L'entrata del pronto soccorso del Policlinico Umberto I a Roma Più passano gli anni e più mi convinco che la riforma delle Regioni varata nel 1972 sia stata una delle cause dello sfascio italiano. Decentrare i poteri senza responsabilità ha creato un mostro che non solo ha dilapidato risorse pubbliche infinite, non solo ha contribuito in maniera decisiva a creare il debito che portiamo sul groppone, non solo ha depotenziato lo Stato fino a ridurlo a un passacarte incapace perfino di decidere un’opera pubblica, ma ha anche contribuito ad abbassare il livello della classe politica con la nascita di capataz locali abilissimi nel trovare clientes ma scarsissimi nell’amministrare la cosa pubblica. Alla fine però i conti tornano, o meglio, non tornano affatto. E quel grande buco nero chiamato sanità si è mangiato tutto il resto. La storia dei Pronto soccorso degli ospedali del Lazio, dove succede di tutto, in questo senso è esemplare. La prima cosa che accoglie un cittadino in ospedale è il Pronto soccorso. E che accoglienza! Non è pronto né soccorso. Non riepilogo quanto abbiamo raccontato questi giorni. La cronaca e i conti delle Asl parlano da soli, il numero esorbitante del personale amministrativo pure, manager e sindacati insieme spesso sono un combinato-disposto letale per il paziente. Si va avanti, per non restare in corsia o entrare un po’ malconci ma vivi e uscirne in orizzontale pronti per il becchino, a forza di raccomandazioni. Eppure in mezzo a questo caos, ci sono medici e funzionari che mandano avanti la baracca. E non si sa come, ma la baracca va. La sanità gratis per tutti è una gran bella cosa, ma forse è arrivato il momento di cominciare a pensare a un nuovo sistema, anche perché alla fine gratis non è. Chi ha i soldi si guarda bene dal tentare il terno al lotto nelle strutture pubbliche, chi non li ha deve sottoporsi stoicamente a un’esperienza che voi umani non potete immaginare. La parola magica sarebbe quella di una bella riforma, ma a forza di scriverla io ho consumato l’inchiostro e comincio a non avere più fiducia, né nei politici, né sui presunti tecnici. Curarsi è un diritto, ma a queste condizioni diventa impossibile e umiliante per qualsiasi persona e per gli stessi medici. Hanno fatto il giuramento di Ippocrate, devono salvare vite. Ma chi salva loro da questa vergogna?  Mario Sechi, Il Tempo, 21 febbraio 2012

….………Non sappiamo l’età di Sechi ma di certo all’epoca del varo delle Regioni, fra il 1968 e il 1970, era pitttost giovane e forse non ricorda che i più agguerriti critici delle Regioni erano i partiti di destra (ovvero, il MSI) che lanciò uno slogan che ebbe fortuna elettoralmente: No all’Itlia in pillole. Col senno di poi si sarebbe potuto aggiungere a quello un altro “…e non all’iTlia in mutande”. Perchè i danni provocati dal varo delle Regioni, strumento amministrativo che asvrebbe dovuto sostituire le Provincie, da un lato non ottenne il risultato dell’abolizione delle Provincie visto che a distanza di 42 anni le Provincie sono sempre lì,  a non far nulla e a spendere quattrini, dall’altra le Regioni sono diventate un pozzo senza fondo in materia di spreco delle risorse e sopratutto una fonte inesauribile di disposizioni legislative nelle materie di loro competenza spesso, anzi sempre, caotiche, oscure, contraddittorie, frutto di ignoranza e di pressappochismio da parte di una burocrazia residuale sotto tutti gli aspetti, primo fra tutti la comepetenza, rispetto a quella statale che, almeno, essendo erede di una burocrazia, quella piemontese da una parte e austroungarica dall’altra, formatasi all’insegna, appunto, della compoetenza, sapeva il fatto suo. Le conseguenze di tutto ciò è lo sfascio, tra gli altri,  di un comparto, il più importante per i citadini fra quelli assegnarti alla “competenza2 regionale, la sanità, che vie ovuqne situazioni di drammaticità che occupano spazio per qualche gi0rno sui mass media per essere subito dopo dimenticate.  Sarà così anche per la dramamtica vicenda della donna abbandonata in corsia, in uno dei più grandi ospedali romani, cioè di Roma, capitale d’Italia, che ha festeggiato con grande clamore mediatico i suoi 150 anni e nel 151° costringe i suoi cittadini, sia la sfortunata protagonista, sia tutti noi, a fare i conti con  realtà tanto devastanti e tanto umilianti. La cosa peggiore è che abbiamo perso fiducia e speranza che tali drammi non si ripetono. Intanto, però, centinaia di milioni di euro vengono dilapidati da enti pubblici, le Regioni, che  però non sanno dare risposte alla richiesta dei servizi più importanti per i cittadini. g.