IL PM PALERMITANO INGROIA IRRIDUCIBILE: DELL’UTRI E’ AMICO DELLA MAFIA
Pubblicato il 14 marzo, 2012 in Giustizia | Nessun commento »
La Cassazione ha demolito il suo teorema ma il pm palermitano pontifica: “Il senatore ambasciatore della mafia”
La sentenza ha seminato dubbi e la requisitoria del procuratore generale Francesco Mauro Iacoviello si è quasi trasformata in un’arringa in difesa di Marcello Dell’Utri, ma lui non ha smarrito le sue certezze.
Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, colonna dell’antimafia siciliana e accusatore da una vita del senatore e bibliofilo, senza aspettare di leggere le motivazioni del verdetto che ordina la celebrazione di un nuovo processo. Anzi, in qualche modo Ingroia prova a riscrivere la sentenza in un’intervista senza freni al programma di Radio24 la Zanzara. Per lui Dell’Utri era e resta «un ambasciatore di Cosa nostra nel mondo imprenditoriale e finanziario milanese, un portatore di interessi della mafia».
Un giudizio durissimo che, evidentemente, scavalca la Cassazione e le sue preoccupazioni. Il parlamentare infatti è finito sotto inchiesta per concorso esterno e la Suprema corte, per superare una sorta di nouvelle vague giudiziaria e processi basati su suggestioni più che su prove, aveva fissato a suo tempo paletti rigidi. Ora i giudici hanno stracciato il verdetto di Palermo ritenendolo non in linea con gli standard della Suprema corte. Questo non significa che Dell’Utri sia innocente, ma la Cassazione afferma in sostanza che le prove non reggono.
Un ragionamento esplosivo che non modifica di una virgola il convincimento di Ingroia: Dell’Utri lavorava per Cosa nostra. Di più, l’avventura politica del senatore «nasce per gli interessi di Cosa nostra. L’idea della costituzione di Forza Italia è del senatore Dell’Utri ed è anche nell’interesse della mafia». Ingroia non arretra di un millimetro: già la sentenza della Corte d’Appello, che pure aveva condannato il senatore a 7 anni di carcere, l’aveva assolto per gli episodi successivi al 1992 e dunque collegati alla nascita di Forza Italia e alla presunta trattativa fra Cosa nostra e spezzoni dello Stato. Ora la Cassazione va oltre e contemporaneamente la magistratura fiorentina, al termine del processo contro un boss condannato per la bomba agli Uffizi, spiega che non ci sono riscontri all’ipotesi che Forza Italia abbia dialogato con i capi di Cosa nostra. Non importa.
Per Ingroia, invece, le prove «non ci sono» su Silvio Berlusconi che pure è stato sotto i riflettori della magistratura per anni e anni. Ora il magistrato tende a distinguere i ruoli, ma al Cavaliere riserva una stilettata ancora più graffiante: «Berlusconi ha detto che Dell’Utri ha sofferto 19 anni di gogna? Si potrebbe replicare che quando lui era al governo poteva fare una riforma per accorciare i tempi dei processi, invece ha fatto esattamente il contrario. Anche il processo Dell’Utri è durato così tanto per colpa di Berlusconi, questo è sicuro». Dunque, comunque si rigiri la questione, per Ingroia, che pure si sente «sconfitto» dalla Cassazione, questo non è il tempo della prudenza.
E così respinge anche le parole, davvero controcorrente, scandite in aula dal procuratore generale Francesco Mauro Iacoviello che aveva bollato «il concorso esterno, un reato in cui non crede più nessuno». Non è così per Ingroia che manda in prescrizione solo i dubbi dei colleghi e difende il concorso esterno così come è oggi. Anzi, il magistrato stila una spericolata classifica virtuale dei procedimenti più noti. In questo caso «ci sono molte più prove e più concrete. Sarebbe ingiusto rispetto a Bruno Contrada, per esempio, se Dell’Utri se la cavasse mentre lui è finito in galera. Su Contrada c’erano meno prove a carico».
Naturalmente è possibile ribaltare le conclusioni del procuratore aggiunto: se vacillano le prove raccolte contro Dell’Utri, allora si può sostenere che la condanna di Contrada poggia su palafitte marce e forse l’ex 007 è stato vittima di un errore giudiziario.
Ma Ingroia è sempre stato un magistrato senza peli sulla lingua e anche questa volta non si smentisce. E rivendica anche la propria passione civile: «Non mi pento di essere andato al congresso del Pdci, ci tornerei anche domani e devo dire che andrei anche da altri partiti. Sì, se mi invitassero Alfano e Berlusconi andrei a parlare di giustizia pure dal Pdl. Basta che non mi interrompano». Manlio Contento, avvocato e deputato del Pdl, si rivolge però al ministro della Giustizia Paola Severino perché avvii l’azione disciplinare. Alla fine la Zanzara rischia di pungere proprio lui. Stefano Zurlo, Il Giornale, 14 marzo 2012
…………...Su questo Pm che non rispetta le sentenze e le giudica senza neppure leggere le motivazioni, e quindi solo per partito preso, vi invitiamo ad ascoltare il commento di Giuliano Ferrara, su Radio Londra di questa sera. g. (ascoltare il commento andare sul Foglio e cliccare su Radio Londra).