Due nostri soldati, marò del San Marco, da ieri sono in carcere in India. Li hanno presi con l’inganno, in spregio ai trattati internazionali.

India, i marò italiani in cella

Fessi noi che ci siamo fatti intortare. Ma questo non può giustificare un affronto all’Italia intera. I fatti sono noti. I due erano a bordo di una nave italiana che navigava in acque internazionali al largo delle coste indiane. Ce li aveva mandati il nostro governo per proteggere un pezzo di Italia dagli assalti dei pirati che infestano quelle zone. C’è stato un incidente, una sparatoria in cui sono rimasti uccisi due pescatori probabilmente scambiati per pirati. I nostri negano di aver fatto fuoco, altre navi incrociavano in quel momento poco lontano. Gli indiani non hanno dubbi: hanno sparato gli italiani, ma non forniscono alcuna prova. Ma al di là della dinamica una cosa è chiara: l’inchiesta deve essere svolta da un tribunale militare italiano e, se ritenuti colpevoli, i marò dovranno scontare la pena in un carcere italiano.

Siamo quindi di fronte a un sequestro di militari italiani da parte di un Paese straniero. I marò devono essere subito liberati e consegnati ai nostri. Il problema non riguarda solo l’Italia ma l’intera alleanza politica e militare della quale facciamo parte e alla quale abbiamo dato un tributo di sangue non indifferente sui fronti di crisi aperti nel mondo. Un Paese non vive di solo spread, e un governo che non sa difendere i suoi uomini, che non ottiene il rispetto dei trattati, è meglio che si faccia da parte. La presunta autorevolezza internazionale del nuovo premier e della nuova Italia va dimostrata innanzi tutto su questo piano. Monti non può fare anche lui l’indiano, il suo silenzio fa male. Non siamo tutti come Pisapia e la sua maggioranza che ieri a Milano hanno negato l’esposizione sulla facciata del Comune della foto dei due marò in segno di solidarietà, come avviene con i civili italiani sequestrati nel mondo. Noi non ci stiamo. A pagina tre trovate il poster dell’orgoglio. Facciamone buon uso. Alessandro Sallusti, 6 marzo 2012