Archivi per settembre, 2011

TOGHE, BANCHE E LUCI ROSSE, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 16 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Toghe, banche e luci rosse. Raccontiamo un Paese impazzito che ha deciso di frantumare se stesso nel vortice delle intercettazioni, delle spiate, delle relazioni scosciate e istituzioni ammosciate. Mi chiedo dove sia finita la ragion di Stato, quella che distingue una società tribale da una comunità civile. Non c’è niente di simile in tutto l’Occidente: una nazione intenta a pugnalarsi, a cercare l’eliminazione dell’avversario con mezzi non convenzionali, a sfasciare la propria casa e poi fare salti di gioia. Nerone incendiò Roma, noi stiamo dando fuoco alle polveri per far saltare tutto.
Berlusconi ha commesso molti errori, ma il martellamento giudiziario a cui è stato sottoposto è qualcosa di mostruoso. Non lo auguro a nessuno. Quando il voyeurismo e la pornografia escono dalla camera da letto per diventare atto giudiziario, quando la ghigliottina prende il posto della giustizia, quando le Vite degli Altri diventano gogna e basso istinto collettivo, allora scorre il sangue. Da tempo scrivo che per la storia personale di Silvio Berlusconi e quella collettiva del berlusconismo va pensato e messo in atto un soft landing, un atterraggio morbido. Parole vane. Unipol, metafora del Berlusconi presunto colpevole. L’accusa chiede l’archiviazione. No, il giudice terzo, decide che va processato lo stesso. Uomo nero. Alla sbarra. È il desiderio psicotico di vedere la vicenda umana e politica del Cav chiudersi nel modo più violento, a pietrate. La grandinata di sassi domani finirà in faccia ai lanciatori di oggi, ma nessuno vuol vedere l’epilogo da sterminio di massa. I verbali e le centomila intercettazioni sono una scarica di mitra non sulla libertà di Berlusconi, ma su quella di tutti i cittadini.
Oggi a lui, capro espiatorio dei mali nazionali, domani a un altro. E via così, in una roulette russa che non risparmierà nessuno. Rischiamo il downgrade del debito pubblico ad horas, siamo seduti su una bomba contabile da 1900 miliardi e l’Italia con pazza allegria si rotola nel fango tra pizzi, merletti e complotti. Mario Sechi, Il Tempo, 16 settembre 2011

..………….Il Capo dello Stato, l’ex comunista Napolitano, da Bucarest ha rivolto un accorato appello, l’ennesimo, alla coesione nazionale, alla necessità di uno sforzo comune, alla opportunità di trovare le ragioni dello stare insieme, per salvare l’Italia dalla crisi. Napolitano si rivolge agli italiani che, si sa, sono figli di mamma e perciò non mancheranno di raccogliere l’appello. E’ vero, imprecheranno oggi, domani, dopodomani, per l’immancabile impennata dei prezzi che seguirà alla manovra bis approvata dalla Camera ieri l’altro, ma poi, come sempre, si rimboccherranno le maniche, stringeranno la cinghia e continueranno a lavorare,  per sè e anche per gli altri, compresa la “casta” che anche questa volta pare l’abbia fatta franca. Gli unici che pare non siano intenzionati a raccogliere l’appello di Napolitano sono certi magistrati di “prima linea” i quali perseguono un unico obiettivo, distruggere Berluscponi che con tutte le colpe che può aver commesso, di certo passerà alla storia per essere l’italiano più perseguitato dalla giustizia. Napolitano è il presidnete del Consiglio Superiore della Magistratura, nella sua veste di  Capo dello Stato, ha quindi i titoli e l’autorià morale per chiedere oltre che agli italiani, anche ai  super italiani, cioè ai giudici di “prima linea”,  di fare la loro parte e senza pretendere di esentare Berlusconi dal dover rispondere come tutti alla Magistratura, gli si eviti quella che appare una mostruosa persecuzione giudiziaria, come sostiene Mario Sechi a ragion veduta. Lo farà Napolitano? Lo attendiamo alla prova di una effettiva imparzialità, perchè altrimenti saremmo autorizzati a ritenere che in Italia ci sono due categorie: quella a cui si può rivolgere l’appello alla coesione nazionale e  e qualle a cui è consentito di fare il contraro, cioè contribuire a sfasciare ciò che resta dello Stato. g.

ORIANA FALLACI VOLLE TORNARE A FIRENZE PER MORIRE. DA NEW YORK USO’ UN AEREO PRIVATO DI BERLUSCONI.

Pubblicato il 15 settembre, 2011 in Cronaca | No Comments »

Firenze – Da tempo viveva negli Stati Uniti, a New York, per l’esattezza. Ma quando sentì che la malattia che da anni la consumava stava per avere la meglio, Oriana Fallaci decise di tornare in Italia. Voleva chiudere gli occhi nel suo Paese. E vi riuscì, tornando a Firenze, dall’America, con un volo privato messo a disposizione da Berlusconi, all’epoca leader dell’opposizione. Il particolare inedito emerge a cinque anni di distanza dalla scomparsa della giornalista toscana. La decisione di tornare in Italia prima che fosse troppo tardi la prese a fine agosto 2006. Si spense poco dopo, il 15 settembre, nella clinica Santa Chiara in piazza Indipendenza.

“Voglio morire nella torre dei Mannelli guardando l’Arno dal Ponte Vecchio – disse la Fallaci spiegando la sua decisione -. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata”.

……Vuoi vedere che  anche per il rientro in Italia della indimenticata scrittrice,  ci scappa una qualche accusa di reato a carico di Berlusconi? Magari  trasporto di moribonda non autorizzato….

CARI PATRIOTI DI SINISTRA, L’ITALIA NON E’ COSA VOSTRA

Pubblicato il 15 settembre, 2011 in Costume, Cultura | No Comments »

Ma si può lasciare il tema del­l’identità nazionale sulle spalle di Giorgio Napolitano? E si può, alle sue spalle, trafugare il corpo del­­l’Italia, la sua storia e la sua passio­ne coltivata dalla destra storica e nazionale, cattolica e popolare, moderata e conservatrice, e affida­re il pacco tricolore alla sinistra? È quel che vedo accadere sul terre­no della politica, dei giornali e del­la cultura. Mentre il governo si oc­c­upa dell’Italia presente e denun­cia lo spirito antinazionale delle opposizioni, che remano contro il proprio paese pur di far cadere Berlusconi, l’idea dell’Italia, dal suo passato al suo futuro, la sua storia e la sua unità, la sua identità e la sua civiltà vengono traslate sul versante della sinistra. Galli della Loggia, nel suo libro dialogo con Aldo Schiavone – Pensare l’Italia – ammette che entrambi hanno«scoperto tardi l’Italia». Ma non so-lo i due intellettuali sono tardivi scopritori dell’Italia: un intero blocco politico, civile, mediatico e culturale ha scoperto l’Italia assai di recente e magari per circostanze un po’ meschine. Si sa come è nato il neo-patriottismo a sinistra: per mettere in difficoltà il governo con l’alleato leghista e per suscitare la reazione degli italiani nel nome della dignità nazionale ferita e discreditata nel mondo, sempre per colpa dello stesso governo. Ma io mi ricordo quando a sedici anni sventolavo il tricolore ed ero considerato per questo un estremista e un sovversivo; ricordo quando era proibito l’amor patrio anche per ragazzi che non avevano vissuto il fascismo, la guerra e la retorica passata; ricordo quanto disprezzo o distacco circondava il tema dell’identità nazionale e del pensiero italiano quando negli anni ottanta pubblicavo saggi sul tema e organizzavo convegni per pensare o ripensare l’Italia. Oggi rivedo gli stessi temi, a volte le stesse parole. E amaramente mi compiaccio.

PRIGIONE E LIBERTA’, di Davide Giacalone

Pubblicato il 15 settembre, 2011 in Giustizia, Il territorio | No Comments »

Marco Milanese Se il parlamentare Marco Milanese deve restare libero perché il parlamentare Alfonso Papa è carcerato? E se Papa si trova in galera, perché il parlamentare Alberto Tedesco siede al suo posto in Senato? Il tentativo di mascherarsi dietro la “libertà di coscienza” è ridicolo. Le forze politiche che vi ricorrono mostrano di mancare di responsabilità, oltre che di vergogna. I singoli parlamentari che se ne fanno scudo dovrebbero ricordare che una coscienza si dovrebbe averla, per volerla libera. Quando fu concesso l’arresto di Papa, con il determinante voto leghista e l’entusiasmo della sinistra, descrissi la scena come orrida. Non intendevo certo difendere Papa. Lui, come Milanese e Tedesco, mi paiono politicamente indifendibili. Una responsabilità per chi li ha candidati. Ma in gioco era ed è l’istituzione Parlamento, sicché l’arresto di un suo componente può essere concesso solo davanti a fatti gravissimi e conclamati. L’autorizzazione parlamentare non è una specie di primo processo, non concederla non significa considerare innocente il soggetto, ma un istituto a difesa dell’autonomia e sicurezza del Parlamento. Votandosi sulla sorte di una persona è chiaro che il voto è segreto, ma deve essere pubblica la motivazione, deve essere noto il ragionamento svolto da ciascuna forza politica, altrimenti si scade nella complicità e nel killeraggio. Su che votano, i colleghi parlamentari? Su casa sarebbero libere, le loro coscienze? Rispondono: sull’esistenza o meno del fumus persecutionis. Vale a dire sull’ipotesi che ci sia in atto un disegno persecutorio, da parte della procura. E Milanese sarebbe un perseguitato, mentre Papa no? Sarebbe un perseguitato Tedesco, che i suoi compagni di sinistra non ebbero il coraggio di difendere e che, con immensa ipocrisia e falsità, chiese lui stesso d’essere arrestato? Non scherziamo. La verità è che su Papa la sinistra mostrò d’essere forcaiola con gli avversari e garantista con sé stessa (cosa che capita anche ai parlamentari e alla pubblicistica di destra, perché se c’è una cosa poco diffusa, dalle nostre parti, è la cultura del diritto), e la Lega si prese una bella vacanza giustizialista, in modo da tornare nelle piazze e nei bar di casa e cercare di riprendere il posto e il tono di un tempo. Peccato che quella vacanza, ora, produce l’impossibilità di spiegare perché un altro parlamentare, per giunta amico di un loro amico (Giulio Tremonti), debba essere salvato. Il prossimo 22 settembre ci sarà il voto in Aula. Correggano il tiro e provino a dire qualche cosa di decente: no, non concediamo l’arresto di Milanese perché non si sottrae un membro al Parlamento senza che vi sia alcuna reale esigenza cautelare e senza che ricorra neanche uno dei motivi per cui un cittadino può essere privato della libertà, ma aggiungiamo anche che la custodia cautelare non deve mai essere uno strumento d’indagine, vale a dire di ricatto, e che il nostro voto a difesa di Milanese prelude ad una seria riforma, che la finisca con la sistematica violazione dell’articolo 275 del codice di procedura penale, talché nelle carceri italiane soggiornano troppi cittadini che la Costituzione c’impone di considerare innocenti. Un gesto tardivo, che giungerebbe nella fase terminale di una legislatura ulteriormente fallimentare nell’assicurare giustizia agli italiani, ma pur sempre il segno che, almeno, si è in grado di capire qual è la posta in gioco. Non lo faranno, sicché saranno libere le loro coscienze, ma anche il nostro giudizio. Pessimo. Il Giornale, 15 settembre 2011

.………….Come non essere d’accordo con quanto scrive Giacalone che sull’argomento è tornato più volte? Come non rimanere stupefatti dinanzi a decisioni che vengono prese volta a volta senza che nessuno nel Parlamento  abbia titolo per condannare chicchessia al carcere senza processo? Anche a noi dell’on. Papa poco ci importa, ma siamo d’accordo con Giacalone quando afferma che la questione è di principio e, peraltro, in sintonia con i Padri Costituenti che vollero garantire ai deputati una sorta di difesa dalla possibile ingerenza della Magistratura e che se vengono invocati come Santi un giorno si e l’altro pure per la Carta Costituzionale che si vorrebbe “intoccabile” non si capisce perchè solo per l’art. 68 della Costituzione avrebbero sbagliato. E lo stupore  è rinvigorito dalla notizia che un gip milanese, il cui nome da oggi diventerà un altro totem per la difesa della “legalità repubblicana”, ha chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi per il reato di “concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio”. Nulla di nuovo sotto il sole si dirà, visto che questo processo, se rinvio ci sarà,  non farà altro che allungare il numero dei processi a carico di Berlusconi. Ma questo ha una particolarità, anzi due. La prima è che il pm titolare dell’inchiesta aveva chiesto l’archiviazione non avendo riscontrato alcun reato nel fatto che Berlusconi avesse ascoltato il nastro della intercettazione dell’ex n. 1 della Unipol, Consorte, nel corso della quale Consorte informa Fassino della scalata dell’Unipol al sistema bancario italiano. Nonostante ciò, il gip non ha accolto la richiesta e ha ordinato al pm il rinvio coatto a giudizio di Berlusconi perchè “è storicamente provato che avesse sentito il nastro della conversazione che glie era stato regalato”. La seconda particolarità è costituita, oltre che dal fatto che diviene reato l’aver ricevuto  in regalo la registrazione di una intercettazione telefonica,  dalla rivelazione  in se di una intercettazione telefonica che tra l’altro non è direttamente imputabile a Berlusconi,  in un Paese nel quale le intercettazioni telefoniche, benchè coperte da segreto istruttorio, vengono divulgate a vagonate su tutti i giornali senza che a nessuno degli autori venga mai contestato alcunchè. Da ultimo le rivelazioni dell’Espresso sul caso Lavitola-Tarantini. E questo basta a dimsotrare che ha ragione Giacalone quando afferma che la riforma della Giustizia è atto doveroso e necessario, per assicurare agli italiani non solo i doveri ma anche i diritti. Come deve essere in tutti gli stati a ordinamento democratico. g

TORITTO: FATTI PRIVATI E VIZI PUBBLICI

Pubblicato il 13 settembre, 2011 in Notizie locali | No Comments »

Qualche notte fa, ignoti vandali hanno tagliato una cinquantina di alberi d’ulivo in un terreno di proprietà della famiglia del consigliere comunale Geronimo Filippo, che è anche assessore alla polizia urbana. Non è la prima volta che accade, perché, ci dicono, è accaduto anche nel recente passato. Deplorevole e deprecabile gesto non perché compiuto ai danni del “politico” ma  perchè compiuto. Purtroppo dalle nostre parti accade abbastanza spesso  che  le vendette vengano consumate nottetempo con sfregi che non esitiamo a condannare con forza. E, lo ripetiamo, non perché siano  stati compiuti  contro l’uno o contro l’altro, ma per il semplice fatto che siano  stati compiuti. Sin qui la deplorazione  contro gli ignoti vandali che però non ci esime dal deplorare anche  il tentativo di trascinare a tutti i costi  la questione in politica. Il fatto che il proprietario, o il di lui figlio, delle piante distrutte dalla furia vandalistica  sia un politico,  o,  meglio, uno che fa il consigliere comunale ( perchè la politica è un’altra cosa …. è una cosa seria  ) non è di per sé ragione per ritenere che la origine  del gesto sia necessariamente di natura politica.  Questa tesi, sostenuta dal corrispondente della Gazzetta senza prove di alcun genere, è  quantomeno azzardata, sia perché nessun inquirente, per quanto ci risulta, ha indicato la pista politica, pur senza escluderla, giacchè in questi casi, come è ovvio, nessuna  pista viene esclusa  a priori, sia perché non sono state escluse  piste  di altra natura.  Del resto, rilevato  che   l’attività del consigliere-assessore Geronimo viene svolta all’interno di un organismo  collegiale nel quale lo stesso è parte per nulla determinante, se la tesi “politica” fosse fondata  sarebbe necessario individuare  quale grave e significativo atto amministrativo sia stato assunto di recente  tale da determinare cotanta reazione dell’ autore del gesto vandalico e  individuare il perché la medesima reazione non abbia investito gli altri componenti della giunta comunale. Sempre da  parte del  corrispondente della Gazzetta si è lasciato intendere che  la ragione del gesto criminoso  sarebbe da ricollegarsi all’arruolamento”  di quattro vigili motociclisti di Bari  chiamati a fare servizio di vigilanza sul territorio e come conseguenza delle contravvenzioni che costoro avrebbero elevato nel corso della loro attività. E questo sarebbe il grave e significativo atto amministrativo? Intanto, della suddetta  iniziativa, ancorchè definibile positiva,   hanno menato vanto, se così si può dire, il sindaco e il comandante della polizia municipale, in un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno,  e solo in un secondo articolo,  all’indomani del primo,  si è “elogiato” per l’iniziativa lo stesso Geronimo   Filippo nella sua veste di assessore al “ramo”che comunque opera all’interno dell’organo collegiale, per cui è apparsa a tutti, la storia dei  due articoli,  una “guerra” interna alla maggioranza e alla giunta per attribuirsi i meriti di questa iniziativa  di cui francamente dubitiamo che ci sia da elogiarsi o auto elogiarsi più di tanto. Quindi, a dirla tutta, prima di Geronimo Filippo, la reazione del vandalo, se motivata dalle contravvenzioni,  avrebbe dovuto investire sindaco e comandante dei  vigili urbani. In verità, Geronimo  Filippo  all’interno della Giunta  e della maggioranza è  una mina vagante e potrebbero testimoniarlo i tanti che raccolgono le sue continue intemerate contro sindaco e giunta, compreso qualche consigliere di minoranza sollecitato, anche di recente,  a firmare una richiesta di convocazione straordinaria del consiglio comunale, da lui sponsorizzata alle spalle della maggioranza.  Azioni, le une e l’ altra che non  gli impediscono di continuare  a far parte della Giunta, il cui capo, cioè l’altro Geronimo , conoscendo di che pesce si tratta, poco se ne impipa,  anche perché gli basterebbe poco a ripetere con Geronimo Filippo  quanto già fatto con  l’ex vicesindaco Fasano che ancora piange sul suo defenestramento ( e relativa perdita della cospicua indennità).  Orbene, ci pare che l’assessore alla polizia urbana,  lo diciamo senza averne prova ma sulla scorta di quel che ci dicono del personaggio, capace per esempio  di suscitare generale  ilarità con l’abitudine di “vestire” la divisa di agente penitenziario  in occasione delle manifestazioni istituzionali  che Dio solo sa cosa c’entrino con il suo mestiere di agente penitenziario,  sta tentando di “usare”  l’atto vandalico del quale, deprecabilmente,  è rimasto vittima, per  trarne vantaggio politico. E anche in questo caso finendo per  suscitare altrettanta generale ilarità. Perchè è arduo sostenere che basti qualche  contravvenzione per scatenare una tale sproporzionata reazione …. salvo che non si sia trattato di una contravvenzione a comando, cioè pilotata.  Ma non osiamo neppure immaginare che i vigili urbani motociclisti di Bari si possano  essere prestati  al ruolo di esecutori di azioni meno che commendevoli.   Anche se, come diceva Andreotti, a pensar  male si fa peccato, ma talvolta (solo talvolta!) la si coglie nel vero. g.

SCOPPIA IN UN SITO NUCLEARE FRANCESE A 250 KM DA TORINO: UN MORTO E QUATTRO FERITI

Pubblicato il 12 settembre, 2011 in Politica estera | No Comments »

In Francia l’esplosione di un forno presso il sito nucleare di Marcoule, nel sud del paese (a 30 km da Avignone), ha provocato la morte di una persona e il ferimento di altre quattro. Per il momento “non c’è stata fuga radioattiva all’esterno”, fa sapere il Commissariato dell’energia atomica (CEA). I pompieri hanno comunque eretto un perimetro di sicurezza intorno alla centrale, a causa del rischio di fughe.

L’incidente “non riguarda sicuramente la centrale nucleare”, ha detto l’esperto Emilio Santoro, dell’Enea. “L’esplosione – ha aggiunto – è avvenuta in un impianto per il ritrattamento del combustibile”. Non è chiaro, al momento, se si tratti di un forno per estrarre l’umidità dal combustibile oppure di un impianto nel quale vengono fusi o vetrificati i metalli a bassa attività. “La causa dell’incidente al momento non è nota”, ha osservato Santoro. “Probabilmente si è trattato di un effetto prodotto da una cattiva gestione o dall’anomalia all’interno di un forno”.

Marcoule si trova a 242 km in linea d’aria da Ventimiglia, 257 da Torino, 342 da Genova. La centrale di Marcoule possiede 3 reattori UNGG (una versione francese del Magnox inglese) da 79 MW totali. E’ stata la prima centrale nucleare francese, nello stesso sito esiste anche un altro reattore (il N°1) costruito dal 1955 al 1956 da soli 2 MW e non utilizzato per la produzione elettrica. La centrale fa parte del più ampio sito nucleare Marcoule, un’istallazione industriale gestita da AREVA e dal CEA. A Marcoule furono costruiti i reattori nucleari a uso militare per le ricerche destinate alla costruzione della bomba atomica francese. ANSA, 12 settembre 2011

…………Ed ora elle due l’una: o costruiamo anche noi una centrale atomica a 250 km da una città francese, oppure intimiamo a Sarkozy di dismettere le sue centrali nucleari. E se non lo fa lo andiamo a bombardare.

ECCO CHI CALPESTA LA DEMOCRAZIA…….

Pubblicato il 12 settembre, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Qualcosa di losco, che sa di imbroglio e di fuori gioco sta accadendo in questi giorni gravi non tanto e non solo per il governo, ma per la salute della democrazia. Partiamo dall’ovvio: il gioco della democrazia, come il bridge, il calcio o gli scacchi è fatto di regole. Al contrario, le dittature si abbattono invece con insurrezioni, i veementi raduni di «indignati», si rovesciano con le armi, mentre i governi democratici si battono invece soltanto in due modi: in Parlamento e nelle urne. Se si usa nella lotta politica democratica l’armamentario con cui si abbattono le dittature, si abbatte la democrazia. È una regola storica dura e brutale che tutti dovrebbero conoscere, ma che in questi mesi viene dimenticata e calpestata.I fatti: parte per primo il senatore Pisanu con un discorso politico pienamente legittimo, dicendo che a suo parere Berlusconi farebbe bene a dimettersi per far spazio s un nuovo governo o d’emergenza. È un’opinione più che legittima.
Ma ecco che passa un solo giorno e l’onorevole nonché fine intellettuale e vicepresidente della Camera, Rocco Buttiglione fa un’affermazione bizzarra: dice che se Berlusconi si dimetterà potrà ottenere un «salvacondotto» che lo metterà al riparo dai processi giudiziari. In che possa consistere un tale salvacondotto non previsto dai codici né dalla tradizione, non si sa. Ma richiama alla memoria le vicende libiche: si dice a Gheddafi che se si toglierà di mezzo avrà un salvacondotto e non ci saranno vendette: potrà andarsene indisturbato.

Ed ecco che arriva giovedì 8 settembre (l’8 Settembre!) quando La7 manda in onda il film Silvio Forever di Roberto Faenza, con successivo dibattito fra Eugenio Scalfari, Giuliano Ferrara, Paolo Mieli, condotto da Enrico Mentana. Mieli mantiene una linea ragionevole anche se critica («Berlusconi ha comunque il merito storico di aver dato al Paese un’alternativa di destra democratica»), Ferrara una linea affettuosa con benevoli rimbrotti mentre Scalfari segue la linea dell’equiparazione del berlusconismo al fascismo.
Non è una novità, ma è un falso gravissimo e gravido di sventure per l’Italia: non esiste infatti, un «ventennio» berlusconiano, mentre si potrebbe al massimo potrebbe parlare di un «diciottennio» in cui Berlusconi è uno dei protagonisti politici: governa una prima volta dal 10 maggio del 1994 per essere rovesciato dieci mesi dopo. Si ripresenta contro Prodi nel 1996 e perde. Si ripresenta nel 2001 e vince. Si ripresenta nel 2006 e perde. Si ripresenta nel 2008 e vince e pochi dubitano che alle prossime elezioni, perda di nuovo. Dunque, di quale «ventennio» dittatoriale i farnetica?

Ma Scalfari sostiene che occorre «un Dino Grandi che convochi il Gran Consiglio del fascismo e faccia cadere Berlusconi». Allusione gravemente impropria anche perché Scalfari, che fu un giovanotto fascistissimo, sa che non esiste nemmeno per forzata analogia una situazione paragonabile a quella del 1943, anche se vale la pena ricordare che Mussolini fu l’unico dittatore della storia costretto alle dimissioni per un voto di sfiducia di un organo costituzionale e che in seguito a quel voto andò a presentare le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato che lo fece arrestare senza dirglielo, costringendolo a girovagare per le caserme di Roma in un’ambulanza piena di carabinieri fedeli al re. Dunque, l’allusione a Dino Grandi c’entra come i cavoli a merenda. Ma in chi non conosce bene la storia evoca la falsa analogia fra Mussolini e Berlusconi, suggerendo che Beppe Pisanu potrebbe essere il nuovo Dino Grandi.

Appare però sicuro che una grande manovra sia effettivamente in corso per far scaturire un governo d’emergenza o di salvezza nazionale. Ma sta di fatto che per poterlo varare occorrono due condizioni necessarie e sufficienti. La prima è che Berlusconi si dimetta e la seconda è che tutta o larga parte dell’attuale maggioranza berlusconiana dia la fiducia ad un nuovo governo senza Berlusconi. Forse la seconda condizione scatterebbe quasi automaticamente, ma per ora manca del tutto la prima: Berlusconi non ha, a quanto pare e malgrado le sue imprecazioni contro il «paese di merda», alcuna intenzione di mollare. Infatti il piano per dar vita a un nuovo governo prevede un pressing personale e crescente per costringere il presidente del Consiglio a mollare.
E il pressing sarebbe, anzi è, di carattere giudiziario: secondo le voci che circolano nuove intercettazioni, nuove richieste di arresti, nuovi colpi di scena dovrebbero, nelle intenzioni, funzionare come mazze ferrate per indurre Berlusconi a mollare la presa. Ed ecco che, alla promessa del tutto bizzarra e praticamente inattuabile del «salvacondotto», si aggiunge un nuovo elemento di scena: la promessa, anzi la garanzia, di sospendere o impedire ogni «vendetta». Sì, avete letto bene: vendetta. E anche qui balza agli occhi l’impropria simmetria, analogia o tentata specularità con il fascismo: la vendetta per eccellenza è piazzale Loreto a Milano, i cadaveri di Mussolini, Petacci, Bombacci e altri gerarchi appesi per i piedi allo stesso distributore di benzina che il giorno prima aveva visto sposti i corpi di alcuni partigiani passati per le armi.

Naturalmente nessuno dice «piazzale Loreto», ma dopo l’allusione a Dino Grandi (il fascista che fa cadere il fascismo) e al salvacondotto (che secondo alcuni fu offerto a Mussolini prima dell’arresto) ecco ieri l’altro a Chianciano Francesco Rutelli, ospite di un convegno dell’Udc: «Se Berlusconi dovesse fare un passo indietro deve essere chiaro che non ci sarà da parte nostra alcun proposito di vendetta».

L’ha ripetuto ieri a Repubblica Italo Bocchino: «Ci attendiamo da lui un gesto di grande generosità (cioè le dimissioni, ndr) e non si consumerà alcuna vendetta».

Ora, ammetterete, né il «salvacondotto» né la «vendetta» fanno parte dell’attrezzeria del linguaggio democratico, della lotta politica democratica, anche quella più brutale, feroce, ma costituzionale. Che sta dunque succedendo? Vorrei essere chiaro: qui non si tratta nemmeno di difendere Berlusconi. Qui si tratta di difendere il buon nome dell’Italia e della sua democrazia. Benché sia giusto stare bene attenti nel difendere la democrazia anche dalle possibili insidie striscianti, è un dato di fatto che ci troviamo in piena democrazia con un governo di pienissima legittimità democratica. Io stesso che come dirigente del Pli e membro del gruppo misto ho votato la sfiducia parlamentare il 14 dicembre per vedere se il Parlamento sapeva e poteva esprimere un’altra maggioranza, ho visto come tutti che non esiste. Ma evidentemente ci sono molte manovre e lavori in corso e questo fa parte del gioco politico perché la politica è un mondo in perenne attività. Ma che cosa c’entrano i salvacondotti e le sospensioni della vendetta? Non è questo il Paese dove poco fa hanno vinto Pisapia e De Magistris? Non è questo il Paese in cui l’opposizione di Di Pietro è stata premiata ai referendum?

Non si rendono conto coloro che usano il linguaggio fasullo delle inesistenti analogie con il fascismo, che così facendo accoltellano la democrazia e il Parlamento? Davvero sfugge a queste menti finissime che oggi è la democrazia ad essere azzerata nel cuore, nella memoria e nelle menti degli italiani? Chi concederà loro, se la democrazia crollasse, il salvacondotto per le gravi responsabilità e la vendetta della storia, la stessa damnatio memoriae che colpisce ancora oggi i pavidi e gli opportunisti che sgretolarono e distrussero la democrazia spianando la strada al fascismo? Paolo GUZZANTI, Il Giornale, 11 settembre 2011

……Non ci piace granchè Guzzanti, fors’anche per le sue dirette discendenze, ma questa volta dobbiamo riconoscere che la racconta giusta….del resto le avevamo già colte anche le incredibili rassicurazioni di Buttiglione Bocchino, a cui si è unito anche Rutelli, circa “salvacondotti” per Berlusconi dai suoi processi se accettasse di togliersi dai c…i. Come se l’Italia,  e la sua Giustizia,  fosse una specie di  repubblica delle banane  o dei mau-mau do ve la giustizia la si amministra nob con la bilancia della legge ma con le regole dei satrapi. g.

11 SETTEMBRE, IL GIORNO DEL RICORDO: OBAMA E BUSH INSIEME A RENDERE OMAGGIO AI CADUTI

Pubblicato il 11 settembre, 2011 in Politica, Storia | No Comments »

11 Settembre, il giorno del ricordo: Obama con Bush a Ground Zero
Una ferita ancora aperta, un ricordo che non potrebbe essere più vivo. Dieci anni dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle del World Trade Center e al Pentagono l’America si ferma per ricordare le quasi tremila vittime e l’eroismo dei passeggeri e dell’equipaggio dell’aereo schiantatosi al suolo in Pennsylvania, impedendo ai dirottatori di raggiungere il quarto obiettivo, sempre rimasto ignoto. Mentre il vicepresidente Joe Biden era al Pentagono e a Shanksville, in Pennsylvania, iniziavano le altre cerimonie di commemorazione, migliaia di persone si sono raccolte a Ground Zero, dove è stato inaugurato il National Semptember 11 Memorial, una piscina con un buco quadrato in mezzo, all’interno del quale cade a cascata acqua, ai piedi della Freedom Tower che pian piano sta salendo verso il cielo: è il simbolo del vuoto lasciato dalle torri nel cuore della città e dalle vittime nel cuore delle loro famiglie, ma anche il simbolo della rinascita di New York. I nomi sono tutti scolpiti nel bronzo: qualcuno li accarezza lievemente, si porta la mano alla bocca in un rapido bacio, si asciuga le lacrime. Alla cerimonia di Ground Zer, alle  8,46, ora americana, ora del primo attacco alle Due Torri,  c’erano il presidente americano Barack Obama e la first lady Michelle, arrivati mano nella mano, vestiti di nero, e accompagnati dall’ex presidente George W. Bush, con la consorte Laura. Si sono fermati davanti al monumento, poi hanno proseguito fianco a fianco: oggi non c’è spazio per le divisioni politiche, non c’è spazio per i dissapori e le divergenze. Oggi gli americani sono una sola persona. Sul palco Obama ha letto un passo del Salmo 46, Bush un passaggio di una lettera scritta da Abraham Lincoln a una donna che ha perso cinque figli durante la Guerra Civile (nota a margine: l’ex presidente è stato accolto dagli applausi, Obama no). Il presidente ha poi lasciato Ground Zero: sta volando a Shanksville, dove deporrà una corona di fiori sul monumento dedicato alle vittime, poi tornerà a Washington dove prima sarà al Pentagono quindi, questa sera (la notte italiana) parteciperà al concerto di commemorazione al Kennedy Center. C’erano anche il sindaco di New York Michael Bloomberg e il suo predecessore Rudy Giuliani, che ha letto un passaggio dall’Ecclesiaste, c’erano il governatore dello stato Andrew Cuomo e George Pataki, in carica durante gli attentati, per una cerimonia vibrante. A Ground Zero sono risuonate anche le parole, in italiano, di una donna che negli attacchi ha perso la figlia: “Laura ti voglio tanto bene, sarai sempre nel mio cuore”, ha detto. La cerimonia è stata trasmessa sui megaschermi di Times Square, dove le bandiere sono a mezz’asta, come nel resto della città: un passante, Edward Harkewicz, 65 anni, guarda le immagini, in lacrime: “ero qui quel giorno, dovevo essere qui oggi. La mia città era sotto attacco, ricordo come mi sono sentito. Ricordo il dolore, ricordo il senso di vuoto e di perdita”. Oggi è il giorno del ricordo, del rimpianto, ma anche della voglia di risalire.

11 SETTEMBRE DIECI ANNI DOPO: LE TORRI DISTORTE (e noi siamo sempre piu’ occidentali)

Pubblicato il 11 settembre, 2011 in Costume, Politica estera, Storia | No Comments »

Dieci anni dopo, l’11 Settembre per molti è un pezzo polveroso di storia. Punto di svolta della contemporaneità, è stato rubricato alla sola voce “guerra” da alcuni, “shock” da altri, ma pochi finora hanno cercato di inquadrarlo come uno dei picchi sismografici di un ciclo che viene da lontano. L’abbattimento delle Torri Gemelle è un’icona dell’immaginario del Ventunesimo Secolo. Il prodotto della diffusione e dispersione dei fatti in immagini. Meno testo scritto e più pixel. Meno parole e più bit. È la dissoluzione del racconto e del senso delle cose. Torri che crollano. Migliaia di volte in tv. Show e assuefazione. Torri distorte. George Steiner nelle prime pagine del suo libro «Nel castello di Barbablù», racconta come l’uso massiccio della posta a cavallo e la dimensione di massa delle guerre napoleoniche abbiano modificato la percezione della realtà. Bonaparte non era solo un formidabile artigliere, ma un uomo della Storia. Mentre Kant e Hegel scrivevano pilastri della filosofia, cannoni e baionette dell’Armèe riordinavano l’Europa. E le notizie galoppavano.
L’informazione/deformazione ha accelerato non solo i processi di incontro e creazione, ma anche di conflitto e distruzione. L’11 Settembre 2001 è stata la prova generale di una società occidentale iperconnessa che conosceva il male di un mondo sconnesso, quello dei talebani e di Osama Bin Laden. L’era degli shock globali si è trasformata in un videogame dove l’Occidente ha cominciato a ripiegare su se stesso.
Quella che alcuni polemisti hanno chiamato la “cultura del piagnisteo” si è diffusa e un micidiale senso di colpa ha pervaso l’animo di chi aveva portato la bandiera del self made man ovunque nel mondo. Questa ritirata delle forze della libertà continua e appare inarrestabile.

La Storia ha virato a Est lasciando l’Ovest scoperto e debole. Il Sud del mondo preme a Nord e la Terra di Mezzo d’Oriente è una polveriera. L’Egitto è un monito per tutti, ci insegna che le minacce covano anche tra i gelsomini, mentre Teheran presto avrà la Bomba e noi, dieci anni dopo, non sappiamo che fare.  Mario Sechi, Il Tempo, 11 settembre 2011 (nella foto: la mattina del 12 settembre 2001 tre pompieri di New York issano la bandiera americana  sulle macerie delle Due Torri a sottolineare l’immediata volontà del mondo libero stretto intorno agli Stati Uniti di non arrendersi al terrorismo)

.……Il decennale della tragedia dell’11 settembre ha vari modi per essere raccontato. Sechi ha scelto quello che a noi sembra il più realistico. Ha tralasciato la facile retorica con cui molti, sia mass-media che politici di ogni genere, da giorni e stamattina ancor più, hanno scelto di ricordare la tragedia che dieci anni fa sconvolse il mondo e lo cambiò. Sechi ha scelto di raccontare come il cambiamento del mondo continui nella direzione che gli attentatori avevano in mente. Non erano profeti ma di certo il loro intento, quello di sconvolgere la vita degli uomini e dell’Occidente, oltre che dell’America, appare perseguito da ciò che nel mondo sta accadendo, con il passaggio di ruolo guida, prima ancora che militare, economico (posto che è  l’economia a indirizzare e determinare le opzioni anche militari, come la recente vicenda della Libia ha dimostrato…)  dall’Ovest all’Est, con la Cina che possiede buona parte del debito pubblico americano e con i paesi emergenti dell’est asiatico  che si muovono da protagonisti sugli scenari del mondo. I principali attori  occidentali del momento, ad  iniziare da Obama con tutte le delusioni che ha provocato, preferiscono la retorica alla realtà, preferiscono nascondersi dietro le commemorazioni piuttosto che affrontare la realtà e tentare di invertirne la tendenza, per restituire all’Occidente il ruolo di centralità che può garantire gli equilibri mondiali con l’Occidente capace di fermare le invasioni dal’est. Ma ora non basta la retorica, non sono sufficienti le commemorazioni, occorrono decisioni coraggiose e determinate, sono necessarie scelte che impediscano al mondo di andare alla deriva. Per questo bisogna lavorare e per questo, così come dieci anni fa, insieme a tutto il mondo,  ci dichiarammo orgogliosamente americani, oggi altrettanto orgogliosamente ci dichiariamo  occidentali. g.

BERLUSCONI AI GIOVANI DEL PDL: GOVERNERO’ FINO AL 2103

Pubblicato il 9 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi “Oggi siamo un Governo con una solida e forte maggioranza in Parlamento e possiamo sperare, sperare – perché non c’è alcuna certezza – di portare avanti le riforme necessarie per il Paese”. È un Berlusconi ottimista quello che dal palco di Atreju, in occasione dela festa dei giovani del Pdl, difende con le unghie e con i denti l’operato dell’esecutivo. Quello che questa maggioranza poteva fare è stato fatto: nessuno poteva fare di più e non c’è tecnico al mondo che sarebbe riuscito a realizzare il miracolo che abbiamo fatto noi” ha continuato il premier, forse rispondendo alle dichiarazioni del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che da Chianciano aveva rilanciato l’esigenza di riforme strutturali per il Paese.


“Io resto con voi perchè questo Paese va cambiato”
ha annunciato Berlusconi, facendo riferimento alla telefonata intercettata nella quale dichiarava di voler fuggire all’estero. “L’Italia è un Paese meraviglioso”, ha commentato, ma davanti alla situazione politica e giudiziaria che la caratterizza “viene voglia di dire di scappare”. Colpa soprattutto dello strapotere di una “Magistratura democratica”, che ha sottratto la sovranità ai cittadini. Una situazione intollerabile, “che dobbiamo combattere e cancellare” ha affermato Berlusconi, rilanciando l’esigenza di avviare un’importante “riforma dell’architettura istituzionale”. Affrontando la questione delle intercettazioni, poi, il presidente del Consiglio ha definito “non libero” un Paese in cui viene violata sistematicamente la privacy attraverso la pubblicazione sui giornali delle conversazioni intercettate.Il premier si è mostrato fiducioso anche sulla manovra finanziaria. Il provvedimento, già varato dal Senato, ora alla Camera e sarà “sicuramente approvata mercoledì”. “Darle fiducia è stato un atto di coraggio” ha affermato Berlusconi. Soddisfatto delle norme sulle pensioni femminili nel privato, rispetto alle quali eravamo partiti dal 2020 e poi, dopo un braccio di ferro forte con la Lega, l’abbiamo portato al 2014. Quindi, abbiamo già fatto qualcosa. Mandare la gente in pensione a 65 o 67 anni come in Germania e’ una cosa che funziona – ha detto il presidente del Consiglio - anche perchè la vita media si sposta in alto e quindi si sposta anche la capacità di lavorare”.
“Deciderò se ricandidarmi a fine legislatura” ha dichiarato Berlusconi. “Dopo venti anni di attività politica, che sono un periodo enorme perche’ la vita politica e’ drammaticamente pesante, mi sembra che sarei giustificato e avrei consolidato il diritto di rinunciare alla richiesta del mio partito di ricandidarmi”. Di una cosa, però, è certo: “Chiunque sia il candidato premier del centrodestra, sono assolutamente convinto che i moderati prevarranno su questa sinistra che abbiamo la disgrazia di trovarci di fronte, dove non c’è nessun protagonista che può essere pensato come presidente del Consiglio”. Il sogno del premier, comunque, sarebbe quello di vedere “Letta al Quirinale e Alfano a Palazzo Chigi”.