Oggi entra nel vivo a Milano il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby. Qui non si par­la di inchieste ma della più grande operazione di spionaggio messa in piedi da un potere dello Stato, la magistratu­ra, contro un premier in carica. Spionaggio illegale non sulla sua attività pubblica o im­prenditoriale ma sul suo privato. Manca il reato, mancano le presunte vittime. Nessu­no deg­li oltre cento ospiti della villa di Arco­re chiamati a testimoniare dopo essere stati intercettati e schedati, si è mai lamentato di alcunché. Anzi, semmai dagli atti risulta che Silvio Berlusconi è uno squisito e gene­roso padrone di casa. Lo dice anche la famo­sa Ruby, unica minorenne agli atti, la quale ha aggiunto di aver mentito al premier e a tutti sulla sua età e sulle sue generalità.

Quel­lo che si apre è quindi uno spettacolo di giu­stizia mediatica, frutto del protagonismo e dell’odio di pm spregiudicati. Siamo al pro­cesso numero 26 in diciotto anni, senza che l’imputato sia mai stato condannato una so­la volta. In compenso una condanna di fat­to c’è stata eccome. Per difendersi Berlusco­ni ha dovuto sborsare oltre trecento milioni di euro ad avvocati e consulenti. Che se som­mati al risarcimento- rapina di seicento mi­lioni nella causa civile con De Benedetti, fanno un miliardo di euro (duemila miliar­di di lire). È una cifra spaventosa – sarebbe un pezzo importante della manovra econo­mica – pari a venticinque anni di utili che Berlusconi ha guadagnato come imprendi­tore. Mezza vita lavorativa bruciata per di­fendersi dall’accanimento giudiziario.

Ma non paga di avergli messo pesantemente le mani in tasca e impunita per i suoi errori, og­gi su Berlusconi la magistratura mette in scena il suo ultimo spettacolo. Un branco di guardoni in toga proveranno a farci entrare nel letto del presidente. Per poi dire, assie­me ai loro soci dell’opposizione, che un Pae­se normale non può rimanere inchiodato ai fatti privati del premier. Appunto, non può. In un Paese normale nessun pm avreb­b­e potuto fare come la Boccassini e compa­gni. Li avrebbero cacciati con infamia dalla magistratura per attentato contro lo Stato. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 3 ottobre 2011