Orgoglio padano e orgoglio pacchiano. I militanti leghisti – non gli elettori, che appartengono a tutte le categorie umane- sono gente semplice. Lo sapevamo e ne abbiamo avuta conferma alla Fiera di Bergamo, dove è andato in scena lo psicodramma dal titolo vernacolare: «L’è ùra de netà fo’ ol polér» (è ora di pulire il pollaio).

Volti stralunati. Desiderio di vendetta. Paura palpabile che svaniscano i sogni di autonomia, secessione, federalismo: robaconfusa eppure utile a infondere nei cuori della base il credo bossiano. Un padiglione stracolmo di persone ansiose di capire come andranno a finire e che hanno tirato un sospiro di sollievo quando Roberto Maroni ha lanciato spruzzi di ottimismo, scandendo slogan elementari, ma buoni a sollevare il morale. I riti collettivi, perfino i funerali, servono a chi è vivo per caricare le batterie della speranza. In questo senso la manifestazione ha fatto centro. La folla ha ritrovato la voglia di combattere, senza la quale la sconfitta è certa. La platea, secondo moda e costumi attuali, si è presto trasformata in gradinata da stadio. Tifo da ultrà. Tipiche volgarità da Curva Nord. Sembrava di essere al Brumana quando gioca l’Atalanta, che vanta il pubblico più appassionato dell’universo calcistico. Vabbè. Anche la politica si adatta ai tempi, e non solo tra le camicie verdi, che non piacciono agli ex comunisti, benché costoro, quando non erano ex, siano stati inventori inesauribili di pagliacciate. La festa dell’Unità, a Bergamo,si svolgeva sugli spaltidi Sant’Agostino ed era equiparata, per stile e forza attrattiva, alla Fiera di Sant’Alessandro che offriva ai visitatori il numero spettacolare della donna cannone. Siamo abbastanza vecchi per ricordare, ma non a sufficienza per aver dimenticato i comizi sgangherati di Teresa Noce, che arringava i compagni – allora con le mani callose e le unghie annerite dai grassi d’officina promettendo pane e lavoro. Mutatis mutandis, Maroni promette che i ladri della Lega dovranno restituire il bottino fino all’ultimo centesimo. Scoppia l’applauso. Cresce l’entusiasmo. L’idea di punire chi ha gettato fango in faccia ad Alberto da Giussano eccita gli animi. Il simbolo del male assoluto è già stato identificato: Rosi Mauro, vicepresidente del Senato. È accusata di ogni male, anche di aver circuito con metodi subdoli il povero Umberto Bossi, piegato dalla malattia, quindi inabile a difendersi dalle arti occulte della donna che ha fatto carriera profittando della debolezza del capo. Il tentativo è talmente ingenuo da essere trasparente: per salvare la reputazione del Senatùr, si dice che l’ictus lo abbia talmente rincoglionito da ridurlo a subire il magnetismo negativo di Rosi. Il popolo preferisce pensare che il fondatore del movimento nordista sia stato vittima di una strega piuttosto che complice. Se la strega, poi, è terrona, essendo nata in provincia di Brindisi, ha tutti i requisiti per essere condannata al rogo. Un sacrificio liberatorio, purificatore. Ed è proprio questo che fa maggiormente schifo: vedere la massa dei fedeli imbufalita che si scaglia contro una signora, per giunta antipatica, destinandola al ruolo di capro espiatorio. Eliminiamo lei – la causa dei guai, il mostro- e assolviamo tutti gli altri. È una pratica collaudata, antica, e funziona sempre. Ma non è un buon motivo per approvarne il ricorso anche nella presente circostanza. Sarà che quando si apre la caccia alle streghe a me viene la tentazione di stare con le streghe, sono andato a verificare quali siano in realtà le colpe attribuite alla Mauro. Primo. È stata anni nell’orbita di Bossi, diventando responsabile dell’insignificante sindacato leghista, di cui si ignorano le opere. Quando lui ebbe il tremendo coccolone, lei gli si avvicinò ulteriormente e cominciò a frequentare con assiduità la famiglia, dove la moglie Manuela si era impadronita del pallino, trasmettendo gli ordini del marito a gerarchi e gerarchetti. Nacque così il famigerato cerchio magico, al centro del quale Rosi ha occupato un posto di privilegio. Secondo. Già a questo punto, il livello di simpatia della Mauro nell’ambiente leghista era sceso sotto zero. La signora inoltre, avendo conquistato lo scranno di vicepresidente del Senato ed esercitando le sue funzioni con metodi un po’ troppo spicci, non ha aiutato se stessa a risalire nel gradimento degli ufficiali padani. Terzo. Esploso lo scandalo, emergono indiscrezioni sul suo conto. Si dice che abbia incassato 200mila euro per spese personali, tra cui l’acquisto di una laurea in Svizzera. Balle. Effettivamente quel denaro è uscito dalle casse della Lega, però madame non lo ha intascato, bensì girato al sindacato di cui sopra. Esistono i bonifici che lo comprovano. Quanto alla laurea, altra fantasia: non c’è documento che ne certifichi l’acquisizione. Quarto. Hanno addebitato a Rosi anche un peccato della carne: un amante. Capirai che notizia, peraltro falsa, dato che manca qualsiasi riscontro.

Non è vero che il presunto moroso, Pier Moscagiuro, cantante per diletto, sia un ex poliziotto assunto da lei a Palazzo Madama. Moscagiuro è un poliziotto distaccato al Senato secondo regolare procedura. È laureato o no? Chissenefrega. Un agente di polizia, dottore o no, è un agente e tale rimane. Quinto. Negli atti finora divulgati non vi è traccia di denaro imbertato dalla vituperata terrona. Però agli occhi dei leghisti il terronismo è una macchia indelebile: trattasi di pregiudizio che sarebbe opportuno, anche per questioni politiche, non manifestare né, tantomeno, ostentare. Si è affermato incautamente che la Nera di cui si vocifera sarebbe la Mauro. Falso anche questo. La Nera è un’infermiera svizzera che assistette Bossi durante la degenza e la convalescenza. Tutto qua. Basta a giustificare un simile ostracismo nei confronti della signora? È evidente la malafede in chi pretende di giustiziarla senza neppure lo straccio di un processo, che dico, di un indizio. Ovvio. In un partito scioccato da una vicenda giudiziaria, che minaccia di comprometterne la reputazione, si tende a reagire per evitare il fallimento, eliminando le mele marce. Ma confonderle con quelle sane, e gettare nella pattumiera anche le brutte, non è segno che si progetta di cambiare in meglio, semmai in peggio. P.S. Quanto al Trota, non lo considerammo quando era in auge, non è il caso di considerarlo ora che è in disgrazia. Gli auguriamo solo di imparare in fretta un mestiere perché la vita, per un orfano della politica, è lunga e dura. Vittorio Feltri, Il Giornale, 12 aprile 2012

.……………..A quanto pare il consiglio-parere di Feltri non è stato tenuto in alcun conto. Infatti la Rosi Mauro, antipatica e per dipiù terrona (ma gli elettori della Lega terroni sono un esercito, praticamente il 90% dei meridionali emigrati nel Nord votano Lega!), è stata espulsa dalla Lega col voto unanime del consiglio federale di quel partito con una motivazione che francamente riecheggia più le purghe staliniane di 60/70 anni addietro che non le decisioni di un partito democratico nell’Europa del terzo millennio: la Mauro è stata espulsa perchè  non ha ubbidio all’ordine del Capo di dimettersi da vicepresidente del Senato” (peraltro  in assenza di prove di sue condotte scorrette e comunque in assenza di indagini giudiziarie sul suo conto).  Che poi questo Capo sia Bossi che a quanto pare sarebbe provato che, proprio lui,  abbia preso soldi dalla Lega, per sè, per la moglie, per il figlio, sembra essere stata considerata  cosa trascurabile, nel senso che – con tutte le possibili riserve del caso che valgono per Bossi come pure per la stessa Mauro  -  non si neppure astenuto  quantomeno  dal prendere parte al voto che ha deciso di espellere la Mauro la cui unica, vera colpa, è proprio quella di essere stata   la fedelissima dello stesso Bossi. Perchè a molti sembra, ed è quanto sotto sotto scrive lo stesso Feltri, che  nella Lega la questione dei quattrini è stata solo una scusa per mascherare la lotta senza quartiere tra i vari notabili che si contendono l’eredità di Bossi, primo fra tutti il potentissimo ex ministro dell’intenro, Roberto Maroni,  forse dimentico che una quindicina di anni fa piagnucolava dietro le quinte del teatro milanese  dove una massa di militanti, assai  simile a quella che l’altro ieri sera lo ha osannato a Bergamo, lo insultava chiedendone l’espulsione dalla Lega per la sua opposizione alla decisione di Bossi di rompere con Berlusconi. Dall’espulsione lo salvò Bossi, magnanimo con lui quanto feroce era stato con tanti altri, a incomiciare dall’idelogo e vero ispiratore  della idea leghista, cioè Gianfranco Miglio definito da Bossi “una scorreggia nello spazio” e cacciato via come unos traccio vecchio sebbene si trattasse di uno scienziato, vero, della politica. 15 anni dopo Maroni ha costretto Bossi – almeno per il momento – a rimproverare pubblicamente la sua famiglia e a votare l’espulsione della Mauro per consumare, secondo la Mauro,  una vendetta personale con una scusa  la cui puerilità non sfugge a nessuno. E che potrebbe presto dar luogo nella Lega a drammatiche involuzioni che danneggerebbero non solo la stessa Lega ma anche gli interessi più generali dei quali in questi mesi di opposizione al governo dei banchieri   la Lega s’era fatta portavoce. Perchè diventerebbe difficile per molti che leghisti non sono ma che non si dispiaccion0 di vedere difesi i propri interessi dalla Lega, potersi fidare di chi sceglie la strada della vendetta politica  che apre la strada alle divisioni proprio quando c’è bisogno di unità fra tutti coloro che si oppongono a questo governo. Forse Maroni non è poi così lungimirantre come vorrebbe apparire. Il tempo ci dirà la verità. g.