Roma, blindato dei carabinieri in fiamme a piazza San Giovanni Sono trascorse 72 ore dalla guerriglia di Roma e il fenomeno di rimozione della verità è già in pista. Al lancio del primo sampietrino i sociologi in servizio permanente effettivo avevano già sentenziato che «è colpa del sistema» mentre i nostalgici degli «anni formidabili» spiegavano accigliati che si trattava di un «gruppuscolo» e dunque si poteva sorvolare. No, non si può passare oltre e farla ancora una volta finire a tarallucci e vino. Perché una cosa è guardare in televisione quel che accade, un’altra è farsi un giretto tra le macerie di piazza San Giovanni, via Cavour, via Labicana e dintorni: sembravano strade di Beirut in fiamme. La distruzione di massa, il lancio di oggetti che possono uccidere, l’uso dell’estintore per spegnere non incendi ma vite, non fanno parte di un normale dibattito politico-filosofico, ma di un clima di tensione straordinario. Prima di evocare leggi speciali, bisogna far rispettare quelle che ci sono. L’applicazione del codice penale a certe categorie di cittadini e l’impunità per altre è un tema che non si può ignorare. La scarcerazione di massa di soggetti che fanno della violenza la consuetudine è sotto gli occhi di tutti. E mai come oggi il taglio delle risorse per le forze dell’ordine appare un errore. Ma il nocciolo della faccenda è culturale: la classe politica e l’establishment in Italia non hanno il coraggio di restituire allo Stato l’uso della forza quando è necessario. A Chicago qualche giorno fa sono stati arrestati 175 manifestanti. Erano nel parco dopo l’orario di chiusura. Immaginate la stessa scena in Italia. I poliziotti sono inermi di fronte a un corto circuito giuridico che li trasforma in imputati. Se lo Stato non mantiene l’ordine e fa rispettare la legge, il criminale si sente incoraggiato a osare di più, giusto per vedere l’effetto che fa ammazzare «uno sbirro». Finora questi farabutti hanno usato armi artigianali e improprie, ma se domani volessero fare un salto di qualità e di potenza, non avrebbero che l’imbarazzo della scelta. Temo che il dibattito in corso si risolva in un grande bla bla bla. E invece la situazione è da studiare e tenere d’occhio. Chi prova piacere a picchiare un agente, chi esulta quando un blindato va a fuoco, non è un giovane al quale lisciare il pelo e dispensare comprensione, ma un delinquente da spedire in cella. Mario Sechi, Il Tempo, 18 ottobre 2011

.…………Che Sechi abbia ragione lo dimostra il dibattito di ieri sera a Porta a Porta dove il rifondarolo Ferrero, sia pure con evidente imbarazzo, tentava di distinguere. Non v’è nulla da distinguere, l’unica distinzione è tra chi rispetta la legge e chi no. Nè tantomeno si può darla addosso alle forze dell’ordine 8in questo caso accusare di non aver…previsto) le quali sanno che se in determiante occasioni le menano,  immediatamewnter scatta l’operazione “responsabilità” per cui mentre il carabiniere Platanica  (G8 Genova), benchè  aggredito ma vivo, ancora subisce le conseguenze della suo diritto alla difesa, l’altro, benchè aggressore ma morto, si vede intitolata un’aula del Senato come se fosse un eroe. Ecco l’unica distinzione da fare: chi aggredisce, anche se muore, è colpevole e chi viene aggredito, anche se rimane vivo, è la vittima. E noi stiamo con le vittime, specie se appartengono alle forze dell’ordine. g.