NON RIAPRITE LA TERZA CAMERA, di Mario Sechi
Pubblicato il 9 febbraio, 2012 in Giustizia, Politica | Nessun commento »
Se un medico sbaglia, paga. Se un ingegnere dà i numeri e provoca il crollo di un palazzo, viene processato. Se un direttore di giornale pubblica una notizia diffamante, viene chiamato in giudizio insieme all’autore dell’articolo. Tutte le professioni fanno i conti con un sistema di norme che regolano la responsabilità e il risarcimento dell’eventuale danno arrecato. Tutti, tranne i magistrati. Nonostante un paio di sentenze affermino che le toghe italiane sono iperprotette rispetto agli standard del Vecchio Continente, la magistratura associata non accetta una riforma sacrosanta e in Parlamento assistiamo a un dibattito tra i partiti che ha le ragnatele.
Il governo ha fatto bene ad aprire un dialogo con l’Anm e l’Avvocatura, ma deve essere equilibrato e non commettere l’errore di arrendersi di fronte al diktat dei giudici. Se cede, allora si apre un problema di credibilità dell’esecutivo di fronte a uno dei poteri che negli ultimi vent’anni ha fatto (e soprattutto disfatto) politica in tutti i sensi. Le aule dei tribunali e il Consiglio superiore della magistratura hanno funzionato contro ogni regola costituzionale da «terza Camera» e le leggi sono state di volta in volta modificate o addirittura buttate nel cestino. Qualsiasi tentativo di riforma dell’ordinamento giudiziario è stato stravolto. Il problema ha riguardato tutti i governi che si sono succeduti nell’ultimo ventennio.
Non possiamo avere una «pax parlamentare» e poi lasciare che il settore della Giustizia sia uno Stato nello Stato, un protettorato che gode dell’extraterritorialità, applica la legge interpretandola come meglio crede, ma non accetta di esservi sottoposto. È una forzatura fuori dal tempo e dalla storia. È la cronaca a richiamare un intervento legislativo urgente. L’ultima di ieri: un broker di 32 anni condannato in primo grado a 26 anni per l’infanticidio del figlio della compagna di 8 mesi. Ieri è stato assolto in appello dalla Corte d’Assise di Genova per «non aver commesso il fatto». Giovanni Antonio Rasero era in carcere da un anno. E la Procura Generale aveva chiesto l’ergastolo. È un caso come tanti, lontano dal Palazzo e proprio per questo esemplare. Non bisogna pensare né alla casta politica né a quella togata, ma semplicemente ai cittadini e al buon nome della Giustizia. Mario Sechi, Il Tempo, 09/02/2012
.……………Il presidente dell’ANM ha detto che sottopporre i magistrati al rigore della legge in materia di responsabilità civile e personale per gli erorri commessi, con dolo, nell’esercizio delle funzioni, significa ricattarli e sulla scorta di questo che è davvero un ricatto ha preteso che il Senato, auspici il signor Monti e la signora ministro della giusitizia, modifichi il voto della Camera sull’applicazione della direttiva europea in materia di responsabilità civile dei magistrati che devono pagare quando sbagliano, con dolo, come tutti, verso i cittadini, vittime, per dolo, dei loro errori. Rispetto a ciò le argomentazioni di Sechi che sono di buon senso come di buon senso è pretendere che i magistrati siano uguali a tutti gli altri cittadini di fronte alla legge conta poco. Conta molto invece che chi pontifica sulla equità e sul rigore equamente distribuiti fra tutti, si schieri apertamente a favore di chi pretende per sè un trattamento meno equo e meno rigoroso. Ciò è non solo grave, ma immorale. Ma chi glielo dice a Monti e al suo ministro della giustizia? g.