Nel centro di Budapest - sullo sfondo il Parlamento ungherese - l'omaggio a Ronald Reagan per il suo contributo alla caduta del comunismo e alla ritrovata libertà del popolo ungherese

Sport e politica sono mondi paralleli, in apparenza distanti, in realtà intimi, intrecciati, indissolubili. Se si volesse leggere la storia della contemporaneità, nessuna metafora è più efficace dello sport e della corsa allo spazio. Superamento del limite. Bandiera. Orgoglio nazionale. Le Olimpiadi, i mondiali di calcio, le sfide a ping pong tra Stati Uniti e Cina, i lanci di razzi e satelliti tra Russia e America. Le relazioni internazionali raccontate da cronache terrestri e spaziali che parlano di cento metri, salto in lungo, gol e rigore, zona totale, catenaccio, lancio, orbita, allunaggio e rientro. Superamento dei limiti. Ecco perché ai campionati europei Il Tempo dedica un’attenzione che può sembrare insolita: è la geopolitica che si manifesta in altre forme, la storia delle nazioni che si fa e disfa mentre un pallone rotola sull’erba. Ecco perché Angela Merkel ieri ha preso una decisione poco diplomatica: ha chiesto a Monti e Hollande di anticipare il vertice europeo perché vuol essere in tribuna a Danzica domani ad assistere alla sfida tra Germania e Grecia. Monti non rinviò il vertice con Hollande a Palazzo Chigi qualche giorno fa. È la differenza che passa tra un politico (Merkel) e un tecnico (Monti). Sport? Sì, ma c’è di mezzo la politica, il prestigio, la potenza della Germania. La Grecia deve perdere. È la vittoria di Berlino su Atene. La crisi è in campo e nello spogliatoio: gli azzurri sono pronti a rinunciare al loro premio europeo. È un bel gesto. La Federazione lo accolga. Gli italiani apprezzeranno. Il direttore di questo giornale tiferà Grecia e sarà in buona compagnia. Ho ammirazione per i deboli che sfidano i titani. Faranno altrettanto i colleghi de Il Foglio di Giuliano Ferrara, milioni di italiani e europei che non condividono la linea teutonica del rigore costi quel che costi. Ricordo la frase di un mitico allenatore della Sampdoria, Vujadin Boskov: «Rigore è, quando arbitro fischia». Ecco, la Germania non può essere l’arbitro dei nostri destini. Perché è un giocatore in campo. Può essere un partner, certo, ma solo se lavora a un progetto di crescita comune dell’Europa. Cosa che per ora non c’è. I giocatori della Grecia in campo domani sono la metafora del Paese povero, con una classe dirigente inetta, che ha bisogno di aiuto e fiducia, non di un programma di strangolamento per mezzo dello spread e dello swap. Ho grande rispetto per i tedeschi, la loro grandiosa musica e filosofia, ma mi preoccupa la loro tendenza ad allargarsi, il naturale dispotismo insito nel loro linguaggio. Hanno «fame di spazi», fa parte dello spirito tedesco e si manifesta a ondate nella storia. Devono essere fermati. Il calcio serve anche a questo. Forza Grecia. Mario Sechi, Il Tempo, 21 giugno 2012

………………..A differenza del direttore Sechi, noi non vedremo la partita. Non è necessario tifare, neppure metaforicamente, per la Grecia calcistica per manifestare alla Grecia Nazione  tutta la possibile solidarietà contro la Germania e i suoi arcigni e e di scarsa memoria dirigenti politici che l’azzannano come fa il cane con l’osso. Non è necessario confondere lo sport che è al di sopra e al di fuori delle controversie politiche, per sentirsi, come Kennedy  che  annunciò al mondo,  dinanzi alla Porta di Brendeburgo, simbolo della Berlino occupata dai comunisti, che tutti gli europei si sentivano berlinesi, che tutti gli europei oggi si sentono  greci,  contro lo strapotere di un nuovo revanscismo tedesco che s’erge sulle rovine dell’Europa, la stessa che meno di 70 anni fa versò il sangue di milioni di suoi figli per liberare la Germania dal nazismo e dalla oppressione di un  regime sanguinario e dispotico. Sono senza memoria la Merkel e i suoi compagni di governo che strangolano i popoli europei. Senza memoria e senza riconoscenza,  benchè figli una Nazione che ha dato al mondo  straordinarie testimonianze di cultura e di arte, tanto da farcela amare profondamente, costringendoci oggi a sentircene  orfani. Eppure la riconoscenza, benchè merce assai rara in politica e fra i popoli, proprio alla Germania non dovrebbe far difetto, inducendola a ben diversi e più cordiali approcci verso la Grecia e verso tuttti gli altri popoli europei, specie se si considera che talvolta la storia, nei corsi e ricorsi vichiani,  e la natura,  si prendono gioco anche dei più coriacei, punendoli, anche a distanza di tempo,  delle intemperanze o, come ora, delle teutoniche certezze di cui fa sfoggio la Merkel. La quale dovrebbe prendere esempio dalla vicina Ungheria che memore di dovergli la libertà,  ha eretto in una centralissima piazza di Budapest una statua Ronald Reagan, quasi a contatto di gomito con quella che ricorda Imre Nagy, il capo della rivolta del 1956, impiccato dai sovietici e riabilitato nel 1989. Mediti la Merkel e sappia che spesso è assai facile cadere  – precipitosamente – dall’altare nella polvere. g.