Per anni Paolo Cirino Pomicino mi ha perseguitato con una minaccia: vedrà, alla fine, tornerà la Dc. Cioè noi. Il giorno in cui i magistrati di Mani pulite l’hanno cacciato dal Parlamento, l’ex ministro del Bilancio non si è arreso.

Saltando da Forza Italia all’Udc, da Mastella a non so più cosa, in fondo ha sempre avuto in testa una sola idea: rianimare la Balena Bianca. Con i suoi inciuci e i suoi intrighi, le clientele e le lottizzazioni, le correnti e i conti correnti. Recentemente il sogno dell’ex andreottiano di ferro ha preso una consistenza che pare non farlo sembrare più la follia di un parlamentare nostalgico.

Da settimane gli ex diccì sono in fermento. Già, perché pur essendo scomparso lo scudo crociato come partito (che poi non è vero, in quanto una piccola Libertas è rimasta), i democristiani non sono scomparsi mai. Hanno ripiegato le insegne, fatto sparire i simboli, chiuso le sedi di partito. Ma i dc non se ne sono andati. Molti di loro siedono in Parlamento, sotto l’ombrello del Popolo della Libertà, ma anche del Pd, oltre che ovviamente nell’Udc.

Tuttavia mentre di quelli di Casini si conoscono le intenzioni (che Pierfurby voglia rifare il grande partito bianco è noto), gli altri fino a ieri sembravano felicemente accasati. Fino a ieri, cioè fino a che Berlusconi era saldo in sella e imponeva un bipolarismo il quale non lasciava spazio al centro. Adesso che il Cavaliere traballa, hanno riscoperto l’orgoglio democristiano e fantasticano di rimettersi in proprio in un bel partitone scudocrociato che riunisca i pezzi di quella che fu la Balena Bianca.

I primi a darsi da fare sono deputati e senatori del Pdl, i quali non vogliono rimanere sepolti sotto le macerie berlusconiane. Da mesi scalpitano, anche perché non avendo ruoli di primo piano sono a dieta di potere. I due che più si scaldano sono Claudio Scajola e Beppe Pisanu. Del primo i trascorsi sono noti. La conferenza stampa in cui annunciò che avrebbe venduto la casa con vista Colosseo, se si fosse appurato che qualcuno l’aveva pagata a sua insaputa, è una gag passata alla storia.

Per quella faccenda, tutt’ora al vaglio della magistratura, ha dovuto lasciare il posto di ministro dell’Industria (l’appartamento però gli è rimasto). Ora scalpita. Il digiuno di poltrone deve sembrargli insopportabile e già prima dell’estate aveva avanzato richiesta d’essere ricollocato in un incarico di prestigio, ovviamente al governo. Non essendo stato soddisfatto, ora Scajola minaccia di fare lo sgambetto al Cavaliere, facendogli mancare i voti che gli servono.

Con lui, come detto, c’è il secondo democristiano di lungo corso. Questi è un sardo di 74 anni, che da quasi quaranta siede in Parlamento. A lanciarlo in politica fu Cossiga, ma nella sua carriera parlamentare ha servito molti padroni: sottosegretario di Forlani, ma anche di Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria e De Mita, non si è fatto mancare neppure Zaccagnini, il dc triste che guidò il partito negli anni Settanta, e del quale fu capo della segreteria.

Insomma, per intenderci, uno navigato. Tanto navigato che andava in barca con Flavio Carboni. Proprio per quelle gite in yacht e per i passaggi sugli aerei del faccendiere e piduista sardo, Pisanu fu costretto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. Lui si giustificò dicendo che Carboni gli era sembrato «un interlocutore valido per le forze politiche richiamatesi alla stessa aspirazione politica, cioè quella cattolica».

Si tratta dello stesso Carboni che frequentava gente della banda della Magliana e intratteneva rapporti stretti e un po’ loschi con Roberto Calvi. Anche Pisanu conosceva il banchiere: grazie al «valido interlocutore» lo incontrò quattro volte, l’ultima poche settimane prima che sparisse per poi finire impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra.

Fu probabilmente durante gli incontri che si fece una buona idea delle condizioni finanziarie del Banco Ambrosiano, tanto che da sottosegretario, rispondendo a un’interrogazione, tranquillizzò il Parlamento sullo stato di salute dell’istituto di credito milanese. Tutto ciò poco prima che la banca fallisse.

Con Berlusconi, Pisanu si è riciclato, riuscendo perfino a divenire ministro dell’Interno nel 2002, quando Scajola fu costretto alle dimissioni per aver dato del «rompi» a Marco Bia-gi. Nel 2008, quando Silvio è tornato a Palazzo Chigi, si è p rò dovuto accontentare della poltroncina di presidente anti-mafia.

Troppo poco, evidentemente, per uno del suo calibro. E dunque eccolo qui, insieme al suo compare, pronto a far cadere il Cavaliere. Se il presidente del Consiglio si dimette, per lui e gli altri diccì, si riaprono le danze e uno strapuntino si può rimediare. Niente di nuovo dunque rispetto a ciò che abbiamo visto nella prima Repubblica. L’unica novità è che Pisanu, Scajola e i democristiani si presentano come il cambiamento. E che qualcuno sembra dar loro retta. Ma forse aveva ragione Pomicino: torneranno. Maurizio Belpietro Libero, 9 ottobre 2011