Incontro Governo-parti sociali al Ministero del Lavoro I mercati segnalano sempre una febbre in corso da qualche parte. La finanza ha ripreso a correre. I trader fanno il loro lavoro, speculano. Negli Usa gli indici volano e in molti si interrogano: dura o no? C’è chi sostiene che siamo al livello della primavera 2011 e dunque vicini a un altro crollo dei listini, ma c’è una scuola di pensiero che raffronta l’impennata con quella del 1995, anno in cui l’indice S&P 500 guadagnò il 34 per cento. Per me valgono sempre le due regole d’oro di Buffett: prima regola, ricordati di non perdere soldi; seconda regola, non dimenticarti la prima regola. Detto questo, quel che accade nei mercati – come abbiamo visto nel caso del cambio di governo in Italia – ci interessa da vicino. La sbornia da spread in Europa è passata (per ora) solo perché il presidente della Bce Mario Draghi ha immesso un fiume di liquidità nelle banche. Nessuno parla più della Grecia, ma in realtà tra Atene e il resto del mondo accadono cose notevoli: come per esempio il fatto che chi si era assicurato sui bond greci con i Credit Default Swaps (Cds) sta ricevendo un rimborso che non è il cento per cento del valore investito. Chi aveva 100 euro di debito greco assicurato, ne sta ricevendo in cambio 78 in base a un meccanismo che apre un buco nero sulla validità di questi strumenti di protezione del rischio. La Grecia resta un problema. È uscita dalla porta, ma rientrerà dalla finestra. Nel frattempo l’opinione pubblica – dalla crisi dei mutui subprime nel 2008 – ha maturato la convinzione che le banche si muovano come locuste che divorano il raccolto per conto dell’industria finanziaria. Italiani, brava gente. Quando leggo che Salvatore Ligresti si è fatto liquidare quaranta milioni di euro di consulenze da Fonsai e Milano Assicurazioni nel periodo 2003-2010, mi chiedo come si possa far digerire all’opinione pubblica tutto questo. I comportamenti etici non sono un problema della sola politica, ma anche dell’impresa e dei suoi protagonisti. Se la produzione in Italia è colata a picco, ci sono responsabilità grandi da parte degli imprenditori e dei sindacati. Le barricate che hanno alzato sulla riforma del lavoro ne sono la prova. Se un simbolo della sinistra come Giorgio Napolitano arriva a invocare un barlume di saggezza da parte di Confindustria e sindacati, vuol dire che non c’è consapevolezza del rischio in corso, nonostante il crollo del fatturato industriale. La riforma del mercato del lavoro non ci farà crescere subito, ma libererà risorse ed energie. I partiti sembrano più seri. Forse hanno compreso che se ieri il problema ero lo spread, domani per la speculazione sarà una riforma del lavoro senza capo né coda. Sono in ballo punti di pil futuro, cioè quello che manca all’Italia. Se i mercati non tengono botta, abbiamo fatto lo stesso un passo avanti. Mario Sechi, Il Tempo,  20 Marzo 2012

.…………Abbiamo grande stima del direttore de Il Tempo e leggiamo sempre con attenzione i suoi editoriali, condividendone le analisi. Anche oggi Sechi evidenzia le difficoltà in cui versa il Paese,   ad onta di quel che un giorno si e l’altro no, a corrente alternata, a seconda della bisogna, sostiene il premier unto da Dio, Monti, e cioè che grazie a lui e al suo governo le difficoltà maggiori starebbero dietro le spalle.  Ciò che scrive Sechi a proposito dei mercati e dei problemi finanziari è la verità. Quel che non ci convince è invece la tesi secondo cui i mercati stanno a guardare la riforma del lavoro per valutare la credibilità dell’Italia e quindi essere invogliati ad investire, anzi a ritornare ad investire nel nostro Paese. A questo riguardo ancor più esplicito è stato il segretario del PDL, Alfano, il quale in una dichiarazione alla stampa di questa mattina ha sostenuto che tutto dipende dall’art. 18  che rallenterebbe gli investimenti delle aziende straniere in Italia. Da sempre siamo convinti che il famigeraro art. 18 non è un totem e che una sua riformulazione è auspicabile, pur nell’ambito di una riconfermata tutela dei lavoratori dipendenti, ma considerarlo il colpevole dei mancati investimenti stranieri in Italia e/o dell’altrettanta latitanza di investimenti degli imprenditori italiani ci sembra una baggianata, esplicita quella di Alfano, più soft quella di Sechi. E’ una baggianata, intanto perchè da più parti ci si preoccupa di sostenere che l’art. 18 tutela poche persone e forse sarà vero, ma se ciò è vero, allora, perchè impantanarsi su un aspetto marginale e quasi inifluente? La verità è che quella dell’art. 18 è solo una barricata sulla quale si stanno arrampicando da una parte il governo Monti che vuol far mostra di polso e dall’altra tutti coloro che fanno finta di ignorare che il male italiano è la burocrazia, che lungi dall’essere  stata messa agli angoli, continua imperterrita, ad ogni livello, ad imperversare, aiutata da un legislazione ferraginosa e tortuosa che atterrisce sia gli imprednitori italiani, sia, sopratutto, quelli stranieri. Basta ricordare da una parte il rigassificatore di Brindisi per il quale dopo quasi un decennio di guerriglia burocratica l’impresa  inglese che doveva realizzarlo ha alzato le mani, con grave danno per l’economia – diretta e indiretta – sia nazionale, sia del Sud che ha perso centinaia di posti di lavoro, e dall’altra la TAV,  la ferrovia ad alta velocità tra Italia e Francia, e quindi verso il resto dell’Europa,  la cui realizazzione  consentirebbe enormi risparmi per il trasporto delle merci che segna ilpasso ad opera di qualche centinaio di invasati che sino a qualche settimana fa hanno avuto la copertura di forze politiche che le hanno usate per mero calcolo antigovernativo. Sono questi i veri nemici e gli eterni ostacoli alla ripresa degli investimenti e non l’art. 18, falso tabù e altrettanto falso totem.  Il quale, va detto, è comunque uno strumento di tutela, non necessariamente giudiziario, contro iniquità che nel mondo del lavoro non sono poi tanto infrequenti. g