Se Berlusconi, in un giorno in cui la Borsa perdeva il 5 per cento e lo spread toccava i 490 punti avesse convocato un consiglio dei ministri per varare il decreto Roma Capitale, lo avrebbero linciato sui giornali e in piazza.

Sergio Marchionne

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Ma come? La barca affonda e il timoniere si occupa di quisquilie e nient’altro? Berlusconi no, ma Monti può farlo e ricevere pure gli applausi della stampa libera e indipendente. Eppure avevamo capito che l’emergenza imponeva decisioni rapide, a ore. Consultazioni in due giorni, governo in uno. Ma tanta fretta, scalzato il vecchio esecutivo, si è trasformata in calma flemmatica. Tanto che Marchionne, capita l’aria, ha rotto gli indugi e anticipato la mossa: Fiat ha disdetto tutti gli accordi col sindacato, perché se per salvarsi deve aspettare i decreti sul lavoro del governo Monti, campa cavallo.

Evidentemente i mercati vanno giù perché non leggono i quotidiani italiani che fanno a gara per esaltare le qualità miracolose del nuovo esecutivo. Il quale, per inciso, non ha fatto nulla ma non ha neppure grandi colpe. Come sosteniamo, in solitudine, da mesi, i governi nazionali possono poco o niente per arginare l’assalto all’Euro. Il terremoto non si arresta in Italia nonostante la nuova guida, insiste in Spagna nonostante dalle urne sia uscito l’altra notte un governo forte, avanza in Francia dove quel pagliaccio di Sarkozy non ride più sul nostro Paese ma piange sul suo, si affaccia pure in Germania che comincia a mostrare indici economici in ribasso.

Ma forse tutto questo non è il male assoluto. Se l’Italia non sarà più la sola Cenerentola, se anche i francesi saranno declassati, forse allora, e solo allora la Germania si deciderà a dare il via libera a ciò che Berlusconi (e Tremonti) chiedevano da un anno. Cioè a stampare quegli Eurobond (titoli di stato europei) che sono l’unico serio strumento da mettere in campo contro la speculazione (in attesa di una vera banca centrale con pieni poteri sulla moneta). Non sappiamo ancora se il governo Monti sarà bravo, speriamo almeno che sia fortunato un po’ più del precedente. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 22 novembre 2011