Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Il siparietto ironico tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy verrà accolto in due modi: 1. È una presa in giro dell’Italia e del governo Berlusconi che dunque se ne deve andare; 2. È inammissibile che due leader europei facciano una simile scenetta con un Paese fondatore dell’Europa. Né l’una né l’altra versione risolvono il problema. Siamo di fronte a uno scenario in cui non possiamo più permetterci la lotta tribale. La nostra vita a debito è al capitolo finale. Alla costruzione di questo scenario concorrono più fattori, in particolare il quadro fragilissimo della governance europea e le difficoltà interne di Sarkozy (deve affrontare le elezioni presidenziali ed è in svantaggio) e della Merkel (pressata da un’opinione pubblica che non vuole il salvataggio dei Paesi del Club Med). Con queste premesse, l’Italia diventa il bersaglio grosso sul quale far pesare non solo la mole del debito pubblico e le mancate riforme, ma anche le gravi indecisioni del Vecchio Continente di fronte a una ristrutturazione globale del capitalismo. Per questo al vertice europeo di mercoledì l’Italia – insieme alla Grecia – sarà il punto caldo della discussione. Quando sono state varate le manovre la scorsa estate Il Tempo ha sostenuto una linea realista e dunque allora minoritaria: servono riforme strutturali e provvedimenti per la crescita. La riforma delle pensioni, il taglio della spesa improduttiva e il rilancio degli investimenti dovevano far parte del programma di risanamento. Si è preferito andare avanti con la manutenzione tremontiana del bilancio (senza idee per lo sviluppo) e il niet leghista all’innalzamento dell’età pensionabile (senza alternative vere sul fronte dei tagli). E l’opposizione? Non pervenuta. Dopo quattro versioni della manovra e un dibattito estivo surreale siamo punto e a capo. Avevamo ragione noi. Dice Berlusconi: «Farò cose che non ho fatto per colpa d’altri». Bene, allora esca dalla palude dei veti incrociati, affronti il Parlamento, metta i partiti di fronte alla realtà. Tanto la festa è finita per tutti e le elezioni anticipate non sono la cura, ma la fuga dalla responsabilità. Mario Sechi, Il Tempo, 24 ottobre 2011