Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e Mario Monti Primo squillo della giornata, ore 9.08: «Mario, cosa fanno nel Palazzo? Qui crolla tutto». È un trader che opera sulle piazze di Londra e Milano, il suo mestiere è comprare e vendere titoli del debito pubblico europeo. Secondo squillo del giorno, ore 10.05: «Serve un governo Monti subito, un esecutivo di tecnici». È un giornalista che si occupa di economia. Terzo squillo, ore 12.00: «Siamo già al bivio. O si va al voto anticipato o sosteniamo un governo tecnico». È un parlamentare con tutti i neuroni a posto. In questi tre episodi c’è il senso di una giornata drammatica. Ieri per tutto il giorno mi sono interrogato: ma chi decide le sorti di un Paese? La politica, il Parlamento, i cittadini che votano o i fondi di investimento e gli speculatori? Dove si ridisegnano lo scenario del post-Berlusconi e il destino di una nazione e di un sistema politico? Nelle urne o dentro i caveau delle banche? La politica vacilla sotto i colpi dei mercati. La crisi finanziaria del 2008 aveva fatto squillare il campanello d’allarme e i governi avevano promesso di cambiare le regole della turbofinanza. Tre anni dopo siamo non solo punto e a capo, ma assistiamo inermi alla frantumazione dell’Europa, la più grande area economica del mondo, con la moneta più forte e con più giustizia sociale. Francia e Germania discutono sulla creazione di meccanismi per prevedere l’uscita di un Paese dall’Euro. Il partito della Cancelliera Angela Merkel, la Cdu, sta preparando una bozza da discutere alla prossima conferenza sull’Eurozona. Come avevamo anticipato, siamo a un passo dal breakup, dalla rottura di Eurolandia. Complimenti a Parigi e Berlino. E a Roma che accade? Si cerca di rimettere insieme i cocci. Il presidente Napolitano pensa che un governo Monti sia la soluzione giusta e Berlusconi è sulla stessa linea del Quirinale, un governo di emergenza sostenuto da tutti i partiti che ci stanno. Si chiama realpolitik. Per calmare i mercati si fanno mosse da war game. Vedremo la loro efficacia. Per ora sappiamo che le furbizie di Berlino e Parigi stanno affamando la Grecia, mentre i partiti del Belpaese stanno firmando il loro suicidio di massa. Speriamo si salvi almeno l’Italia.  Mario Sechi, Il Tempo, 10 novembre 2011

………….Non sappiamo se sia vero che Berlusconi sia d’accordo con un nuovo governo che sostituisca il suo, a guida del neo senatore Mario Monti. Ammesso pure che ciò sia vero, ci è bastato vedere ieri sera  durante Porta a Porta lo scontro tra Di Pietro e la Bindi  e poi gli assolo della stessa antipatica, surreale e arrogante esponente del PD per avere dubbi che un nuovo governo, sia pure partorito da inattese “alleanze, determinate da ragioni di mera convenienza tattica, che si dissolverebbero al primo prurito dell’ultimo due di coppe quando la briscola è a denari, possa, dopo essere nato, governare. Per carità, Monti è persona egregia e piena di qualità, ma quante sono sone le persone in Italia, Paese di eccellenze in ogni campo,  che possono vantare le spesse qualità?  Tantissime. Ma non bastano, e spesso sono irrilevanti per guidare un Governo che voglia governare e, nel nostro caso, mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. Perchè di questo si tratta: far stare insieme gruppi e singoli che nutrono oltre che  reciproca avversione politica (spesso personale),  diversa opinione rispetto ai problemi che assillano l’Italia e sopratutto diversa opinione rispetto alle soluzioni da dare a questi problemi. Per cui, insieme a Sechi, ci dichiarimao scettici rispetto alla scelta che pare si stia per intraprendere. E’ una scelta che non farà altro che rinviare di qualche mese la scelta obblgata che sono le elezioni anticipate. Si facciano, si facciano le alleanze, si formino, se possibile, le omogeneità rispetto ai problemi e alle soluzioni, si concordino i programmi e poi si chieda agli italiani di scegliere. E’ l’unica strada corretta, politicamente e   democraticamente corretta, per avere un governo che abbia non i voti raccogliticci in Parlamento, ma piena e indiscussa  rappresentatività e credibilità. Senza delle quali,  tanto valeva, a ritenere fondate le critiche della opposizione al governo Berlusconi,  tenersi il governo attuale. g.