Sono stati diffusi tra ieri e oggi due comunicati della “casta” politica. Con il primo si informa la plebe che gli esperti dei partiti della attuale (sgangherata)  maggioranza che sostiene il governo degli oligarchi italiani avrebbero raggiunto un primo accordo sulla bozza di modifiche costituzionali che sono sostanzialmente due: la riduzione dei deputati da 630 a 500 (più 8 da eleggere nella circoscrizione estera) e la riduzione dei senatori da 315 a 250 (più 4 da eleggere nella circoscrizion estera). Quanti ai numeri principali si tratta di una riduzione rispetto a quelli attuli di appena il 20%, quindi molto meno del 50% sempre promesso, e cioè 300 deputati e 15o senatori, numeri questi più che sufficienti  a garantire   una equa ed efficace rappresentanza popolare. Ma evidentemente quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti i numeri sono saltati e  ci si è accordati sulla riduzione del 20% sotto la quale hanno messo la firma il PDL, il PD,  e il Terzo Polo. Naturalmente siamo appena al primo passaggio (non formale…) di un accordo che dovrà fare i conti con le forze politiche ora escluse dall’intesa e successivamente con quelli che con il voto in Parlamento, da esprimere più volte, senza che si possa “mettere la fiducia”, dovranno approvare la riforma così come è stata congegnata. Non è difficile ipotizzare, senza molti rischi di sbagliare, che siamo di fronte alla solita montagna che ha partorito il topolino. Del resto a confermarlo ci sono quegli 8 deputati e 4 senatori  da eleggere all’estero. Ma non si era convenuti tutti che quella del voto ai residenti all’estero era una grossa boiata, tra l’altro in violazione di uno dei principi su cui si poggiano le democrazie moderne da Tocqueville in poi e cioè che il diritto di voto si accompagna al dovere di pagare le tasse?   In nessun Paese al mondo ciò è consentito e non abbiamo necessità di richiamare uno dei precetti costituzionali secondo il quale ogni cittadino ha l’obbligo di farsi carico dei costi dello Stato in ragione delle sue possibilità. Orbene,  i firmatari della bozza dell’intesa se ne sono bellamene scordati ed hanno previsto di mantenere in vita in seno al Parlamento italiano parlamentari eletti da chi le tasse non le paga.  Non solo! Nella bozza non c’è alcun riferimento all’altra boiata, quella dei presidenti della Repubblica che al cessare del loro mandato si trasformano in senatori a vita. In America, che è l’America, gli ex presidenti ritornano alla loro vita privata e al massimo si fanno per conto loro le  fondazioni e se ne pagano le spese. Basta ciò a farci dubitare che la “casta” sia davvero decisa a autosmontarsi, anzi queste poche noterelle fanno pensare che invece accadrà,  e  anche molto peggio,  quello che è accaduto nel passato, quando ad occuparsi della riforma dello Stato furono impegnati non i cosidetti esperti, ma i più autorevoli uomini di governo del passato, dal liberale Bozzi, alla comunsita Iotti,  al democristiano De Mita e, perchè no, al postcomunista D’Alema, cioè nulla. A conferma di questa nostra brutale previsione viene il secondo comunicato della giornata, quello a firma del rappresentante del Terzo Polo, l’ex di tutto Adornato (UDC), che a proposito di un raggiunto accordo su una nuova legge elettorale  tra gli stessi tre partiti, PDL, PD, Terzo Polo, identificata con quella proporzionale alla tedesca con qualche spruzzata di quella spagnola, ha fatto sapere che la notizia dell’accordo è del tutto falsa, avendo conferma da Pisicchio (API) il quale ha rincarato la dose precisando che la legge elettorale tedesca può solo essere  un primo punto di partenza ma non di arrivo. La smentita dell’accordo sulla legge elettorale rimette la palla al centro, come suol dirsi, anche perchè evidenzia che l’accordo sulle riforme può camminare solo di pari passo con quello della legge elettorale, perchè, evidentemente, ciascun partito  parametra la sua posizione rispetto alle riforme istituzionali sulla base della legge elettorale, per trarne il massimo vantaggio. Ecco perchè i cittadini italiani rischiano di essere travolti da un nuovo ma sempre uguale gattopardismo: fa e finta di cambiare tutto, per non cambiare nulla (stipendi, vitalizi, privilegi compresi!). g.