Parlamento Duello nel Pacifico è un film del 1968, racconta la storia di due soldati, un americano e un giapponese, interpretati da Lee Marvin e Toshiro Mifune che in un’isola deserta ingaggiano una battaglia all’ultimo sangue per la sopravvivenza. Si tratta di una straordinaria pellicola diretta da John Boorman dove la guerra tra eserciti non si vede mai, ma la tensione totale, la differenza culturale tra i due contendenti e la distruzione irrazionale del finale sono raffigurati all’ennesima potenza. L’epilogo del processo Mills mi fa venire in mente quel film. Siamo di fronte a un finale di partita lungo diciotto lunghi anni, una battaglia che si protrae nonostante là fuori sia successo qualcosa, una «pax parlamentare» sia stata siglata e un «nuovo inizio» sia in qualche maniera cominciato. Deporre le armi – tutti – dare al Paese un nuovo volto, diverso dalla nostra storia di guelfi e ghibellini, è l’unica cosa saggia da fare. Giorgio Napolitano l’ha capito per primo. Ma ci sono macchine infernali che continuano a viaggiare con il pilota automatico e non si fermano. Mesi e mesi fa, quando qualcuno pensava ancora di poter andare avanti così, scrissi che bisognava immaginare un «soft landing», un atterraggio morbido, per la storia berlusconiana, un’era segnata da una straordinaria intensità dello scontro politico. Non era la ricerca di una «exit strategy» per Berlusconi, ma un ragionamento sul sistema, dettato dalla consapevolezza dell’eccezionalità di quella storia e dei suoi protagonisti. È un discorso che non riguarda solo Berlusconi, ma gran parte della classe politica che in questi anni ha vissuto nei partiti pro o contro il Cavaliere. Se non si prende atto di questo scenario, se non si fa lo sforzo collettivo di fare un passo verso il futuro, avendo il coraggio di non voltarsi più indietro, anche il governo Monti rischia di essere un episodio in una storia crudele. Tra poco più di un anno il Paese sarà chiamato al voto. Non è possibile immaginare uno scenario di fazioni armate fino ai denti con la magistratura che seleziona la classe dirigente – di destra e di sinistra – a colpi di inchieste. È giunta l’ora di sotterrare l’ascia, accendere il calumet della pace e voltare pagina. Mario Sechi, Il Tempo, 26 febbraio 2012

………….Pur con qualche pizzico di malessere ci prioviamo ad essere d’accordo con Sechi. Si depongano le armi e si volti pagina, nell’interesse del Paese. Ma deporre le armi solo nella ormai ventennale guera atomica tra berlusconiani e antiberlusconiani non è sufficiente per voltare pagina. Voltare pagina significa riscrivere le regole, tutte, non solo quelle che consentano ai capi degli eserciti di rimodellarle a propria tutela e salvaguardia. Bisogna riscriverle in maniera tale che in questo Paese non ci sia più una percentuale, piccola, ma comuque consistente, di privilegiati  a danno della  stragrande maggioranza di cittadini, riscriverle perchè  questo Paese venga restituito ad un sistema di diritti e di doveri garantiti da pesi e contrappesi, in ogni campo, da quello istituzionale, a quello politico, a quello giudiziario, a quello fiscale, che garantiscono il cittadino comune, il sig, X, tutti i signor X d’Italia,  dalle prepotenze, dagli abusi, dai privilegi in uso per aluni a danno degli altri. Solo così vltare pagina avrà un senso e deporre le armi non significherà la resa dei cittadini difronte al potere, comque identificabile. g.