Palazzo Chigi Finirà male. La storia della Lega è il capitolo che mancava in un racconto kamikaze. Un pasticciaccio brutto intitolato «The Family» per Bossi, ma potrebbe essere «The Clan» per altri partiti. Anche il governo dei tecnici sembra entrato in questa spirale. Lo scrivo sapendo che Monti è l’unica opportunità che ha il Paese di uscire dalla palude, una situazione peggiore della crisi di Tangentopoli. Vent’anni dopo, lo scenario fa venire i brividi per l’assenza totale di un’alternativa. La storia gioca a dadi, si diverte a invertire i ruoli: allora vennero fuori dal cilindro la Lega di Bossi e il partito nuovo di Berlusconi. Si torna alla casella di partenza. A vent’anni fa. Ma la magistratura stavolta ha un ruolo di secondo piano, perché anch’essa è logorata al suo interno, è in crisi di credibilità e non ha alcuna forza di supplenza rispetto alla politica. Senza un’iniziativa politica forte, abbiamo di fronte la prospettiva del vuoto. Un buco nero capace di divorare la stessa democrazia. I leader dei partiti devono mettersi in testa che è finita un’epoca e gettare le basi istituzionali per scrivere un’altra storia, senza avventurismi e colpi di mano. È un lavoro da fare con umiltà, sapendo che per molti è l’ultimo giro di giostra. Sotto gli occhi dei cittadini ci sono enormi contributi pubblici distribuiti senza logica e ruberie private che lasciano di stucco chiunque. Il passo indietro di Berlusconi aveva creato le premesse per una «pax parlamentare» e l’avvio della ricostruzione del sistema. Ma la crisi della Lega è l’evento che cambia tutto. Chi credeva al partito «duro e puro» del Nord, oggi si ritrova senza rappresentanza, chi ha vissuto l’avventura del berlusconismo è smarrito, chi sognava una sinistra riformista è senza casa, chi vedeva in Monti un liberale a trazione integrale, dopo il dietrofront sulla riforma del lavoro, è perplesso. E il Wall Street Journal che cambia idea sulla forza di Monti ne è la metafora. Solo il Presidente della Repubblica può prendere in mano questa situazione, ma lo deve fare in fretta e con una fermezza senza precedenti. Manca poco alle elezioni del 2013, le amministrative saranno un banco di prova alla nitroglicerina, i mercati sono tornati a picchiare duro sui debiti sovrani. È giunta l’ora di riformare e cambiare tutto. Prima che crolli tutto. Mario Sechi, Il Tempo, 7 aprile 2012

.………….L’analisi è esatta e giusta. Quel che non ci convnce è la ricetta per uscirne. Primo. Monti è indicato come l’unica opportunità, ma il passo indietro sulla riforma del lavoro ne ha messo in crisi l’immagine, sostiene Sechi. Non è questo che ne ha messo in crisi l’immagine, semmai ha consentito di leggere sino in fondo cosa si nasconde dietro l’apparente aplomb inglese che l’uomo sfoggia. Era già emerso nei 120 giorni da che comanda, ma con la questione della riforma del lavoro è emerso il carattere supponente, arrogante e precisino del neo premier. Il quale o è come dicde lui o si impermalisce. Al quotidiano inglese che lo aveva paragonato alla Teacher e ora si è rimangiato il paragone, Monti, dopo aver puntigliosamente preso carta e penna, ha scritto una lettera per dire che il giornale non ha capito niente, non si capisce se prima, quando lo aveva paragonato allla grande statista inglese, o dopo, quando si è rimangiato il paragone. Stessa cosa ha fatto con la Marcegaglia che avendo “osato” definire  pessimo l’ultimo accordo sull’art. 18 (dal punto di vista delle imprese), Monti ha replicato, seccato e altrettanto puntiglioso, che “un accordo così 4 mesi fa era imossibile anche sognarlo”. Non entriamo nel merito delle tesi assolutiustiche di Monti, ma ci sembra che un premier “tecnico” che si dice lontano dalla politica l’ultima cosa che deve fare è fare il puntiglioso. Ecco perchè, senza scomodare altre e ancor più approfondibili quesitoni, non ci sembra che Sechi abbia ragione a sostenre che Monti sia l’unica opportunità. Anzi può essere che si dimostri un ostacolo acchè la politica si riformi come lo stesso Sechi auspica. Secondo. Affidare al presidente della Repubblica, a questo presidente della Repubblica, il compito, arduo,  di “prendere in mano le redini” pe raddrizzare il cammino del carro guidando i cavalli è quantomeno azzardato. A prescindere da ogni altra considerazione, Napolitano è un uomo del sistema, di questo sistema, che sull’arroganza del potere politico, cosi com’è, ha le sue fondamenta. Pensare che chi dal sistema ha tratto ogni possibnile beneficio, compreso la seggiola di Presidente della Repubblica sia in grado, intelelttualmetne, di affondarlo, ammesso che ne abbia i poteri e glis trumentiu, è mera utopia. Ovviamente confessiamo che allo stato non sapremmo contrapporre nulla di alternativo alle tesi di Sechi (cioè, lo sapremmo, ma lo consideriamo in Italia inattuabile) ma ciò non ci può indurre a condividerlo. Salvo che in effetti o tutto cambai, o tutto crolla. E sotto le macerie questa volta ci resteremmo tutti. g.