Anche i Fenomeni sbagliano e devono pagare o almeno rettificare, conciliare, chiedere scusa. Capita a (quasi) tutti di prendere un abbaglio. E così è capitato perfino a Roberto Saviano, celebrato autore di Gomorra , milioni di copie vendute e numerose apparizioni televisive, alfiere dell’antimafia.

Roberto Saviano

Roberto Saviano

Il quale, nel settembre del 2003, scrisse un articolo pubblicato dal settimanale Diario (poi defunto),intitolato«La Svizzera dei clan », in cui si raccontavano varie malefatte attribuite a criminali organizzati italiani, incluso un tale poi risultato estraneo ai fatti.

Lungi da noi l’intenzione di gettare la croce addosso al giovin scrittore. Siamo del mestiere e ne conosciamo le insidie, per cui non ci stupiamo che Saviano sia stato costretto a vergare una lettera ( ne abbiamo fotocopia) e a indirizzarla alla sua «vittima» allo scopo di chiudere amichevolmente la causa, ammettendo l’errore commesso. Il lavoro del giornalista ha tempi stretti, non concede molti margini alla riflessione e al controllo scientifico delle notizie e delle loro fonti. Cosicché è facile calpestare la classica buccia di banana e finire con le terga a terra.

Segnaliamo la topica di Saviano non per il piacere di condividere con lui le stesse disgrazie. Per carità. Non è vero che mal comune sia mezzo gaudio. Queste nostre note servono solo, o speriamo servano, a convincere il «camorrologo» più famoso della penisola che non basta il successo a garantire l’infallibilità. Si sa che le mafie con i loro tentacoli arrivano dappertutto, anche al Nord, anche all’estero, ma ciò non significa che si siano impadronite di ogni cervello e condizionino la vita ( e la malavita), specialmente economica, di popoli interi. E vedere picciotti e amici di picciotti in ogni angolo non porta a comprendere la realtà.

Ovvio. Le cosche, con attività illecite, fanno parecchi soldi e poi vanno a investirli dove maggiore è la resa.

Quindi non nel Mezzogiorno, ma al Nord. I capitali sono come capi di bestiame, sentono il richiamo del branco e lo raggiungono. E poiché non puzzano è impossibile distinguere quelli puliti da quelli sporchi. La Piovra ha il portafogli in Svizzera e in Lombardia, ma la testa rimane laggiù, nelle zone più sfortunate del Paese dove nessuno o pochi la contrastano.

Ma il senso del nostro discorso è un altro. Quando si tratta di certe materie, partendo dal pregiudizio che i delinquenti siano una folla, il rischio di confondere il grano con la pula è assai alto. Se ciò accade, si alimenta quella che Saviano e i suoi amici e sodali definiscono la macchina del fango.

La stessa macchina di cui loro attribuiscono a noi l’invenzione e la guida. No, caro Roberto, non abbiamo il monopolio del fango. Qualche schizzo è roba tua, nonostante tu vada spesso in tivù a dire il contrario.

Altro episodio meritevole di cenno. La Rai è stata condannata a pagare 5 milioni di euro (come minimo) alla Fiat perché, durante una puntata di Annozero , nel dicembre 2010, è andato in onda un servizio giudicato denigratorio in quanto diceva peste e corna di un’auto, l’Alfa Mito. L’autore,Corrado Formigli,ora conduttore di Piazza pulita (La7), dovrà rispondere in solido con l’emittente; ma supponiamo che nel suo contratto ci sia la cosiddetta manleva, cioè una clausola che impone all’azienda di assumersi la responsabilità civile. Il che peggiora le cose dal punto di vista del contribuente. Infatti, la Rai per saldare la pendenza utilizzerà per forza denaro dello Stato.

Ciò dimostra che abbiamo ragione noi quando sosteniamo che il servizio pubblico non possa tenere sotto la propria egida trasmissioni d’assalto, politicamente marcate, scandalistiche, ma debba imporre a chi le progetta, conduce e realizza il rispetto di criteri professionali improntati a moderazione e prudenza. Perché con i quattrini degli abbonati non si scherza. Non si può pretendere che le sbandate dei divi vadano a pesare sulle tasche dei cittadini.

Anche per Formigli vale il pistolotto fatto per Saviano: meno disinvoltura nel maneggiare la macchina del fango. Vittorio Feltri, Il Giornale, 22 febbraio 2012