa sono sicuro: avrà un posto nei libri di diritto. Un giorno si chiederà agli studenti di legge di riferire su come sia stato possibile processare in due sedi e tempi separati i protagonisti di un reato che il codice vuole a “concorso necessario”: non può esserci un corrotto senza un corruttore, e viceversa. Un tempo, quando era reato l’adulterio, anche quello era un reato a concorso necessario, perché non si può tradire da soli. Vi pare pensabile che si condanni uno per avervi preso parte senza sapere con chi giacesse? È quel che è successo: l’avvocato Mills è stato condannato quale corrotto, e ora, dopo anni, si cerca di capire se Silvio Berlusconi era il corruttore. Se dovesse essere assolto (ipotesi che non si può escludere, o no?), Mills resterà da solo. Una specie di adulterio mediante onanismo. Ecco, avendo alle spalle una tale premessa, ieri il collegio giudicante, in quel di Milano, ha ridotto significativamente la lista dei testimoni. Così si arriva prima alla conclusione. Ridurre i testimoni è una facoltà di chi giudica. Non è sbagliato: se un Tizio viene derubato all’Auditorium e l’avvocato di Caio, presunto ladro, pretende di sentire tutti i presenti quali testimoni è ragionevole che gli si dica di no. Bastano quelli in grado di dare dettagli rilevanti. Ma quando un collegio giudicante cancella dei testimoni sa di correre un rischio, perché se la difesa potrà dimostrare, in Cassazione, che i suoi diritti sono stati violati e il proprio lavoro reso impossibile, la sentenza diventerà carta straccia. Quindi si deve fare attenzione. C’è stata, ieri, a Milano? Non lo so, ma so che non sarebbe servita a nulla, perché la sentenza, quale che sarà il contenuto, è già in partenza carta straccia, visto che il procedimento è destinato a sicura estinzione per prescrizione. Allora, perché si corre? Per arrivare a concludere il primo grado, a beneficio esclusivo dei mezzi di comunicazione. Berlusconi non sarà mai condannato in via definitiva, è escluso, e non perché innocente (non lo so, non c’ero), ma perché il processo è già morto. Lo si celebra a solo beneficio del pubblico. Cambiamo città, andiamo a Napoli, inesauribile fonte di sollazzo telefonico e d’intrusione per via giudiziaria. Qui le cose sono più bislacche, anche in omaggio alla tradizione partenopea: non si ha idea del perché quella procura si senta competente. A parte ciò, gli atti di un’inchiesta sono considerati coperti da segreto anche durante l’udienza preliminare, e restano riservati se poi divengono atti di un futuro processo. Questo dice la legge. Un parlamentare non si può intercettare, se non con l’autorizzazione del Parlamento. Questo dice la legge. Ma nessuno la legge, la legge. Così tutte le telefonate possono essere pubblicate, perché dal momento che vengono messe a disposizione delle parti non si sa più chi le abbia passate alla stampa. Voi dite che è stata la difesa del pappone industriale? A me pare difficile. In quanto alle conversazioni di un parlamentare, presidente del Consiglio, non è lui che intercettano, ma quelli con cui parla. E non è una barzelletta, ma la tesi della procura. E non basta, perché i giornali di ieri titolavano: scaduto l’ultimatum della procura. L’ultimatum? Siamo in guerra? Intanto il giudice dell’udienza preliminare manda prosciolti tutti gli imputati del processio “Cassiopea”, più noto per avere ispirato Gomorra. Traffico di rifiuti tossici. Il proscioglimento è un doppio veleno dell’ingiustizia: i colpevoli fanno marameo e gli innocenti resteranno marchiati a vita. Ma chi se ne importa, i riflettori puntano altrove, oramai. Da quella parte c’è una presunta parte lesa che non si sente lesa, essendo, in realtà un potenziale imputato, cui si nega la presenza degli avvocati all’interrogatorio. E c’è chi sostiene, come fa Carlo Federico Grosso, che se la difesa lo vuole «imputato in procedimento connesso» questa è, di fatto, una confessione. Roba che neanche alla santa inquisizione. Tutto questo per dire: sono procedimenti fatti a mezzo stampa e per la stampa. Siamo l’unico Paese al mondo in grado di pubblicare le conversazioni di chi governa, sputtanandolo. Siamo gli unici in grado di demolire da sé soli una propria multinazionale. Può darsi che se lo meritino, ma non ce lo meritiamo noi. A me piace un mondo in cui i colpevoli vanno in galera, mi piace assai meno un Paese prigioniero dei processi.

Davide Giacalone, il Tempo, 20/09/2011

L’”ORACOLO” TARANTINI E’ CREDIBILE CONTRO BERLUSCONI, INATTENDIBILE CONTRO MURDOCHMURDOCH

Pubblicato il 19 settembre, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

Le intercettazioni non sono tutte uguali, non tutti i verbali hanno lo stesso peso e lo stesso valore. Ci sono carte che non vengono neppure protocollate, altre che rimangono sepolte per anni nell’armadio di qualche procura, altre che escono e non vengono pubblicate, e altre ancora che conquistano all’istante l’onore della prima pagina e la patente della verità. Nella fattoria degli animali giustizialisti, queste carte sono più uguali delle altre, perché contengono il nome di Silvio Berlusconi (come un tempo quello di Bettino Craxi).

Attenzione, però: queste carte da prima pagina non documentano mai un reato. Sono particolarmente odiose perché non ci aiutano affatto a capire come stanno veramente le cose, ma, al contrario, spostano l’attenzione sul carattere, sugli stili di vita, sulle scelte private della persona, trasformando l’inchiesta in una pubblica e irrevocabile sentenza morale molto prima che un’eventuale sentenza giudiziaria stabilisca la verità dei fatti. In questo modo, tuttavia, il diritto di cronaca e il diritto all’informazione sono asserviti alla propaganda e alla battaglia politica, di cui diventano pedine più o meno consapevoli, mentre la giustizia sempre più frequentemente è considerata dalle parti in lotta l’opposto di ciò che dev’essere: un’espressione di partigianeria.

Eppure le intercettazioni e i verbali fanno bene alle copie e allo share, e sebbene personalmente continui a non capire come sia possibile un tale scempio del primo diritto naturale dell’uomo, quello alla privatezza, c’è da aspettarsi che il fiume di carte non diminuirà né oggi né mai. Lette con voce grave da uno speaker o sceneggiate come una telenovela, protagoniste di sit-com e ricostruzioni più o meno brillanti, le carte delle inchieste dopo i giornali hanno ormai stabilmente conquistato anche l’etere, e ancor più il satellite.
Non si può certo incolpare Sky di spettacolarizzare le intercettazioni ad uso dei propri telespettatori, visto che, chi più chi meno, tutti hanno una bella trave negli occhi. Però si potrebbe chiedere a Sky (come ad ogni altro editore) qual è il criterio di verità che decide se un verbale sia credibile oppure no. Se si sceglie di pubblicare tutte le carte, attribuendo loro implicitamente il crisma della verità, non possono poi esserci eccezioni. Viceversa, se si dichiara formalmente che una carta dice il falso, buon senso vuole che ci si interroghi anche sulla verità delle altre.

Come sanno i lettori del Giornale, che ne ha pubblicati ieri alcuni estratti, un verbale di Gianpaolo Tarantini (interrogatorio del 6 novembre 2009) contiene fra le altre questa affermazione: «Dopo che era esploso lo scandalo D’Addario, ero stato contattato anche da Murdoch che mi aveva proposto un contratto miliardario che avevo rifiutato (…)».

Sky ha subito smentito seccamente di «aver mai offerto compensi in qualsiasi forma, tantomeno improbabili “contratti milionari”, allo stesso Tarantini così come a chiunque altro, allo scopo di ottenere notizie, interviste e informazioni su alcuno».
Ciascuno è libero di credere a «Gianpi» o a Sky: il primo è oggetto di varie inchieste, e prudenza suggerisce di prendere con le molle ogni sua affermazione (e non soltanto quelle su Murdoch); Sky produce uno dei migliori telegiornali d’Italia, ma è pur sempre parte dello stesso impero mediatico di News of the World, costretto alla chiusura proprio per un uso spregiudicato e illecito delle intercettazioni. Ad ogni modo, la smentita è valida fino a prova contraria.

Ma il punto non è affatto questo. Nei tanti interrogatori e nelle tantissime intercettazioni può esserci qualsiasi cosa: la notizia di un reato o un depistaggio, una battuta innocente o un’esagerazione, una menzogna intenzionale o una verità soltanto soggettiva. I verbali non sono fotografie di fatti, ma regesti di opinioni: quello che io dico al telefono o al pm che mi interroga non è un fatto, ma il racconto di un fatto – che potrebbe essere reale o inventato, uguale o diverso dal mio racconto. I processi, del resto, servono proprio a questo: a trovare le prove di colpevolezza (e non, come qualcuno vorrebbe farci credere, quelle di innocenza). Senza le prove, una frase è una frase: flatus vocis. Quando si parla di Murdoch, e quando si parla di Berlusconi. Il Giornale, 19 settembre 2011

ULTIMATUM SCADUTO PER SILVIO

Pubblicato il 19 settembre, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Mentre scrivo, è scaduto da sette minuti l’ultimatum della Procura di Napoli. Sono le 20.07, è partito il conto alla rovescia per l’accompagnamento coatto del fellone di Palazzo Chigi minacciato qualche giorno fa dalla buoncostume vesuviana. Le telefonate hard ci sono, lo sputtanamento pure, Arcore è circondata, la Arcuri è santa ma forse no, fuori i reggicalze, tutti dentro. È un’inchiesta Wonderbra e come in tutte le meraviglie ci sarà il colpo di scena. Vedremo i carabinieri giungere da Napoli con ordini perentori? No, prima le toghe dovranno chiedere l’autorizzazione alla Camera per ascoltare quella che per convenienza investigativa chiamano «la vittima» ma la trattano da imputato. L’Unione delle Camere Penali ha definito bene la scena: «Giocano al gatto con il topo». E saremmo la culla del diritto. Dentro Papa, fuori/dentro Milanese e ora l’attesa per la richiestona che taglia la testa al toro di Arcore, l’accompagnamento coatto di Silvio.
Quando il voyerismo e la pornografia da B-movie diventano atto giudiziario, siamo alla frutta congelata. Berlusconi ci prova, se ne infischia di tutelare la sua vita privata, fa casino. Non sono disponibili filmati (chissà, in futuro), abbiamo solo letto e ascoltato. Basta e avanza per dire che è un pasticcione. Ma ridicolo è anche il gruppo di Interceptor alla Pummarola che ascolta, mette nero su bianco un copione da Edwige Fenech e Alvaro Vitali e non si fa neppure sfiorare il cervello dal dubbio che lo scosciato pedinamento istituzionale e prostituzionale è un boomerang che dirotta il Paese verso la lotta tribale. Nessuna ragion di Stato. A Napoli traboccano di camorristi, ma vuoi mettere l’emozione di occuparsi di un’inchiesta sulla cui competenza territoriale incombono dei legittimi dubbi? Verbali desnudi. Altro che rating, spread, default. Chissenefrega, il dizionario in procura non è quello finanziario: vai col fetish. Coatto, mi raccomando. Mario Sechi, Il Tempo, 19 settembre 2011


LA MISISONE IMPOSSIBILE DI BERLUSCONI IN TRINCEA, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 18 settembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

Berlusconi incastrato: non ha commesso reati ma un errore politico. Si scusi per ripartire, ma resista e contrattacchi

Tecnicamente Berlusconi è incastrato. Quel che emerge dalle intercettazioni non è reato, non è un crimine, ma è peggio: è un devastante errore politi­co. Un uomo di Stato non deve parlare con un telefonino pe­ruviano, non deve maneggiare i liquidi in quantità sconsi­derate, non deve trovarsi in mezzo a piccole intermediazio­ni con aziende pubbliche, non deve imbarcare una compa­­gnia di giro rutilante sugli aerei di Stato, non deve fare in pri­ma persona quel che l’amicizia il diletto o l’imbarazzante condizione di sorvegliato speciale gli suggerisce, e per giun­ta n­on deve a nessun costo essere esposto in questi compor­tamenti davanti a tutti. Incastrato. È la parola giusta, di veri­tà, che chi ama Berlusconi e lo sostiene con consapevolez­za politica, e perfino amicizia personale, non deve nascon­dere. Né a sé stesso né ai lettori né a lui.

Dunque se ne deve andare? Subito? Difendersi da privato cittadino o da depu­tato? Deve farlo nell’interesse del­la maggioranza che lo ha eletto e poi lo ha sostenuto in Parlamen­to, nell’interesse del suo partito e del suo Paese, soprattutto del suo Paese? La mia risposta è «no», non deve. C’è qualcosa di importante e dignitoso che gli resta da fare. De­ve andare dai magistrati e dir loro la verità, che non è una verità cri­minale. Si è divertito in modo im­­prudente, ma si è solo divertito. E quando una ragazza ha insistito un po’ troppo, le ha detto che «a tempo perso» faceva il primo mini­stro. Ridendo, con l’autoironia che è sua, con la percezione da mo­nello del fatto che la faccenda sta­va diventando un po’ imbarazzan­te, perché poi lui, sì, se la godeva co­me desiderava e voleva, il che è in­sindacabile, ma aveva molte altre cose da fare, e le faceva.

Berlusconi deve scuse formali, non per il gusto delle belle donne («che sono care», come diceva nel documentario Silvio forever! con bella e simpatica improntitudine italiana, condivisa dal resto della vecchia nazione maschia), non per quello, ma per la situazione in cui si è cacciato, aiutato dalla sua folle giocosità, da una punta di in­nocentemanonimpeccabilesciat­teria, dalla solita corte che i grandi si portano sempre appresso. Le co­se specifiche per cui deve scusarsi le ho elencate all’inizio di questo ar­ticolo, che non avrei mai voluto scrivere (come chi legge immagina da sé). Le scuse ci vogliono, l’inter­rogatorio va reso, e non a Palazzo Chigi ma a Napoli. Con o senza av­vocati. Berlusconi non è un gang­ster, non deve nascondersi dietro il collegio dei bravi avvocati che fan­no di tutto per preservarlo di fronte all’accanimento che lo colpisce: è stato per quasi due decenni il capo degli italiani, di un’Italia diversa da quella che c’era sempre stata, un dandy colpito dall’invidia purita­na ma anche un uomo di idee e di fatti incancellabili, ha meriti e re­sponsabilità storiche, pubbliche, che non può nascondere sotto la sabbia della mera difesa della vita privata. Deve essere umano come lo è sempre stato. Sa di avere sba­gliato, deve scusarsi.

Poi, il contrattacco. Gli italiani sa­ranno anche cinici ma non sono stupidi. Sanno che la vita privata è grigioscura. Sanno che se Agnelli, Carli, Colombo e molti altri emi­nenti protagonisti della nostra sto­ria, come è avvenuto per Martin Lu­ther King e per John Kennedy, fos­sero stati sottoposti allo screening barbarico, oltre che grottesco, toc­cato a Berlusconi, nessuno sareb­b­e sopravvissuto per la monumen­talizzazione in memoriam. Sanno che nel modo in cui è trattato Berlu­sconi, da un pugno di magistrati e dai mass media, c’è qualcosa di atroce, di losco, di civilmente irre­sponsabile, di antinazionale, di sommamente ingiusto. Un grande imprenditore e impresario corag­gioso, pieno di idee e di fuoco nella pancia, ha conquistato la guida del­­lo Stato, ed è questo il peccato origi­nale che l’Italia parruccona non gli ha mai perdonato. E in questo la maggioranza degli italiani sente di essere stata manipolata e inganna­ta.

L’ultimo inganno sarebbe darla vinta ai suoi avversari e nemici.C’è una soluzione sana, seria, politica­mente credibile e responsabile per interrompere la legislatura o for­mare un nuovo governo che sap­pia fare alcune cose recenti fatte dall’armata Berlusconi, come la nomina di Draghi a Francoforte, quella di Saccomanni alla Banca d’Italia, una manovra di argine fi­nanziario al disastro internaziona­le della «comunità di debito» chia­mata Europa (banche tedesche comprese)? C’è gente in grado di af­fro­ntare con forza questioni dram­matiche e urgenti come il mercato del lavoro, i livelli abnormi di spesa pubblica improduttiva, il bisogno di misure per la crescita economi­ca capaci di scardinare assetti cor­porativi e sindacali arcaici? Non c’è.

Eliminato Berlusconi personal­mente, posto che Berlusconi accet­ti di andarsene senza un’ordalia elettorale che oggi nessuno vuole, le soluzioni possibili, interne alla maggioranza o di unità nazionale, non danno alcuna garanzia di riu­scita, di significato. Eppoi, questo è il punto decisivo, l’Italia non deve festeggiare la liberazione da Berl­u­sconi e dal berlusconismo in nome di disvalori belluini come quelli che hanno portato a centinaia di migliaia di intercettazioni usate co­me arma impropria di lotta politi­ca, alla esibizione di un tredicenne nel ruolo di Torquemada in uno sta­dio di Milano, e alla trasformazio­ne di peccati personali in reati pub­blici, la via più sicura verso l’ingiu­s­tizia e l’asservimento a una mora­le insincera, più fatua e dannosa di qualsiasi telefonata tra il premier e Tarantini.

Fatte le sue scuse, ammessi i suoi errori, umano e vero, Berlusconi deve resistere e contrattaccare.

È una missione quasi impossibile, l’unica degna. GIULIANO FERRARA.

.……..Dobbiamo ammetterlo, Ferrara ha ragione. Con tutti gli erorri che gli possiamo imputare, non possiamo non riconoscere a Berlusconi i suoi   meriti politici e storici:  nel 1994 salvò l’Italia dalla infernale  macchina da guerra del PCI di Occhetto che avrebbe stritolato  e nel 2008 realizzò il grande sogno dell’Italia moderata e anticomunista, cioè la nascita di un unico grande partito del centro destra. Fra questi due avvenimenti si inseriscono quelli che Ferrara chiama un pò eufemisticamente  “errori” per i quali egli deve chiedere scusa agli italiani, ai milioni di elettori, tra cui tantissimi giovani, e tante, tante ragazze che mai si sognerebbero di infilarsi nel letto di un settantantenne per ottenere soldi e favori. Non è facile, non sarà facile, accettare le scuse e fare finta di niente, sopratutto da parte di chi considera l’etica pubblica un bene incommensurabile, pure dobbiamo riconoscere che Ferrara ha ragione. Berlusconi riconosca che i suoi comportamenti privati, ancorchè penalmente irrilevanti, non sono stati consoni alla sua storia e sopratutto al suo ruolo e riconosca di aver  offeso la dignità e la fede e i valori di milioni di elettori che dal 1994 gli hanno dato fiducia e credito….poi……. poi  riprenda il suo ruolo e compia l’ultimo grande gesto d’amore per l’Italia anticomunista: favorisca il passaggio indolore  del testimone,  da se stesso, leader unico e indiscusso,  ad una classse dirigente che  dopo di lui non si dilani, impedendo che il PDL faccia la fine della Dc che si infranse in mille pezzi come purtroppo aveva vaticinato, inascoltato, Aldo Moro. Solo così  Berlusconi potrà sperare e noi con lui che la Storia non lo ricordi per le squallide storie raccontate da un parvenu come Tarantini e lo ricordi invece per i suoi meriti verso l’Italia. g

GUERRA TRIBALE SENZA DIRITTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 18 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi al telefono a Strasburgo per il summit Nato In un Paese normale, le cose andrebbero così: il presidente del Consiglio si presenta davanti ai magistrati e risponde alle domande. In un Paese normale. L’Italia non lo è. Silvio Berlusconi è oggetto di un subdolo disegno: farlo passare per vittima levandogli le garanzie di un imputato e poi, dopo averlo rosolato nella sua solitudine, senza un avvocato, trasformarlo nel bersaglio vero dell’accusa. Come spiega un documento dell’Unione Camere Penali, l’organismo associativo più autorevole degli avvocati italiani, a Napoli si sta consumando una vicenda in cui i pm «giocano al gatto con il topo» (LEGGI ARTICOLO IN CODA). La vittima della presunta estorsione di Tarantini e soci è il vero obiettivo di tutto l’ambaradan investigativo da sexy shop. Si tratta di una questione di diritto che supera la persona di Berlusconi e mette sul piatto della bilancia l’equilibrio tra accusa e difesa. Un principio che viene calpestato ogni giorno nelle procure e nei tribunali italiani. La vicenda che riguarda il capo del governo è di una gravità estrema. La diffusione dei verbali che entrano ed escono da uffici giudiziari “groviera” è qualcosa che merita l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura. Silenzio. Sarebbe scandaloso far rispettare la legge prendendo come caso quello di un cittadino al di sotto di ogni diritto come Berlusconi. La distruzione di vite e storie personali è aberrante. Siamo piombati in un’era medioevale in cui l’occhio per occhio dente per dente è la regola. Berlusconi potrebbe anche lasciare Palazzo Chigi, ma la questione di legittimità di quest’azione resta. É un macigno e rischia di trascinare l’Italia in una guerra tribale.  Mario Sechi, Il Tempo, 18 settembre 2011

Violate le regole del processo”

Berlusconi e i pm, intercettazioni e testimonianze: duro documento dell’Unione Camere Penali sulla procura di Napoli.

Il premier Silvio Berlusconi Intercettazioni «svincolate» dalla loro «naturale finalità», prassi illegittime, come quella di «ascoltare nella veste di persona informata sui fatti», e dunque senza avvocato, «persone potenzialmente sospettate dei reati per i quali si indaga». Ancora: ordinanze di custodia cautelare emesse prima di aver sentito la presunta vittima e scorrettezze verso gli avvocati «forzosamente sollevati dal segreto professionale con riguardo ad avvenimenti appresi nel corso del mandato». È quello che sta accadendo a Napoli con il caso Tarantini. Una prassi che «permette al pubblico ministero di giocare letteralmente al gatto con il topo con chi è oggetto di attenzione nell’indagine». È l’allarme lanciato dall’Unione delle Camere Penali Italiane, messo nero su bianco in un documento approvato ieri. I penalisti, ovviamente, non entrano nel merito del procedimento che riguarda, come presunta vittima, il presidente del Consiglio Berlusconi ma mettono in guardia contro l’uso distorto della giustizia «che tutti i giorni si fa nei tribunali». Secondo gli avvocati, a Napoli i magistrati seguono prassi illegittime verso le persone coivolte «all’occorrenza, ignorandone la veste sostanziale di indagato, o di indagato in procedimento connesso o collegato, per poterlo ascoltare in assenza di garanzie di difesa». Si tratta di una «ripetuta violazione di alcuni diritti fondamentali, in particolare del diritto di difesa tanto sul piano del rispetto delle regole di tutela degli indagati, sia per ciò che concerne l’intangibilità del rapporto tra l’avvocato ed il proprio assistito». I legali se la prendono anche con la politica, colpevole di accorgersi «delle illegalità solo quando queste la colpiscono oppure finge di non sapere che è dovere di tutti i cittadini, anche del presidente del Consiglio, rendere testimonianza quando ciò è necessario e se realmente la veste di testimone è giustificata». Tuttavia, i penalisti sottolineano come l’inchiesta che chiama in causa il premier dimostri ancora «che in questo Paese è normale che vengano emesse ordinanze di custodia cautelare, per un reato come l’estorsione, prima ancora di aver interrogato la presunta vittima e prima di avergli chiesto dove mai il fatto si sarebbe consumato. Il che fa dubitare dello stato delle garanzie – per tutti i cittadini non solo per Berlusconi – e della reale finalità di questo braccio di ferro processuale, che senza ipocrisie segna l’ennesimo capitolo dello scontro tra politica e magistratura». Ma non è tutto. Nel corso dell’indagine napoletana, ricorda ancora l’Unione delle Camere Penali Italiane, gli avvocati «sono stati ascoltati come testimoni e forzosamente sollevati dal segreto professionale su avvenimenti appresi in occasione del mandato e potenzialmente pregiudizievoli quantomeno dell’immagine dei loro assistiti. Tutto ciò – si legge nel documento approvato ieri dalla Giunta – non in presenza di alcun tipo di comportamento illegittimo, secondo gli stessi inquirenti, da parte degli avvocati che ben avrebbe determinato l’eliminazione delle guarentigie difensive». Ciò per i penalisti è «intollerabile e si iscrive nella progressiva erosione di quell’ambito sacrale ed intangibile che deve tutelare l’attività difensiva che connota questi ultimi anni in cui si sono registrati reiterati ascolti di conversazioni tra difensori ed indagati, ipocritamente giustificati dalla giurisprudenza a seconda dell’utenza intercettata; ovvero con iniziative come quelle degli ultimi mesi che hanno visto diverse Procure incriminare taluni difensori per il reato di infedele patrocinio in funzione delle scelte da costoro operate all’interno dei processi». Una prassi, «invalsa in molte Procure», che costantemente si ripete mentre «alla intangibilità del rapporto tra l’avvocato e il proprio assistito si deve restituire reale tutela» ribadisce l’Unione Camere Penali. Le parole della Giunta dei penalisti sono nette e denunciano ancora «una prassi contra legem diffusissima, apparentemente giustificata dall’ampia discrezionalità che la legge, e soprattutto la giurisprudenza, riconoscono al pm rispetto al momento di iscrizione nel registro notizie di reato degli indagati, ma in realtà frutto di un rigurgito di cultura inquisitoria che ciclicamente riemerge». Per le Camere penali si tratta quindi dell’«ennesimo punto di degrado del conflitto improprio tra politica e magistratura, punteggiato dalla consueta, ma non per questo accettabile, circolazione di brogliacci di intercettazioni telefoniche che costituiscono oramai una micidiale forma di gogna moderna del tutto svincolata dalla sua naturale finalità». E la politica, si fa notare ancora, continua a «non rendersi conto che l’unica maniera corretta di affrontare la questione è quella di ridisegnare in modo equilibrato l’assetto costituzionale della giurisdizione e riformare alcuni istituti processuali, mettendo mano alle proposte che pure giacciono in Parlamento su entrambi i temi». Oggi più che mai, concludono i penalisti, «ribadiamo che per dare un nuovo volto alla giustizia occorre “costruire sulle macerie”, segnalando che di fronte all’attuale degrado, l’avvocatura penale, non potrà che adottare forti iniziative di protesta anche a tutela della libertà della Difesa». Alberto Di Majo, il Tempo

DIETRO L’ANGOLO DEL CAVALIERE

Pubblicato il 17 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Esiste un’ipotesi più sana e più credibile di Silvio Berlusconi al governo? Meglio le elezioni anticipate, un governo tecnico o un governo di unità nazionale? Il professor Gianfranco Pasquino e il professor Alessandro Campi, due politologi di diversa estrazione culturale, l’uno di centrosinistra ed ex senatore del polo progressista, l’altro di centrodestra ed ex consigliere di Gianfranco Fini, accettano il gioco di società (non così peregrino) del Foglio e si scoprono d’accordo: lo scenario più naturale e credibile è quello di un governo del centrodestra, con Pdl e Lega, allargato alle forze del Terzo polo e guidato da un uomo del Pdl, anche da Angelino Alfano. “Ma l’operazione richiede buon senso da parte di Berlusconi”, dice Pasquino. “Spetta agli amici del Cavaliere convincerlo a fare un passo indietro. Dentro il Pdl c’è gente capace, che potrebbe guidare un governo. Penso ad Alfano, ma anche a Formigoni e ad altri. Il premier sbaglia a rifiutare questa ipotesi che salverebbe la sua storia personale e politica, il suo partito e anche l’Italia nella difficile contingenza della crisi economica. Riportando nel centrodestra l’Udc di Casini e conquistando anche l’Api di Rutelli, Berlusconi chiuderebbe il proprio ciclo al governo completando una interessante operazione di ‘rifondazione’ del centrodestra. Penso che Gianni Letta e Fedele Confalonieri debbano insistere con il Cavaliere nel dire quello che pensa anche l’avvocato Gaetano Pecorella, non certo un nemico di Berlusconi, ovvero che il premier deve farsi da parte. Mi preoccupa che Berlusconi rifiuti questa ipotesi. Forse significa che non si fida nemmeno del suo partito e dei suoi uomini”.

Alessandro Campi, che ha da poco inaugurato un centro di studi politologici, l’Istituto di politica, descrive un’ipotesi del tutto simile a quella del professor Pasquino salvo aggiungervi una sfumatura: “Gli uomini intorno al premier devono ottenere questo risultato ‘convincendo’ Berlusconi, ma anche un po’ ‘costringendo’ Berlusconi. E’ necessario che si crei un grande centro nel Pdl, una forza capace di premere anche con le maniere forti, se necessario. Ma per arrivare a questo risultato nel Pdl dovrebbero riuscire a liberarsi dall’idea della mistica berlusconiana, ovvero dal riflesso che porta alcuni di loro a credere che prima di Berlusconi non ci fosse nulla e che dopo Berlusconi non ci sarà nulla. Non è così e alcune personalità politiche del Pdl credo lo sappiano bene, mi riferisco a Formigoni, ad Alemanno, ad Alfano, a Claudio Scajola, ad Antonio Martino che rappresentano gruppi organizzati. E poi a personalità singole, ma rappresentative come Giuseppe Pisanu”. Sia Pasquino sia Campi escludono ogni altra ipotesi: governi di unità nazionale ed elezioni incluse. “Le elezioni, con quaranta giorni di campagna elettorale e gli speculatori a volteggiare sul nostro paese, sarebbero un disastro”, dice Pasquino.

E l’unità nazionale? “Presuppone una cultura politica ormai uscita dal nostro orizzonte. Da anni, se maggioranza e opposizione collaborano, si parla di ‘inciucio’”, dice Campi. E Pasquino rafforza: “Si tratta comunque di un’ipotesi che avrebbe bisogno del consenso di Berlusconi. E se lui non è d’accordo a un governo del Pdl, figurarsi se vuole un governo col Pd”. Per entrambi i politologi il Cav. resta, dunque, la figura centrale, ancora padrone del proprio destino. Ha scritto ieri Marcello Sorgi a proposito della capacità del Cavaliere di resistere: “Sembra impossibile che possa riuscirci anche stavolta. Eppure in queste condizioni sarà un disastro se non riuscirà”.

LETTERA AL “FOGLIO” DI SILVIO BERLUSCONI

Pubblicato il 17 settembre, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Caro direttore,
è vero, come Lei scrive, che il mio comportamento, così come descritto dai giornali in questi giorni, appare scandaloso. Ma il mio comportamento non è stato assolutamente quello che viene descritto ed io Le confermo, come ho già avuto modo di dirLe, che non ho fatto mai nulla di cui io debba vergognarmi. E’ invece, per fare un esempio, del tutto inaccettabile e addirittura criminale che persone che sono solo state presenti a mie cene con numerosi invitati siano marchiate a vita come “escort”. Mi dispiace anche, per fare un altro esempio, dei falsi pettegolezzi che sono stati creati grazie ai soliti brogliacci telefonici sulla signora Arcuri, che è stata invece mia ospite inappuntabile in Sardegna e a Palazzo Grazioli.

Non ho affatto intenzione di respingere una richiesta di testimonianza, che è mio interesse rendere, tanto che ho già inviato una dichiarazione scritta ma che ha, così come congegnata, l’aria di un trappolone politico-mediatico-giudiziario. Pretendo però come ogni cittadino che i magistrati rispettino anche loro la legge. Da tre anni sono sottoposto a un regime di piena e incontrollata sorveglianza il cui evidente scopo è quello di costruirmi addosso l’immagine di ciò che non sono, con deformazioni grottesche delle mie amicizie e del mio modo di vivere il mio privato, che può piacere o non piacere, ma che è personale, riservato e incensurabile. Il problema però è che da tre anni è in atto un mascalzonesco tentativo di trasformare la mia vita privata in un reato.  Ed è questo uno scandalo intollerabile da parte di un circuito mediatico e giudiziario completamente impazzito di cui nessuno sembra preoccuparsi e di cui nessuno si scusa.

Questo incommensurabile scandalo non riguarda solo me. Decine, centinaia di persone sono esposte al ludibrio e al linciaggio, senza alcuna remora sia quando si tratti di gente comune o di personalità della vita pubblica e di questioni di bottega domestica sia perfino quando si tratti di vicende che determinano lo status del Paese sulla scena internazionale. Non è mai successo prima.

Nessun uomo di Stato è stato fatto oggetto di una aggressione politica, mediatica, giudiziaria, fisica, patrimoniale e di immagine come quella a cui sono stato sottoposto io. È un trattamento inaccettabile, che si accompagna a una campagna di delegittimazione che punta a scardinare il funzionamento regolare delle istituzioni per interessi fin troppo chiari. La campagna si è intensificata quando ho vinto le elezioni per la terza volta, quando il sistema è stato semplificato e reso più trasparente in senso bipolare, quando si è capito che era alle porte una legislatura aperta alle riforme necessarie alla crescita di questo Paese e alla sua modernizzazione. Missione difficile per la quale ho cercato di mettere in campo gente nuova, estranea ai vecchi giochi dell’establishment, gente giovane e votata al “fare”. Questa campagna non è mai finita, si è nutrita di attacchi a me, al mio partito, ai miei uomini, ai miei ministri, alla generazione di giovani che ho promosso in politica, e si è sparso su tutti il magma eruttivo dello scandalismo per ridurre in cenere una alta popolarità e una grande speranza. Sfruttando ogni aspetto della mia vita privata e della mia personalità, cercando di colpirmi definitivamente con mezzi diversi da quelli della critica politica e della verifica elettorale.

Lei dice bene: Berlusconi è uno scandalo permanente, perché è scandalosa la pretesa di governare stabilmente un Paese con il mandato degli italiani, è scandaloso che un imprenditore rubi il mestiere a una classe politica fallimentare, è scandalosa la pretesa di fronteggiare la grande crisi mondiale con mezzi e con propositi diversi da quelli tradizionali. Ho presentato il mio governo alle Camere nel 2008 chiedendo uno sforzo comune per la crescita e proponendo una fase nuova e pacificata nella vita nazionale dopo le drammatiche divisioni del passato e l’imbarbarimento del linguaggio e dei metodi politici. Ho cercato di fare il mio dovere e di riunificare il Paese, come con il discorso di Onna il 25 aprile. Ho ammonito tutti, nel gennaio di quest’anno, sulla necessità di arrivare alla primavera-estate, mentre nuove regole e parametri incombevano sul sistema finanziario europeo e mondiale, con la più grande frustata della storia al cavallo dell’economia.

Non tutto quello che in politica si vuole è poi possibile ottenerlo, e non nego anche miei possibili errori. Ma l’obiettivo di distruggere un uomo politico e una leadership, usando mezzi impropri e di dubbia legalità, come ha fatto e fa il circuito mediatico-giudiziario, costituisce un tentativo che sa di profonda, radicale ingiustizia e che va combattuto per la libertà di ciascuno di noi.

Io non mollo, caro direttore. Per quanto lo spionaggio sistematico e l’accanimento fazioso mi abbiano preso di mira, e con me vogliano arrivare a pregiudicare l’autonomia e la sovranità del Parlamento e del popolo elettore, c’è ancora in questo Paese, in questa Italia che amo e che è stata divisa da una partigianeria senza principi, un’opinione pubblica, un insieme di persone e di gruppi leali allo spirito repubblicano, una maggioranza di italiani che non sono disponibili ad avventure e a nuovi ribaltoni decisi nei salotti, nelle redazioni e in certi ambienti giudiziari.

Il mio appello è a tutte le persone e le forze responsabili, e non deriva da interesse personale. È un appello in nome dei valori di libertà, di autonomia e di indipendenza dell’individuo di fronte allo Stato, un monito che viene raccolto ogni giorno da molti e il cui frutto sarà pronto per il giudizio dei cittadini quando si terranno, nel 2013, le prossime elezioni politiche.

Alcuni circoli mediatico-finanziari anglofoni mi hanno giudicato inadatto a governare l’Italia ma gli italiani sono stati di diverso parere, e ho dalla mia, dal tempo in cui entrai in politica, risultati che saranno scritti nei libri di storia. Saranno ancora una volta gli italiani, e poi gli storici, a dare il loro giudizio su un Paese in cui si fanno centomila e poi altre centomila intercettazioni ancora per devastare attraverso i media il lavoro quotidiano di chi ha avuto l’investitura democratica per guidare l’Italia in questi anni difficili.  Silvio Berlusconi

: BERLUSCONI E I MAGISTRATI: RAGIONEVOLI CONSIDERAZIONI

Pubblicato il 17 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il premier scelto dagli elettori va rispettato. Ma la premiership , consacrata dal voto popolare, deve essere esercitata meritandosela ogni giorno, proprio per rispettare la volontà di quegli elettori. Il governo, però, rischia di dissolversi e di avvitarsi nei suoi errori. Bossi è stato sin troppo esplicito, purtroppo tra l’ennesimo gestaccio e l’ennesima pernacchia: così non si può andare avanti fino al 2013. L’elettorato di centrodestra è deluso e frastornato. I suoi capi devono comprenderne gli umori e i malumori, e non rinchiudersi nell’ultima trincea, bollando come tradimento e diserzione ogni barlume di ragionevolezza.

La ragionevolezza dice che il conforto dei ripetuti voti parlamentari di fiducia non è più in grado di nascondere la debolezza oramai macroscopica di un governo che certo ha appena avuto il merito di varare una manovra economica di dimensioni gigantesche, ma che appare ogni giorno di più assente, risucchiato in una logica di autodifesa, appiattito e svuotato nello scontro incandescente tra il suo leader e la magistratura. La sua credibilità ne risulta fortemente intaccata. E forse i primi a non credere alle loro parole e ai loro proclami sono proprio i suoi esponenti di spicco che parlano di riforme da fare, ma sanno che certamente non saranno fatte da qui al 2013. Per questo l’abulia politica del premier rischia di contagiare tutto lo schieramento che lo sostiene. Impedendo allo stesso centrodestra di immaginare un futuro politico che, oramai appare chiarissimo, non potrà più riconoscere come suo leader eterno la personalità di Silvio Berlusconi, trascinante in un quindicennio che lo ha visto protagonista assoluto ma che sembra aver irrevocabilmente imboccato il viale del tramonto.

L’opinione pubblica del centrodestra non ha torto quando sente un eccesso persecutorio, il modo accanito con cui una magistratura ossessionata dalla figura di Berlusconi sogna una spallata politica che si fa forte di una montagna di oltre centomila intercettazioni (un’enormità) per minare la stessa reputazione politica e personale del premier, prima ancora che la verità giudiziaria sia accertata. Ma è nell’interesse dello stesso centrodestra che la fine di un’esperienza politica di oltre diciassette anni non assomigli allo sprofondamento di un regime asserragliato nel palazzo del capo, in una spirale di auto-emarginazione destinata ad annientare ogni possibilità di rinascita con una nuova leadership e una nuova classe dirigente.

Hanno ragione a dire che non può essere la magistratura l’istituzione abilitata a far cadere i governi. Ma una politica responsabile è anche quella che sa imboccare tempestivamente un’altra strada prima di ingaggiare una guerriglia di resistenza pur di non prendere atto di una situazione di disagio che lo stesso Bossi ieri ha impietosamente fotografato. Scelga il centrodestra la formula giusta e gli uomini più rappresentativi per chiudere un capitolo della storia politica italiana e per aprirne un altro in cui il suo elettorato possa riconoscersi. Per promuovere una transizione politica e non per subire un diktat giudiziario. Nell’interesse di tutti, ma anche di un centrodestra che rischia di finire nel discredito e nella mancanza di una leadership sempre più incapace, oramai, di onorare gli impegni presi nel 2008. Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera, 17 settembre 2011

IL QURINALE INASCOLTATO

Pubblicato il 17 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il direttore del Riformista, Emanuele Macaluso, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano L’ex senatore e dirigente comunista Emanuele Macaluso, legato da una vita all’amico ed ex compagno di partito Giorgio Napolitano, non avrà certamente condiviso la lettera con la quale Silvio Berlusconi ha spiegato le ragioni del rifiuto di “mollare” di fronte all’ennesima offensiva giudiziaria, politica e mediatica. Ma altrettanto certamente non ne sarà rimasto sorpreso, avendo pure lui protestato ieri come più chiaramente e vigorosamente non si poteva contro lo scempio che “anche” i magistrati fanno degli “equilibri istituzionali”. E dei “richiami” del presidente della Repubblica. Di cui, in particolare, Macaluso ha ricordato in un apprezzabile editoriale del suo giornale – il Riformista- gli appelli contro l’uso distorto delle intercettazioni e le “esternazioni di procuratori chiacchieroni”. È “intollerabile”, secondo Macaluso, la furbesca “retorica” di usare gli interventi del capo dello Stato, come fanno i politici ma anche i magistrati, “solo per questioni che riguardano altri, e non se stessi”. Fra i politici egli ha messo in testa naturalmente il presidente del Consiglio per i suoi continui e “devastanti” attacchi alle toghe, senza distinzioni. Fra i magistrati, Macaluso ha citato, in particolare, il presidente della loro potente associazione e il capo della Procura di Napoli. Al primo, Luca Palamara, egli ha contestato di ignorare “le responsabilità di chi deve custodire le intercettazioni” negli uffici giudiziari e non lo fa. Al secondo, Giandomenico Lepore, ha contestato l’esibizionismo da quando cerca di interrogare anche con le cattive il presidente del Consiglio in un procedimento che lo vede parte lesa come ricattato. Ma dove il Cavaliere, che avverte “il trappolone”, potrebbe ritrovarsi indagato pure lui. Il fatto che il governo sia “screditato” e ne “occorra un altro”, ha scritto Macaluso, dal quale certamente non si possono attendere sconti politici a Berlusconi, “non può essere un alibi per nessuno” per sottrarsi al “dovere” di ristabilire un equilibrio istituzionale che non c’è più. Non può esserlo neppure per la magistratura, che in questo campo ha anch’essa i suoi obblighi. E deve decidersi a rispettarli. “Oggi, non domani”, ha avvertito Macaluso. Senza la pretesa, e neppure l’intenzione, di tirare la giacca a lui e al capo dello Stato, di cui egli riflette spesso pensieri, umori, preoccupazioni e quant’altro può procurargli una situazione critica come quella che attraversa il Paese, è augurabile che la sortita di Macaluso non venga liquidata come lo sfogo estemporaneo di un vecchio e deluso dirigente politico. E apra invece gli occhi a tanti suoi ex compagni di partito che dall’opposizione si mostrano interessati più ad aumentare la confusione che a diradarla, più ad esasperare gli animi che a placarli, nella illusione di potersi finalmente liberare del loro più odiato avversario di turno. Che è naturalmente Berlusconi, come lo era vent’anni fa Bettino Craxi. Delle cui debolezze ed errori, in materia per esempio di finanziamento illegale della politica, per quanto fosse una pratica generalizzata, proseguita anche dopo di lui pure a sinistra, come dimostrano le attuali vicende giudiziarie di Filippo Penati, l’ex braccio destro del segretario del Pd Pier Luigi Bersani; delle cui debolezze ed errori, dicevo parlando di Craxi, la sinistra volle che si facesse un uso giudiziario distorto per toglierselo dai piedi. Paradossalmente, fra le macerie di un comunismo che egli aveva avuto il torto di combattere. Francesco Damato, Il Tempo, 17 settembre 2011