Oggi si scopre, e il Quirinale lo mette per scritto, che non fu Napolitano a opporsi al decreto per lo sviluppo, ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che il pomeriggio del 2 novembre salì inaspettatamen­te al Colle

In una intervista al mensile americano Atlantic, che pubblichiamo oggi in ampi stralci, Silvio Berlusconi dice che la caduta del governo è colpa anche un po’ sua. Ma aggiunge: ho incontrato più ingrati e profittatori in politica che nella mia vita di imprenditore. Non sappiamo a chi pensasse ma, a naso, l’elenco potrebbe essere lungo. A tal proposito può aiutarci una interessante lettera che ci ha inviato (la trovate qui) Pasquale Cascella, consigliere del presidente Napolitano per la comunicazione. Breve premessa. Il 2 novembre scorso il Consiglio dei ministri presieduto da Berlusconi doveva varare l’atteso decreto legge per lo sviluppo, per altro molto simile a quello poi licenziato dall’esecutivo Monti. Non se ne fece nulla perché, versione ufficiosa, il Quirinale si era opposto negando il requisito d’urgenza. Così il giorno dopo l’allora premier si presentò al vertice europeo di Cannes a mani vuote, innescando di fatto la fine del suo esecutivo. Bene, oggi si scopre, e il Quirinale lo mette per scritto, che non fu Napolitano a opporsi, ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che quel pomeriggio era salito inaspettatamente al Colle.

La lettera di Cascella è chiara. Tremonti sconsigliò Napolitano che a quel punto non se la sentì di andare contro il parere del ministro deputato proprio all’economia. La domanda è: perché Tremonti fece quel passo ben sapendo che sarebbe stato quello che portava la coalizione nel burrone? Ripicca, gelosia nei confronti di chi lo stava di fatto sostituendo a capo della cabina di regia anti crisi? Oppure fu un calcolo politico: agevolare la caduta di Berlusconi per prenderne il posto? Forse Napolitano non aspettava altro, ma certo Tremonti non è stato leale e trasparente fino in fondo, col suo premier, con la sua maggioranza e con gli italiani. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 7 febbraio 2012

Ecco  la lettera integrale inviata alla redazione del Giornale da Pasquale Cascella, consigliere del Presidente della Repubblica. Nella lettera si sottolinea come fu proprio l’ex ministro Tremonti – nel novembre scorso – a chiedere al Capo dello Stato Giorgio Napolitano di manifestare la propria indisponibilità a firmare il decreto anti-crisi che il Consiglio dei ministri si preparava a emanare.

Gentile direttore,
con riferimento all’articolo dell’on. Renato Brunetta, dal titolo «Toh, i tre decreti Monti li aveva già fatti il governo del Cavaliere», si rileva che i fatti ivi narrati non corrispondono alla effettiva dinamica delle relazioni tra il Presidente della Repubblica e il governo allora presieduto dall’on. Berlusconi.
In particolare, l’affermazione secondo la quale un «decreto Romano-Brunetta-Calderoli non fu approvato nel Consiglio dei ministri del 2 novembre 2011 perché il Quirinale aveva informalmente manifestato la propria indisponibilità a emanarlo, considerandolo privo dei requisiti di necessità e urgenza e di omogeneità richiesti» non tiene conto di circostanze assai rilevanti per l’esatta ricostruzione dell’accaduto.

Quel giorno, infatti, il capo dello Stato ricevette il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, prima della riunione del Consiglio dei ministri. Ed esplicito fu il richiamo alle posizioni espresse proprio dal titolare della politica economica nella lettera che il presidente della Repubblica scrisse al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Vi si riferiva che il ministro si era «detto convinto» si dovessero «definire solo le misure più urgenti tra quelle indicate», e lo si dovesse fare «nella forma – più praticabile anche dal punto di vista parlamentare e meno in generatrice di tensioni politiche – della presentazione di emendamenti alla legge di stabilità» in quel momento all’esame del Senato.

Il presidente della Repubblica ritenne di esprimersi a favore della soluzione indicata dal ministro per evitare l’adozione di «un coacervo di norme anche estranee» alla lettera di intenti ed obbiettivi inviata a Bruxelles dal Presidente del Consiglio il 26 ottobre, che avrebbe potuto «suscitare nuova confusione nell’opinione pubblica e nei mercati».
Dunque, nessuna «valutazione discrezionale» opposta ad altre più recenti, come sostiene l’ex ministro Brunetta, ma solo la presa d’atto di riserve motivate presenti all’interno della stessa compagine governativa e la ricerca di un veicolo normativo che consentisse di addivenire rapidamente all’approvazione delle misure più urgenti evitando più aspre tensioni fra le forze politiche.

Pasquale Cascella
Consigliere del presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione

.………..In  politica,  ma non solo,  la gratitudine è merce rara, perciò sbaglia Sallusti a meravigliarsi del comportamento di Tremonti o anche a dolersene. Piuttosto, dovremmo meravigliarci noi della meraviglia di Sallusti o anche di quella di Berlusconi. Il quale iniziò la collaborazione con Tremonti nel 1994 proprio grazie al primo tradimento della seconda repubblica, quello di Tremonti nei confronti di Segni nel cui Patto Tremonti era stato eletto alla Camera dei Deputati nella quota proporzionale del Mattarellum. E’ vero che Segni dopo aver vinto la lotteria con il referendum sulla preferfenza unica perse il biglietto in occasione delle successive elezioni politiche, quelle,  appunto, del 1994, quando rifiutò, d’accordo con Martinazoli e Buttiglione, di stringere alleanza con Berlusconi, ma è anche vero che non meritava di essere tradito da Tremonti appena 24 ore dopo lo sfortunato esito elettorale per il Patto per l’Italia. Berlusconi “acquistò″  Tremonti  che tradì Segni con l’incarico ministeriale all’Economia, ma fra i due il peggiore fu di certo Tremonti. Perchè meravigliarsi allora della mancanza di gratitudine (alias tradimento)  dello stesso Tremonti a danno di Berlusconi? Bisognava aspettarselo e quindi prevenirlo. Ed è questo che più di ogni altra cosa meraviglia noi. g.