La politica, questa benedetta politica della quale ogni tanto viene la voglia di auspicare la ripresa di fronte al rischio che cresca troppo la fiducia nei tecnici, e si ceda quindi alla perversa tentazione di preferirli in assoluto agli eletti dal popolo, si è messa a fare concorrenza al freddo che viene in questi giorni dal cielo. Gela infatti la sfrontatezza con la quale essa difende, nei piani bassi ed alti, quel groviglio di privilegi che l’hanno fatta tra le più costose e insopportabili del mondo, e non solo d’Europa. Anche se la solita commissione di studio stenta a chiudere i suoi lavori e a certificare quello che tutti abbiamo già capito.

I 26 ricorsi sinora presentati, e destinati probabilmente ad aumentare, contro i pur limitati e spesso anche finti tagli ai cosiddetti vitalizi da parlamentari ed ex parlamentari di un po’ tutti gli schieramenti, attaccati come ostriche alle loro specialissime pensioni d’anzianità segate invece ai cittadini comuni, gridano vendetta per la loro sfrontatezza. Che potete riscontrare nei particolari esposti dal nostro Alberto Di Majo. Ma anche per le procedure su cui i ricorrenti possono contare, studiate e difese per non fare uscire le decisioni dai perimetri parlamentari. Tutto si deve continuare a fare in casa, nei palazzi della politica, con una esasperata visione della cosiddetta autonomia che autorizza poi altri a fare lo stesso: per esempio, i magistrati. Che si fanno notoriamente giustizia da sé e gridano come polli spennati quando rischiano di perdere qualcosa della loro illimitata autonomia, appunto, e dei loro privilegi. Come hanno fatto ieri con i rappresentanti sindacali, e i soliti difensori d’ufficio a sinistra, per la breccia che si è improvvisamente aperta a Montecitorio nel muro che da troppo tempo li protegge dal dovere di rispondere civilmente dei danni procurati con il cattivo esercizio delle loro funzioni. Un dovere che, su iniziativa referendaria dei radicali, i cittadini sancirono abolendo nel 1987 le norme ostative, ma che i politici in pochi mesi tornarono a vanificare con una legge che i magistrati si scrissero praticamente da soli. Così come da soli i partiti hanno scritto e riscritto l’esosa legge in vigore sul loro finanziamento pubblico, che pure era stato abolito referendariamente dai cittadini nel 1993.  Francesco Damato, Il Tempo, 3 febbraio 2012