Invece di ragliare la spesa pubblica e gli sprechi Monti si è accanito sul ceto medio che, come sempre, pagherà per tutti

Ici, Irpef e conti correnti Tutti gli errori del premier

Occhio ai conti correnti. Domani mattina il saldo potrebbe essere un po’ calato. Il governo ha assicurato alle forze politiche che non ci sarà alcun prelievo forzoso allo sportello. Eppure la tentazione di ripetere il “colpo in banca” realizzato in piena notte da Giuliano Amato nel 1992 è  forte. L’opzione  è sul tavolo di Mario Monti. E il premier la valuta. Del resto, con una tassa al 6 per mille in stile Amato, il gettito immediato  per le casse dello Stato sarebbe di oltre 8 miliardi di euro. Un terzo, calcolatrice alla mano, dei 25 complessivi necessari a coprire l’intera  manovra sui conti pubblici in arrivo oggi  (o al più tardi domani) a Palazzo Chigi.

Così il termometro della patrimoniale in banca sale e segna di nuovo febbre alta. Per un conto corrente con 2mila euro, il salasso sarebbe di 12 euro. Cifra che schizzerebbe a 60 euro con un saldo da 10mila euro. E via a salire. Roba da far venire i brividi. La  voce è tornata a girare ieri come una trottola impazzita. C’è chi ha collegato l’ipotesi di un consiglio dei ministri  anticipato a oggi, all’intenzione dell’esecutivo di accelerare i tempi. Ciò, magari, per riuscire a pubblicare subito il decreto in Gazzetta ufficiale  e rendere operativa la misura fra 24 ore.    Ieri il telefono del viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, era infuocato. A chi lo ha contattato per chiarimenti, l’ex direttore generale del Tesoro avrebbe escluso con fermezza la misura. La stessa linea tenuta da  Monti con i leader di partito. Tuttavia, un intervento nel recinto bancario pare   inevitabile, secondo indiscrezioni raccolte a via Venti Settembre.

La patrimoniale in banca, insomma, potrebbe essere mascherata. Non una tassa secca su conti e depositi. Ma più misure slegate tra loro. Un modo come un altro per mischiare le carte e smussare la rabbia degli italiani. A cominciare, a esempio, da un ritocco all’insù dell’imposta di bollo: potrebbe essere inasprito l’aumento già scattato a luglio sui dossier titoli (la botta arrivava fino a 1.500 euro) da estendere ai conti (oggi si pagano 34,2 euro). Alla fine della giostra verrebbero colpiti i risparmi. Non solo. Altri balzelli sparsi potrebbero arrivare sulle carte di credito e sui bancomat. Sulle tessere di plastica potrebbe essere chiesto qualche sacrificio anche alle banche con un abbattimento delle commissioni pagate dai commercianti. Mossa che sarebbe abbinata alle norme (blande) sulla lotta all’evasione fiscale, tra le quali, appunto,  la riduzione dell’uso del contante (massimo 300 euro). I banchieri, invece, escludono un giro di vite fiscale: a fine anno, d’altra parte, quasi tutti  i bilanci dei gruppi creditizi saranno in perdita.

Anche ai piani alti degli istituti, comunque, è forte il  timore per un  blitz sui conti correnti.  Che, di là dal “prelievo” immediato dello Stato, avrebbe altri effetti devastanti.  Si corre il rischio, infatti, di generare sfiducia tra i correntisti con ricadute sulla raccolta  delle banche. E se diminuisice    il denaro versato allo sportello dai clienti,  calano consequenzialmente i prestiti concessi a famiglie e imprese, già  drammaticamente strozzati dalla bufera finanziaria. Gli esperti delle aziende di credito hanno calcolato che nel ’92 la crescita della raccolta (misurata col rapporto tra depositi e Pil) è calata dell’1,4% nei nove mesi successivi allo scippo di Amato, mentre nel periodo precedente aumentava al ritmo del 4%.

Numeri che dovrebbero far riflettere chi in queste ore ha in mano le sorti del Paese. E che invece di dare  il via a una sfilza di tagli alla spesa pubblica e agli sprechi, pensa di risolvere i problemi dell’Italia e di aggredire il debito pubblico (1.900 miliardi) soltanto allungando le mani nelle tasche dei cittadini.
Nel provvedimento dell’esecutivo, stando alle bozze, non c’è traccia di interventi seri sulla cosiddetta Casta, peraltro promessi dal primo ministro nel programma illustrato in Parlamento. Dopo settimane di finte e dribbling, il governo dei professori (e delle tasse) ha gettato la maschera. La manovra è tutta una patrimoniale, o giù di lì. Colpisce, anzitutto,  gli immobili. Un po’ meno scontato il  ritorno dell’Ici sulla prima casa , è dietro l’angolo  una tassa molto alta sulle seconde e terze abitazioni, nonché una stangata sui beni di lusso, come gli yacht e, forse, le auto di grossa cilindrata.

Sotto tiro anche i redditi del cosiddetto ceto medio. L’idea (che potrebbe essere in parte accantonata) è portare al 45% l’aliquota del 43% e spostare al 43% quella oggi inchiodata al 41%.  Mossa che andrebbe a colpire redditi provenienti in larghissima parte da lavoro dipendente e da pensione per una quota che si aggira intorno all’80%. Denaro, in buona sostanza, che  non sfugge al fisco. Denaro di cittadini che le tasse le pagano già. Poco chiaro il capitolo sullo sviluppo: congelato il pacchetto sul rilancio delle infrastrutture, appaiono impalpabili gli sgravi fiscali (irap) per le imprese . Sul fronte della spesa statale (previsti tagli per il trasporto pubblico e  la sanità con inevitabili aumenti del ticket ospedaliero), gli unici interventi condivisibili sono quelli sulle pensioni: sistema contributivo per tutti, 42 anni di contributi per smettere di lavorare, più alta l’età per le donne. Provvedimenti coraggiosi e di buon senso.
Da chi ha studiato una vita alla Bocconi,  però,  era legittimo aspettarsi di più e di  meglio. O no?
Francesco de Dominicis, LIBERO, 4 dicembre 2011