Le note dell’intervento tenuto ieri a Bruxelles da Mario Sechi, direttore de Il Tempo,  al convegno del Parlamento europeo “Quale futuro per l’Europa”.

Europa Il tema di cui discutiamo è la sovranità. Ma le elezioni presidenziali in Francia e quelle in Grecia segnalano un’inversione di tendenza: siamo tornati alle nazioni. Come reazione alla politica europea che non è condivisa dai popoli. A Parigi si è votato pour la France e contre l’Allemagne, ad Atene hanno vinto i partiti «no Euro», «no Bruxelles», «no Bce», tutto ciò che era ed è l’Europa di cui stiamo parlando qui, nel Parlamento. Ho ascoltato con grande attenzione le parole di Cohn Bendit, e devo dire che condivido il fondo della sua analisi: c’è una perdita di democrazia, rispetto ai dogmatismi contabili e agli accordi dei governi, i Parlamenti contano sempre meno. Ecco perché le elezioni nazionali hanno avuto come argomenti principali l’Europa e i suoi mali. Ma in quale scenario si sta svolgendo questo dibattito? Cari amici, sull’agenda ci sono almeno quattro parole chiave: 1. Lavoro: secondo gli ultimi dati del fondo monetario internazionale nel mondo industrializzato ci sono duecento milioni di uomini e donne in cerca di occupazione. Duecento milioni! Questa è una minaccia, un problema sociale che può sfociare in una guerra sociale. 2. Crescita: l’ho sentita evocare spesso nel Parlamento italiano e anche in questa sala più volte. È l’ultimo mantra di una politica che però non riesce a crearla. Sembra di vedere un veliero fantasma galleggiare in un mare morto. E mentre i governi cercano la crescita, la recessione sta distruggendo imprese, posti di lavoro, ma soprattutto speranza. Il fiscal compact che alcuni Parlamenti hanno approvato senza neppure leggerlo e altri non hanno nemmeno discusso ma dato per buono, è contro qualsiasi ipotesi di crescita, anzi è un ammazza-crescita. Verrebbe quasi da sospettare, ma lo facciamo solo per amore dell’analisi di scenario, che la Germania lo difenda così tanto perché in fondo consente ai tedeschi, attraverso il gioco degli spread, di finanziare il proprio sviluppo emettendo debito a bassissimo tasso d’interesse.

E scaricando il costo del debito sui Paesi più deboli e che resteranno tali finché non si sarà allentata la morsa fiscale e data loro una possibilità di sviluppo che non vuol dire uscire dal rigore, come si pensa a Berlino, ma aprire le porte a una nuova èra di investimenti. 3. Banche: anche ieri la prima pagina del Financial Times dava il titolo principale al salvataggio con soldi pubblici di Bankia, il terzo gruppo spagnolo per asset posseduti. Che sorpresa, ancora una volta i soldi dei contribuenti vengono utilizzati per salvare chi continua a fare finanza per la finanza, senza mai servire l’economia reale. Proprio ieri mentre viaggiavo verso Bruxelles stavo rileggendo i saggi politici di Orwell, ecco mi sembra di essere piombato in un romanzo orwelliano in cui il paradigma del «too big to fail» (troppo grande per fallire) non può essere applicato ai giganti della finanza, ma gli Stati e i loro popoli invece possono fallire. Per cui siamo al paradosso che le banche che hanno speculato sulla Grecia vanno salvate mentre lo Stato greco può fallire e il suo popolo essere affamato. È questa l’Unione europea che sognavate? È questa l’Europa che volevano costruire Spinelli, Schuman e i padri fondatori? Secondo un rapporto dell’Unicef in Grecia 450 mila bambini sono sulla soglia della fame. È una vergogna e non smetterò mai di scriverlo e dirlo in pubblico. Certamente questa non può essere la mia Europa. Risolvere il problema della Grecia qualche anno fa sarebbe costato solo 50 miliardi, ma si è preferito attendere perché la finanza non voleva perdere un euro e il risultato è tutto nella drammaticità di queste ore. La Grecia non ha ancora un governo, in Parlamento sono arrivati i partiti estremisti, Atene rischia di tornare a votare senza risolvere i suoi problemi, il default è un rischio concreto, il ritorno alla dracma per un popolo esasperato è diventato una speranza, e l’Eurozona rischia il break up, la rottura. Che cosa succede se si realizza lo scenario previsto da uno studio dell’università di Cardiff per cui arriviamo al doppio euro? Chi lo gestisce? Cosa succede? Quali saranno le conseguenze? Lo sanno tutti che i contratti delle grandi corporation ormai prevedono clausole di salvaguardia nel caso in Europa dovesse rompersi l’Eurozona. Gli studi legali internazionali già prendono contromisure, le mettono nero su bianco, preparano la diga in caso del diluvio. E i governi europei che fanno? E il Parlamento che fa contro la cattiva finanza? Non c’è neppure un ombrello in caso di pioggia. Ripeto, banche e cattiva finanza questo è il problema, l’origine della crisi che parte nel 2008 con i mutui subprime in America e si propaga come un virus in tutto il mondo. È ora che anche le banche prendano atto che possono fallire, non si salva la finanza che lavora solo per la finanza. Deve essere chiaro una volta per tutte, bisogna finirla con questa mistificazione e manipolazione del linguaggio e mi appello a tutti i giornalisti affinché raccontino quel che sta accadendo: l’Europa è in pericolo, grave pericolo. 4. Democrazia versus Tecnocrazia: è questo il nocciolo del problema occidentale, ma in particolare europeo. La discussione sul funzionamento istituzionale dell’Unione a cui ho assistito dimostra che bisogna ripensare il rapporto tra organi rappresentativi, eletti e soprattutto elettori. Il mio Paese, l’Italia, è una metafora di questo problema. La tecnocratica way of life italiana è interessante nei suoi esiti perché avete qui davanti un signore che ha sostenuto il governo Monti, pensa che non vi sia alternativa, ha salutato con favore l’uscita del governo Berlusconi, ma alcuni mesi dopo deve prendere atto della realtà. La ricetta dettata dalla Bce e da Bruxelles ha dei limiti enormi: quando un Paese in recessione viene sottoposto a una cura fiscale eccessiva – siamo ben oltre il 45% di prelievo – non occorre essere laureato in economia a Princeton per capire che il risultato è quello di produrre ancora più recessione, distruzione di posti di lavoro e turbolenza sociale. E anche in Italia le ultime elezioni hanno confermato la tendenza europea al «no euro», «no Bce» «no Bruxelles». È un fiume carsico pericoloso, perché ripeto, sono tornate le nazioni e invece c’è bisogno di un’Europa che funzioni. Non è possibile vedere uno scenario in cui la France è contre l’Allemagne, Atene brucia e Berlino irride, l’Italia si dibatte in una ricetta suicida e intanto nel mondo circolano trecento trilioni di dollari di titoli derivati, vera spazzatura, senza alcuna copertura fondamentale, una bomba atomica sulla quale siamo seduti, dieci volte la ricchezza mondiale, e nessuno fa niente. Cari amici del Parlamento europeo, dov’è la soluzione per la cattiva finanza? Non la vedo. Ma abbiamo accettato che le banche non possono fallire e gli Stati sì. Io non so se l’Italia riuscirà a salvarsi o meno da questa crisi profonda e drammatica. Ma di una cosa sono certo: senza l’Italia non ci sarà mai l’Europa. Da Il Tempo, 10 maggio 2012