L’onestà non è un optional, essere leali nelle dichiarazioni al fisco è un dovere. Ma lo è anche non raccontare favole ai cittadini, ed è in questa categoria che rientra l’idea che pagando tutti si pagherebbe meno. Fin qui si è dimostrato l’esatto contrario: più cresce la spesa più cresce la necessità di gettito, quindi di entrate, più cresce la pressione fiscale. In una perversa corsa al rialzo che ci rende tutti più poveri e rende la società nella quale viviamo non più equa, ma più ingiusta.

Ieri la favola ha trovato un narratore di prima grandezza, il presidente del Consiglio, il quale ha detto: «Se ognuno dichiara il dovuto il fisco potrà essere più leggero per tutti». Perché ciò sia vero non necessita un lieto fine, ma una lieta premessa: il taglio della spesa pubblica. Se non si turano le falle della spesa corrente non è che versando ciascuno il dovuto si potrà tutti versare meno, è che si butteranno liquidi vitali in un secchio senza fondo. Sono due le premesse dell’equità fiscale: una spesa che restituisca servizi, senza alimentare sprechi, e una pressione che non sottragga a ciascuno più del ragionevole. Da noi mancano entrambe. La pressione s’esercita solo su chi non può sfuggirla o si assoggetta per onestà e senso civico, il che non è giusto. Ma non è giusto neanche far credere che il problema consista solo nel costringere gli altri, non è giusto puntare sull’invidia e la rabbia sociale. È vero: i cittadini devono imparare l’onestà, tutti. Ma è anche vero che la macchina pubblica deve dimagrire in modo massiccio, altrimenti il risultato sarà solo più povertà.

Lo Stato, inoltre, è disonesto con i propri cittadini. È disonesto quando pretende subito e restituisce dopo anni quel che non gli era dovuto. Quando chiede soldi a chi chiede giustizia, quando prima pignora e poi ti mette a disposizione un giudice. Quando consegna a dei funzionari un potere insindacabile, se non dopo avere pagato. La distanza che c’è fra il pagare il non dovuto e il riavere, fra il diritto alla proprietà e il suo assoggettamento al burocrate, è la distanza che separa lo Stato di diritto dal dispotismo, il cittadino dal suddito. Tutto questo non giustifica l’evasione fiscale, per niente. Ma occorre dire che paghiamo troppo, il che favorisce la recessione. C’è un grande debito pubblico, ma pensare di colmarlo con le tasse è follia. Si deve aggredirlo con le dismissioni, rendendo lo Stato meno presente nel mercato e più forte nel far rispettare le regole. Un tempo c’era chi diceva: lavorare meno per lavorare tutti. Idea frutto d’etilismo ideologico, priva di senso del mercato e anche di buon senso. Dire che pagando tutti si pagherà meno non è meno dissennato, anche se la bottiglia, in questo caso, contiene non alcool ideologico, ma moralistico. Pagare tutti è giusto. Pagare tutto quel che oggi lo Stato chiede no, non lo è. Davide Giacalone, Il Tempo, 29 febbraio 2012

…………Chissà se il funereo presidente del consiglio in carica, Monti, troverà iltempo di leggere questo editoriale de Il Tempo, a firma di Davide Giacalone o se qualcuno dei suoi super pagati attendenti glielo metterà nella rassegna stampa che ogni mattina gli viene messa sotto gli occhi. Ci auguriamo di si, cosicchè eviterà di dire l’ennesima fregnaccia, come le altre di cui ci inonda da tre mesi a questa aprte, per cui saremmo passsati dall’orlo del baratro di tre mesi fa ad una improvvisa primavera economica, o come quella così drasticamente censurata da Giacalone, ossia che pagando tutti le tasse pagheremo tutti meno. Non è il caso di ribadire ciò che con estrema chiarezza scrive Giacalone al riguardo, nè è il caso dio sottolineare che a nessuno, proprio a nessuno, nemmeno a Monti è concesso di prendere per il naso la gente. Per ridurre la presisone fiscale, o per avere la concreta possibilità di farlo, bisogna ridurre le spese  elefantiache dello stato,  in tutte le sue articolazioni, ma bisogna farlo sul serio non come ha mostrato di fare anche Monti in questi tre mesi, nonostante egli non abbia sul collo (almeno così dice lui) lo spettro del giudizio elettorale, cioè con provvedimenti che neppure minimamente hanno intaccato la spesa statale, unica strada per consentire la riduzione della ormai insostenibile pressione fiscale, che si traduce, non dovremmo dirlo noi a Monti che passa per essere un illuminato economista, in blocco dei consumi, blocco della crescita e quindi recessione economica. Di esempi ne potremmo fare a iosa. Ci limitiamo a due. Apparentemente insignificanti, ma emblematici del fatto che gli annunci e le promesse di Monti sono per quanto riguarda gli annunci solo propaganda, e per quanto riguarda le promesse uguali a quelle del lupo. Vediamo. 1.  Nonostante sia stato alla fine confermato che il rilascio delle nuove licenze di taxi è competenza delle Regioni e dei Comuni, si è stabilito che gli stessi, per le nuove licenze,  debbono “acquisire il parere obbligatorio ma non vincolante dell’Autorità per i trasporti”, nuova di zecca che costerà alla stato dai due ai tre milioni di euro l’anno, solo per fornire “pareri obbligatori ma non vincolanti”: non c’è chi non constati la ridicolaggine di tale disposizione, alla luce della riconfermata competenza di regioni e di comuni sulla materia, acclarato che nessuna autorità centrale possa sostiuirsi alle autonomie locali su questioni che hanno diretta correlazione con il territorio. Ebbene nonostante la ridicolaggine di cui si copre il governo con questo “compromesso” sulla vicenda delle licenze dei tassisti, l’Autorità per i trasporti, che non servirà a nulla, la si fa ugualmente. Perchè? Delle due l’una: o Monti, pur di non fare completamente brutta figura, insedia comunque , ovviamente a spese dello Stato, questo nuovo carrozzone, oppure Mont, i o chi per lui,  ha già pronto chi dovrà sedere sulla nuova poltroncina con conseguente congruo appannaggio. Comuque sia, zuppa o pan bagnato, resta il fatto che a pagare sarà lo Stato, cioè i contribuenti, quelli onesti, per vocazione o per costrizione, sulle cui spalle peserà il costo della nuova e inutile Autorità. 2. Nei giorni scorsi una nuova polemica sui costi della politica ha infiammato i mass media. Questa volta i riflettori sono stati accesi sui vitalizi cui hanno diritto gli ex presidenti del Senato che continuano a fruire di uffici, personale,  auto blu, etc nonostante siano cessati dalla carica. E qualche ex presidente del senato i dipendenti pagati dallo Stato se li porta pure a Milano, a casa sua.   E’ di ieri, però,  la notizia che, a seguito della polemica e  per ridurre i costi,  il Senato ha deciso di ridurre questi vitalizi. Sapete come? Gli ex presidenti del Senato ne avranno diritto “solo” per due legislature successive alla cessazione dell’incarico. Anche qui il ridicolo la fa da padrone.   In nessun Paese al mondo chi cessa da qualsiasi carica conserva vitalizi che sono legati all’incarico ricoperto. In Italia sinora gli ex presidentio del Senato ne avevano diritto a vita, da ora in poi,bontà loro,  “solo” per dieci anni! g.