ANTONIO FAZIOANTONIO FAZIO

Per una inchiesta della magistratura che ha fatto acqua da quasi tutte le parti, la Bnl è finita in bocca ai francesi di Bnp Paribas, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, si è dovuto dimettere insieme al capo della vigilanza, sono stati cambiati assetti di potere rilevanti in Italia parteggiando per alcuni e danneggiando altri. È stata violentata la storia stessa di questo paese, con un episodio che non è stato insignificante nel renderlo più debole e più suddito all’interno dell’Unione europea.

Non c’è solo una raffica di assoluzioni per non avere commesso alcun tipo di illecito nella sentenza di appello sulla scalata Unipol-Bnl del 2005. C’è soprattutto il mutamento artificiale degli assetti di potere economico e in fondo anche politico sulla scelta della magistratura di entrare a piedi uniti (e senza ragioni) in una vicenda finanziaria per modificarne il corso, come voleva all’epoca il gruppo di interessi politico-economici che si univa intorno al capitale della Rcs-Corriere della Sera.

Basterebbe andare a riprendersi le cronache di quel 2005 per trovare la violenza con cui quegli interessi si saldarono e vinsero la partita proprio grazie all’intervento della magistratura. Basta metterla confronto con la sentenza di appello di mercoledì per vedere come il film dell’epoca si fosse svolto tutto in contrasto con la verità, in ogni suo passo. La memoria evidentemente difetta a tutti, compreso l’attuale presidente della Bnl, che ha commentato la sentenza di appello sostenendo che la magistratura non fu all’origine di nessuna scelta societaria, perché alla fine fu Bankitalia a bloccare la scalata di Unipol alla Bnl aprendo la strada ai francesi che se la papparono.

Questo però avvenne nel gennaio 2006, quando ormai la spallata politico- finanziario-giudiziaria era avvenuta. Fazio e Frasca, capo della vigilanza, si erano già dimessi, l’offensiva giudiziaria infondata era nel pieno del suo fragore, la spallata mediatica contro la cordata Caltagirone- Statuto-Ricucci-Coppola e bresciani era già stata assestata con colpi che avevano tramortiti. Quel che avvenne dopo, compresa la firma dell’allora direttore generale della Banca d’Italia, Vicenzo Desario, allo stop che aprì le porte ai francesi, fusegno di una resa inevitabile,provocata da tutto il resto.

Piero FassinoPiero Fassino

Avevano ragione gli avvocati difensori degli imputati assolti mercoledì a dire che grazie ai pubblici ministeri di quella inchiesta l’Italia aveva perso una banca. La storia l’ha certificato, e la sentenza di appello ora l’ha semplicemente suggellato. Come la storia stessa ha tragicamente dimostrato la lungimiranza della politica di difesa del sistema nazionale del credito adottata dall’allora governatore Fazio di fronte alle scorribande di grandi gruppi stranieri con bilanci gonfi di titoli spazzatura.

Molti degli assalitori dell’epoca oggi non ci sono nemmeno più, finiti gambe all’aria e travolti dai derivati e della crisi finanziaria che li ha mostrati fragili e inconsistenti. Gran parte dell’aggravarsi della crisi italiana di questi anni è responsabilità di chi allora fece di tutto per fermare la Banca d’Italia e quella regia- poi rivelatasi assai saggia- del suo governatore.

MASSIMO DALEMA NICOLA LATORREMASSIMO DALEMA NICOLA LATORRE

Oggi Fazio si gode l’assoluzione con la famiglia e non cerca rivincita (ha risposto grato e rapido agli amici che gli hanno telefonato nelle ultime ore), ma sa che quella storia che lo mise fuori gioco oggi va profondamente riscritta. Nella sentenza Unipol-Bnl è restata una sola doppia condanna, e un solo fatto illecito: quello delle telefonate fra Consorte e i vertici dei Ds dell’epoca, da Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre. In quei colloqui fu consumato il reato di insider trading, fornendo agli interlocutori informazioni finanziarie di cui il mercato non era in possesso.

Questo fatto -l’unico fatto della sentenza di appello- ieri non è stato nemmeno citato in titoli e occhielli di tutta la stampa italiana (con rarissime eccezioni). Né sono arrivate le scuse di Eugenio Scalfari che nel 2005 tuonò contro chi (Maurizio Belpietro e Gianluigi Nuzzi e Il Foglio) pubblicò quelle telefonate dove si era compiuto il solo reato di tutta la vicenda definendo le cronache giornalistiche «una mattanza contro i Ds». Franco Bechis, Libero, 2 giugno 2012