Confesso la mia ignoranza: non mi risulta che mai nessun Paese, con una sola eccezione, si sia dato un governo tecnico. L’eccezione è nota: l’Italia nel 1995 si diede (più corretto sarebbe dire che si vide imporre dal Colle) un governo tecnico, guidato dal ministro del Tesoro del governo precedente, Lamberto Dini. Ho cercato invano di immaginare cosa accadrebbe negli Stati Uniti d’America se venisse proposto un presidente tecnico e sono sempre arrivato alla conclusione che l’ipotesi avrebbe scatenato 300 milioni di pernacchie. Lo stesso vale per l’Inghilterra, la Francia, la Germania e il resto del mondo.
Decisamente siamo in presenza di una creazione della sconfinata fantasia italiana. Diceva Chesterton che governare è come scrivere una lettera d’amore o soffiarsi il naso: dobbiamo farlo noi, anche se lo facciamo male, non possiamo certo delegarlo ad altri. Noi italiani, invece, riteniamo che altri possa soffiarci il naso, scrivere per noi alla nostra donna o governarci. Il fatto è che democrazia non significa governo dei più «qualificati»; se fosse questo il suo significato nessuno ricorrerebbe alle elezioni che non garantiscono affatto che saranno scienziati, tecnici o vincitori del Nobel a risultare i primi.
Tutte le democrazie, per essere certe che a vincere sarà il più «qualificato», invece di costosissime elezioni, bandirebbero pubblici concorsi per titoli ed esami ai posti di governo. Solo così avremmo la ragionevole speranza che non andranno al potere persone prive dei requisiti tecnico-scientifici per utilizzarlo al meglio. Personalmente sono sempre stato dell’idea che «i governi cosiddetti amministrativi o tecnici sono sempre stati i governi più seriamente e pericolosamente politici che il Paese abbia avuto. Il loro preteso agnosticismo è servito sempre e soltanto a coprire, a consentire o a tentare le più pericolose manovre contrarie alle necessità e agli sviluppi di una corretta vita democratica. (…) Governo di affari, dunque, e dopo di esso un mutamento non nel senso limpidamente indicato dalla consultazione elettorale, ma nella direzione opposta».
Queste parole sono state pronunciate alla Camera da uno che aveva un rispetto per la sovranità popolare che manca ai suoi epigoni: Palmiro Togliatti (9 luglio 1963). Oltre tutto, se siamo veramente convinti che ciò di cui l’Italia ha bisogno è una sospensione della democrazia e un governo di tecnici, perché mai sprecare tempo sottoponendolo all’insulto di fargli dare (o negare) la fiducia di quell’associazione a delinquere di stampo politico che è il Parlamento. Monti è persona d’onore, qualificatissimo, elegante e amato da tutti quelli che contano nei settori bancario, finanziario, industriale ed eurocratico. Il suo concorso l’ha già vinto molti anni fa, non ha bisogno di provare niente a nessuno, men che meno ad assemblee piene persino da non laureati, e non importa se siano stati persino loro chiamati alla presidenza del Consiglio o al ministero degli Esteri. Il mio amico Mario Monti non me ne vorrà se mi permetto di ricordargli che non basta essere stati commissari europei per avere diritto a commissariare l’Italia. Non votai sedici anni orsono la fiducia a Lambertow, non voterò nemmeno a favore del mio amico Mario; se anche fosse miracolosamente tornato fra noi dall’aldilà Milton Friedman, non avrebbe il mio voto. Né me lo chiederebbe, aveva una concezione quasi sacra della democrazia. Quando rifiutai di fare il segretario generale della Nato, mi scrisse: «Hai fatto la cosa giusta, quella non è una carica elettiva!».
Gli italiani non hanno eletto Draghi alla Bce né Lagarde al Fmi né Monti a palazzo Chigi; Sarkozy e Merkel non hanno avuto nemmeno un voto italiano. Non si vede quindi perché questi signori si ritengano autorizzati a dirci cosa possiamo o non possiamo fare. Celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia è esercizio sterile se ci manca poi la consapevolezza dell’enorme fortuna che abbiamo avuto nascendo italiani e svendiamo la nostra autonomia e la nostra dignità al primo venuto. Antonio Martino, IL Tempo, 15 novembre 2011

……………Confessiamo di non aver mai nutrito molto simpatia per l’ex ministro degli Esteri del primo govenro Berlusconi, ma oggi…oggi non possiamo che condividere ciò che scrive e quel che dice che farà, anche nel ricordo di Togliatti, che era comunista,è vero, anzi  il “migliore” nel senso di peggiore, ma che di quelli di oggi davvero non saprebbe che farsene. E poi a condividere le opinioni di Martino ci aiutano le dichiarazioni rese oggi al Correre della Sera da quel senza maniche (della giacca) di Bocchino che ha proposto per il futuro una coalizione Pd-Terzo Polo capeggiata da Monti: si è visto mai che una forza politica, PDL nel caso, sostenga un tale che si propone di capeggiare  nell’immediato futuro una cordata per tagliarle la gola? E’ vero che quel che dice Bocchino vale quanto la carta con cui si avvolge la verdura che si acquista al mercato della frutta e verdura  (quello di Grumo Appula,  che a Toritto lo hanno eliminato da tempo, perchè è inutile tenerlo visto che c’è quello di Grumo….), ed è vero che sono di ieri le dichiarazioni distensive del capo di Bocchino, Fini, verso Berlusconi che qualcuno ha “letto” come una retromarcia di Fini che si sarà accorto che nel Terzo Polo fa il maggiordomo a Casini, ma non vanno prese sottogamba  le tattiche di questi due omuncoli della politica che vista la mala parta le pensano tutte per tentare di rimanere a galla. Ma sia come sia, ci pare, e lo abbiamo già detto, che la scelta di sostenere il nuovo uomo della provvidenza, l’uomo delle banche e dei poteri forti, sia quanto di più sbagliato possa fare il PDL che il conto potrebbe pargarlo alle prosisme scadenze elettorali, quando e  se ci saranno. g.