Il premier italiano Mario Monti al Consiglio europeo di Bruxelles Ho sempre pensato che il pericolo per il governo Monti viene dal Fisco e dalla leggerezza con cui l’esecutivo tratta la materia delle tasse. Quando è stata varata la ricetta «brussellese» per riequilibrare i conti e raffreddare lo spread, il premier doveva immaginare che l’aumento della pressione fiscale avrebbe prodotto recessione – fatto incontestabile – ma anche un clima di strisciante conflitto sociale. I problemi che Monti trova sulla sua scrivania al rientro dal viaggio in Cina, fanno emergere incertezza, disorganizzazione e confusione istituzionale. La scelta di Monti di mantenere il gravoso interim del ministero dell’Economia, il ruolo incerto di Corrado Passera al ministero dello Sviluppo (parla da ministro del Tesoro, ma non lo è), i molti mesi trascorsi senza un direttore generale in via XX Settembre, sono granelli di sabbia che alla fine sono finiti nell’ingranaggio del governo. La nuova tassa sulla casa, l’Imu, è un rebus e l’allarme lanciato dai Centri di assistenza fiscale è l’ultimo di una lunga serie. Non si sa ancora come pagare l’acconto (la prima rata è prevista per il 16 giugno), i criteri di imposizione ballano, i Comuni vivono l’arrivo dell’imposta nella più totale incertezza, tanto che l’assessore al Bilancio del Campidoglio, Carmine Lamanda, ieri ha sentito il bisogno di inviare una «nota di solidarietà ai Caf». Dal Caf al caos il passo è breve. Al posto di Monti seguirei la faccenda con attenzione, è una bomba a orologeria ed è meglio che il premier la disinneschi prima che esploda sotto la sua poltrona di Palazzo Chigi. Le élite tecnocratiche con il Fisco hanno un rapporto ragionieristico. L’importante è più o meno far quadrare l’ultimo numero della partita doppia, quello in fondo a destra. Ma la storia fiscale ci dimostra che le gabelle sono l’essenza della politica e dunque vanno maneggiate con cura. La spremuta fiscale doveva essere accompagnata da una comunicazione istituzionale adeguata e da una serie di provvedimenti diversi da quelli che abbiamo visto finora in campo. Non si possono torchiare i contribuenti onesti senza mai far vedere loro un orizzonte diverso dal tassa e spendi dell’amministrazione dello Stato. Conosco l’obiezione: «Da qualche parte bisognava pur cominciare». Benissimo, mettiamoci al posto di chi governa. Il piano di Monti era questo: si fa prima il Salva-Europa e poi il Cresci-Italia. Cosa è successo? Il Salva-Europa ha funzionato, ma il Cresci-Italia è poco più di una dichiarazione d’intenti. Sul primo, Monti ha potuto agire rapidamente grazie alla straordinarietà della situazione, alla leva del fattore «paura» e al senso di responsabilità mostrato da quasi tutti i partiti e dagli italiani. Ma sul secondo punto del piano è stato incerto, ha rallentato, ha offerto il fianco alla mediazione neocorporativa e alla fine ha portato a casa un risultato insufficiente. Dovrebbe essere una lezione, ma vedo che si ripete l’errore. Cosa c’è ancora da fare? La riforma del lavoro, in fretta. Ma ancor più importante è una rivoluzione fiscale equa e seria. I tecnici non servono a dirci che «c’è la recessione» (la tocchiamo con mano), ma devono indicare la via d’uscita. Mario Sechi, Il Tempo, 2 aprile 2012

…………………Ogni giorno che passa il direttore del più autorevole ed indipendente dei quotidiani di ispirazione moderata del nostro Paese si accorge che il governo dei tecnici si è rivelato una bufala. Le ragioni sono quelle illustrate oggi da Sechi nell’editoriale che è ritornato alle dimensioni “normali”, segno che le parole inutili sono state bandite per far posto all’essenziale. E l’essenziale è che sino a quanso si è trattato di fare ciò che viene più facile, cioè tassare e tartassare il ceto medio, cioè tutti perchè non esiste più nè la borghesia, nè il proletariato, tutto è andato liscio come l’olio (per i tartassatori, meno per i tartassati) ma quando si è trattato di procedere sulla strada più importante, cioè quella delle ripresa economica del Paese perchè uscisse dalla crisi e dalla recessione, i tecnici, con in testa Monti, si sono rivelati un bluff, anzi la brutta, bruttissima copia di “quelli di prima”. Due esempi. Monti  un giorno dice agli italiani:attenti! la crisi è ancora lontana dall’essere superata e perciò dovete continuare a soffrire; il giorno dopo, per esempio ieri, Monti dice agli asiatici: sono venuto a dirvi che ormai l’Italia è fuori dalla crisi, si è consolidata e quindi…. Una plateale contraddizine che magari qualcuno potrà spiegare richiamando l’ottimismo berlusconiano. Invece no. E’ solo pressapochismo allo stato puro, altro che non voler tirare a campare. Secondo esempio. Ieri nel corso di una trasmisisone televisiva, il sottosegretario al Lavoro, tale Polillo, incalzato da un gruppo di “esodati”, vittime due volte della brutale riforma pensionistica del duo Monti-Fornero, oltre che rivolgersi in maniera sprezzante e maleducata ad una delle sue interlocutrici (una donna, trattata con un vergognoso: lei può essere arrabiata quanto vuole….), ad un certo punto, a corto di argomentazioni oltre che con  incomprensibili balbettii già sentiti in altre trasmisisoni, Polillo, invece di fornire notizie sulle misure che il governo intende adottare per risolvere il problema creato dalla riforma ,  se ne è uscito con una dichiarazione scioccante: gli accordi sottoscritti dagli “esodati” sono nulli per cui basta rivogersi ad un giudice…. . Stamattina il Ministero del lavoro, di cui Polillo è sottosegretario, ha diramato un altrettanto scioccante comunicato: se Polillo ha una ricetta la dica. Ma Polillo non è il sottosegretario al Lavoro e prima di parlare o sproloquiare non era meglio che ne avsse parlato con il ministro, intuitivamente ispiratrice dell’irridente comuniato che smentisce Polillo? Bastano questi due esempi per consentirci di dire che sulla media distanza è stato facile accorgersi che i grandi economisti non sono altro che dilettanti allo sbaraglio. g.