I LEADERS EUROPEI CONTRO LA DOMINAZIONE TECNOCRATICA, STUPITI PER LA FIACCA REAZIONE IN ITALIA
Pubblicato il 22 novembre, 2011 in Economia, Politica | Nessun commento »
“Come democratico non condivido la grande gioia per un governo che non è il prodotto della diretta volontà popolare, che ha la fiducia del Parlamento ma che è un’espressione non politica. Credo che il paese, tutto il paese, abbia bisogno di politici”. L’ex premier spagnolo José María Aznar ha risposto così a Sky Tg 24 che ieri gli chiedeva una valutazione sul nuovo esecutivo italiano, a margine di un’intervista sulla vittoria dei Popolari in Spagna.
Meno fair, nonostante sia inglese, il giornalista Brendan O’Neill parla sull’Australian del nuovo spettro che “si aggira per l’Europa, lo spettro della tecnocrazia. Definitivamente stanca della democrazia, l’élite europea ne sta decretando la fine, a vantaggio di cricche di esperti spediti a governare le nazioni europee”. Invita a immaginare “quante congratulazioni internazionali ci sarebbero se, per esempio, Nigeria e Sudafrica decidessero di organizzarsi e fare pressione straordinaria sullo Swaziland per sbarazzarsi dei suoi leader eletti, per sostituirli con fantocci non eletti”.
E’ sicuro che “i politici occidentali convocherebbero conferenze stampa per denunciare un grottesco colpo di stato sul continente nero, all’Onu si terrebbe una sessione d’emergenza. Ma quando questo accade in Europa nessuno ci fa caso”. Quanto è accaduto in Grecia e in Italia, continua O’Neill, “non è una ‘svolta’ ma l’estrema e logica conclusione del progetto comunitario”, della sua “ostilità verso la sovranità nazionale e la democrazia”: “Nell’Unione europea la tecnocrazia è stata sempre messa al di sopra della democrazia e la competenza al di sopra dell’impegno”. E’ stato costruito “un forum nel quale l’élite culturale può sfuggire alla pazza folla” e anche “alla necessità di consultarla”. “In un momento di crisi economica, questo processo è stato accelerato”, e in Grecia e in Italia possiamo vedere il progetto europeo “in tutta la sua nuda, tirannica, oligarchica gloria”. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas, la scorsa settimana, aveva detto al Monde di vedere in atto sia un processo di lenta asfissia del “polmone della democrazia su scala nazionale, senza che questa perdita sia compensata a livello europeo”, sia “un passaggio da un’Europa del governo a un’Europa della governance. Ma il grazioso termine ‘governance’ è un eufemismo che indica una dura forma di dominazione politica, basata sul fondamento, debolmente legittimato, dei trattati internazionali”.
Nel Daily Mail di domenica, sul tema è intervenuto il parlamentare conservatore Daniel Hannan: “Due governi dell’Unione europea sono stati rovesciati da colpi di stato – gentili e senza spargimento di sangue, ma comunque colpi di stato. In Grecia e in Italia, i primi ministri eletti sono stati rovesciati dagli eurocrati”, e “solo ora, forse, vediamo fino a che punto l’Unione europea, oltre a essere antidemocratica nelle proprie strutture, richieda agli stati membri di rinunciare anche alla loro democrazia interna”. Hannan si chiede in particolare come facciano “gli italiani a sopportarlo”, come mai “un pezzo sorprendentemente ampio dell’elettorato sembra tranquillo per la sconfitta della democrazia dei partiti. Come può un popolo che si è liberato di una dittatura essere così indifferente?”.
L’eurodeputato inglese Nigel Farage, del gruppo Europa della libertà e della democrazia, in un intervento all’Europarlamento il 16 novembre, al cospetto di Barroso, del commissario economico Olli Rehn e di Van Rompuy, chiede retoricamente chi siano i responsabili del disastro in corso: “La risposta è: nessuno, perché nessuno di voi è stato eletto. Nessuno di voi ha una legittimazione democratica per il ruolo che ricoprite in questa crisi… E devo dire, signor Van Rompuy, quando ci siamo incontrati per la prima volta un anno e mezzo fa, mi ero sbagliato sul suo conto. La definii un ‘assassino silenzioso delle democrazie degli stati nazionali’. Non è più così, lei è piuttosto rumoroso nel suo operare. Lei, non eletto, è andato in Italia e ha detto: ‘Questo non è il tempo di votare, è il tempo di agire’. Ma chi le dà il diritto, in nome di Dio, di dire queste cose agli italiani?”. Il Foglio Quotidiano, 22 novembre 2011