Soldi Tanti saluti all’idea che si doveva far pagare quelli che non avevano pagato. Pagheranno quelli che hanno sempre pagato, per giunta di più, vale a dire le fasce alte delle aliquote Irpef. Non è un colpo di scena, ce lo aspettavamo. Credere che fosse possibile il contrario è un po’ credere nelle favole, e noi non ci crediamo. Però c’è un aspetto fastidioso, un elemento culturale che segnaliamo ai professori al governo, talché lo mettano nel conto di reazioni negative: sostenere che questo sia un atto di giustizia sociale, perché così pagano i “ricchi”, è una tesi intollerabile. Primo, perché così pagano solo le persone oneste. Secondo, perché immaginare come “ricchi” i redditi che superano i 55mila euro può farlo solo chi preferisce coltivare pregiudizi sociali al far di conto. Il ceto medio e professionale subisce una spazzolata fiscale senza veder modificare, anche nel senso di maggiore apertura alla concorrenza, le regole del proprio lavoro. Peccato, perché le riforme avrebbero favorito la crescita, mentre i prelievi favoriscono solo la depressione. A questo si aggiunga che rimane in predicato un possibile innalzamento dell’Iva, già cresciuta di un punto, il che ulteriormente colpisce i consumi, già in recessione da mesi. Ma che volete? diranno quelli del governo: siamo in un momento terribile, abbiamo ereditato una situazione difficilissima e non potevamo fare altro. È vero, avrebbero ragione a dirlo. Ma è anche drammatico perché, se ci si limita a quel che si mormora e annuncia, vuol dire che siamo finiti in un vicolo cieco. Dove i primi ad essere bendati, però, sono gli stessi che dovrebbero tirarcene fuori. Perché, per dirne una, non sento parlare di vendite e privatizzazioni? Anche con quelle si farebbe cassa, ma senza incrudelire la recessione e senza lasciare in bocca il sapore sgradevole della vendetta sociale (inaccetabile). Conosco l’obiezione: ci vuole tempo e i soldi servono subito. Ma con tante belle menti a disposizione si possono trovare soluzioni tecniche capaci di produrre liquidità. Ad esempio si possono mettere i beni pubblici dentro un contenitore immediatamente valorizzabile, quindi immediatamente capace di trasformarsi in moneta sonante. Si può anche immaginare di portare verso quel veicolo, anche forzosamente, i quattrini degli italiani che si trovano ad avere liquidità, di modo che quei soldi verrebbero comunque schierati nella trincea del debito pubblico, ma senza essere ufficialmente sequestrati da un inasprimento fiscale, bensì speranzosamente riposti sul Piave, in attesa che Vittorio Veneto getti nel passato Caporetto. Una proposta di questo tipo è stata già descritta da Enrico Cisnetto, meriterebbe che ci si spiegasse perché non preferirla al torchio dell’erario (oltre tutto egli è genovese, quindi spontaneamente portato alla micragna, sicché dovrebbe trovare ascolto in un governo ufficialmente nato per far venire il braccino corto alla spesa pubblica, non per allungare le mani nelle tasche delle persone per bene, dei benemeriti che non nascondono i guadagni). Non essendo mai stato in cattedra, dall’ultimo banco vorrei segnalare un problema, a tanti illustri docenti: se l’unica cosa che si riesce a fare, vale a dire tassare, è la medesima che chiunque altro sarebbe stato in grado di concepire, se l’attesa dei provvedimenti si corona con la presentazione dei più scontati, esclusa l’incompetenza degli autori prende corpo la disperazione dei cittadini. Insomma, vuol dire che siamo alla frutta e che le idee scarseggiano più dei talleri. È per questo, non certo per amore degli equilibrismi politici, che speriamo si sappia aggiungere alle misure di cassa anche non meno concreti provvedimenti per lo sviluppo. Nel primo semestre dell’anno in corso i distretti italiani hanno segnato una crescita delle esprotazioni più alta dei tedeschi. La migliore in Europa. Se si interseca il dato regionale (l’area più forte è stata il Nord-Est) con quello merceologico si scopre che l’area più debole, ovvero il Sud, ha elementi d’eccellenza, che la pongono all’avanguardia, laddove si parla di tecnologia avanzata. Cito questo dato per dire che l’Italia produttiva c’è, quella che rischia, che studia e che inventa, è presente. A quest’Italia non si deve raccontare la storia triste dei ricchi da punire, specialmente se l’asticella della ricchezza viene collocata così in basso. Guai a stroncare le gambe di chi vuol correre, guai a distruggere il morale di chi ha l’ambizione di vincere, perché così facendo poi ci ritroviamo solo con l’Italia che campa di trasferimenti pubblici, ovvero gli stessi che si dovrebbero comprimere. A quel punto ci troveremmo a verificare la conferma di una dannazione: il consenso elettorale raccolto proprio grazie a una spesa che condanna l’Italia a scivolare indietro, lasciando senza degna rappresentanza gli italiani che incarnano l’unica seria alternativa alla rassegnazione declinante. Il governo Monti aveva ed ha la possibilità di ridare fiducia e dignità a questa Italia. Stia attento, per assenza di coraggio e fantasia, a non accartocciarsi nella retorica del sacrificio e della sofferenza, quasi fossero lussurie e non malanni. Ricordi che siamo una delle gradi potenze economiche del mondo. Che certamente necessita di rimettere ordine nei propri conti pubblici, che sicuramente, nel farlo, si possono rompere privilegi e tabù, ma non si può e non si deve farlo fracassando le ossa all’Italia dei privati produttivi, assai meno indebitati, quindi più virtuosi, dei loro simili nel resto d’Europa.  Davide Giacalone, Il Tempo, 4 dicembre 2011

.…………..Le tasse che super Monti sta per far cadere sulle spalle degli italiani non sono ancora formalmente definite, ma lo saranno nelle prossime ore se è vero che super Monti (da non confondere con Superman,  eroe dei fumetti e dei ragazzini) subito dopo aver “incontrato” partiti e parti sociali, infischiandosene delle loro opinioni e magari delle loro contrarietà, se ne andrà in Consiglio dei Ministri con gli altri superdii a cui Re Giorgio 1° ha affidato il compito di spremere gli italiani e delibererà come gli aggrada. Non si sa quindi se i redditi superiori ai 55 mila euro saranno definiti “da ricchi” e quindi penalizzabili con un aumento del prelievo IRPEF. In attesa di saperlo non possiamo che essere d’accordo con Giacalone quando ironizza sulle cifre che contrassegnerebbero i “ricchi” del nostro Paese. Perchè se sono da definire “ricchi” i percettori di 55 mila euro all’anno, poco più di 2600 euro al mese, come si dovrebbero definire quelli che percepiscono 72 mila euro al mese, al mese!, 2400 euro al giorno, al giorno!, 864000 euro all’anno? E chi è che percepisce tale fortuna, un super enalotto  annuale? Ma proprio lui, il super Monti, quello che vorrebbe imporre ai pensionati che superino i 936 euro al mese,  936 al mese!, 31 al giorno!, il congelamento dell’adeguamento della pensione al tasso di inflazione  per il 2012 (e si sa, in Italia quando si tratta di tasse si incomincia per un anno e si finisce per renderle stabili per sempre – come insegna l’addizionale per il terremoto di Messina del 1908!). Infatti super Monti percepisce 35 mila euro al mese di pensione per l’attività lavorativa svolta da “professore” a cui si aggiungono 25 mila euro al mese quale indennità di senatore a vita (ma non dovevano essere eliminati i senatori a vita?!) e infine 12 mila euro mensili quale indennità di presidente del Consiglio, in tutto 72 mila euro al mese, ripetiamo, al mese! E questo super introitatore di migliaia di euro al mese ha la faccia tosta si imporre ai lavoratori e ai pensionati l’ennesima super stangata. Ma lui perchè non rinuncia, e in proporzione è sempre poco, all’indennità di senatore a vita e all’indennità di presidente del Consiglio? Lo capiamo, se rinunciasse, forse andrebbe a dormire sotto i ponti del Tevere e insieme alla moglie andrebbe alla mensa dei poveri. Va a finire che saremmo c0stretti a fare una colletta per trovargli alloggio a pensione completa. g.