Silvio Berlusconi e Mario Monti Forza Monti? E perché no? L’incontro tra Silvio Berlusconi e il presidente del Consiglio conferma che è iniziato un altro film della storia politica del Paese e le letture «anti» o «pro» usate fino a ieri sono tramontate. C’è un nuovo schema di gioco. Nell’istante in cui il Cavaliere è salito al Quirinale e ha consegnato a Giorgio Napolitano il timone della crisi, in quel preciso momento Berlusconi ha cominciato a scrivere un’altra sceneggiatura: non tornerà a Palazzo Chigi, sa che il suo partito, il Pdl, è in fase di trasformazione e probabilmente patirà una sconfitta alle prossime elezioni amministrative, ma è da questa consapevolezza che una storia politica ritrova il filo del discorso, è così che dopo l’uscita di un leader carismatico si evita di finire in un angolo della storia, cosa che accadde ai conservatori inglesi dopo l’addio di Margaret Thatcher a Downing Street. Appoggiare Monti oggi e trovare una soluzione condivisa anche per il domani facilita la transizione più che mai necessaria per tutti i partiti. Lo stesso discorso vale anche per il Partito democratico di Pier Luigi Bersani. Non andrà da nessuna parte (o meglio, andrà contro un muro di titanio) se non affronterà e risolverà le sue contraddizioni. Il Pd deve decidere tra Essere e Avere. Essere un partito che ha una linea riformista, pronto a cogliere le sfide della contemporaneità; o Avere un volano con il sindacato della Cgil ma subirne i diktat, la visione di un mondo retrò che non corrisponde neppure alla realtà industriale. Bersani in questo scenario ora ha più difficoltà di Berlusconi. Il paradosso democratico è emerso fin dal primo momento in cui il Cav ha lasciato il governo. Proprio nella fase storica in cui il Pd poteva andare alle elezioni, vincere e tornare a Palazzo Chigi, un suo leader storico, Napolitano, si è incaricato di scrivere la parola «fine» sull’equivoco cominciato dopo la caduta del Muro. Il presidente della Repubblica ha chiare tre cose: il berlusconismo è nella fase finale, il Pd non ha la forza per governare e al sistema serve un atterraggio morbido e un salvataggio rapido. Per questo c’è Monti. Per questo Berlusconi lo appoggia e Bersani non può farlo cadere. È il traghettatore senza il quale i partiti restano in mezzo al fiume. E affogano.  Mario Sechi, Il Tempo, 23 febbraio 2012

……………D’accordo,  c’è un nuovo schema di gioco, come lo chiama Sechi. Ma c’è un’incognita della quale Sechi, come tutti, pare non tengano conto. L’incognita è rappresentata dagli elettori i quali prima o poi saranno chiamati a dire la loro. Perchè se è vero che l’Italia non è luogo di rivoluzioni o di rivolte, è altrettanto vero che gli italiani hanno dimostrato nel passato, recente e lontano, di saper usare l’unica arma che hanno avuto  a disposizione, cioè il voto, o, anche,  il non voto. Il non voto lo hanno usato in occasione di referendum abrogativi francamente inutili se non dannosi;  il voto, invece, lo hanno saputo usare, facendo le loro scelte, giuste o sbagliate, ma comuque tali da indirizzare il futuro. Così nel 1946 in occasione del referendum Monarchia-Repubblica, così, sopratutto nel 1948, quando la scleta era fra il “sedere”  di De Gasperi bersaglio di Togliatti e lo stivale del plenipotenziario di Stalin. Gli italiani scelsero, e in quel caso seppero scegliere, il “sedere” di De Gasperi, nel senso che lo salvarono dallo stivale di Togliatti e gli si affidarono con grande fiducia e speranza. Speranze e fiducia ben riposta se è vero come è vero che fu De Gasperi allora a tenere il timone di una nave che nonostante l’armistizio di Cassibile, era comunque uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, dissanguata, letteralmente, e dissestata nella sua economia, nelle sue aziende, nelle sue attività. De Gasperi seppe innlazare, davvero,  la bandiera dell’orgoglio nazionale, insieme a quella della rinascita economica perchè godeva della fiducia degli italiani che avevano depositato nelle sue braccia e nella sua testa le loro speranze nel futuro. Ebbero ragione ad avere fiducia e De Gasperi dimostrò di meritarla. Si può dire la stessa cosa dei partiti e dei loro leaders di oggi e di domani – gli stessi di oggi – che hanno abdicato ai loro doveri dopo aver creato, tutti insieme, il baratro nel quale è sprofondato il Paese? Francamente lo dubitiamo. Dubitiamo che basti qualche piroetta  o qualche giro di valzer all’italiana, ora anche nella politica interna dopo esserne stati maestri nella politica estera, perchè, gattopardescametne, tutto finga di cambaire perchè non cambi nulla. Ciò vale, a nostro sommesso avviso, per tutti: centrodestra, centrosinsitra, terzopolo ed ammennicoli vari. Per cui cambaire lo schema di gioco ma permanendo gli stessi giocatori e, peggio ancora, lo stesso arbitro, è assai improbabile che gli elettori siano disposti a ridarfe fiducia a quelli che l’hanno così clamorosamente tradita, peggio trasferita ad altri (leggi Monti) pur essendo, la fiducia, un bene intransferibile. g.