No, neppure uno shock, caro direttore, li sveglierà. Tu sei animato da un apprezzabile ottimismo della volontà, insegnatoci dal tuo grande conterraneo Antonio Gramsci. Io coltivo invece il pessimismo della ragione giustificato dal vedere i partiti politici ricoverati in rianimazione, dopo aver abbandonato più confortevoli spa nelle quali credevano di rigenerarsi dopo il traumatico cambio della guardia a Palazzo Chigi nel novembre scorso. Ma davvero c’è qualcuno che immagina un’energica ripresa d’iniziativa da parte di coloro che chiamando al capezzale della Repubblica Monti e sui tecnici ritenevano che in pochi mesi avrebbero fatto il “lavoro sporco” e per di più avrebbero trascinato il Paese in una logorante guerra di posizione contro la Germania e gli euroburocrati di Bruxelles e di Francoforte che oggi stanno affamando la Grecia e domani proveranno a fare altrettanto con l’Italia, la Spagna, il Portogallo? Ci vuole tanta ingenuità per crederlo, e tu e io tutto siamo tranne che ingenui: forse un po’ troppo idealisti, ma certo non iscritti al consistente club degli apoti, per dirla con Prezzolini, di quelli, cioè, che se le bevono tutte o quasi. E proprio perché astemi di fronte all’assenzio delle dabbenaggini politiche, sappiamo bene che i nostri prodi (si fa per dire), momentaneamente attaccati alla cannula dell’ossigeno, si dedicano ad altro, nei rari momenti di lucidità. Il leader del Pdl sta studiando un corposo fascicolo nel quale dovrebbe trovare il talismano della felicità, ovvero il nome che dovrebbe fargli vincere le elezioni. I bene informati sussurrano che la scelta dovrebbe ricadere su “Grand’Italia”: non sembra geniale e assomiglia tanto al nome delle molte pizzerie che popolano il Belpaese. Quanto ai contenuti, da Villa Certosa nulla perviene e Berlusconi, fedele alla sua idea monarchica, neppure ritiene, al momento almeno, né di sciogliere definitivamente la riserva sulla sua candidatura a premier né di convocare gli organismi dirigenti del partito al fine di elaborare una strategia in vista delle ormai imminenti elezioni. Quel che i pidiellini sanno lo apprendono dai giornali, ricchi di indiscrezioni, ma – poveretti – vuoti di informazioni a meno di non voler considerare tali le rituali interviste nelle prossimità di un qualche ombrellone a questo o a quell’esponente berlusconiano che pur di non lasciare desolatamente vuoto il taccuino dell’inviato sotto il sole, ripete quel che tutti sanno e cioè che non si sa appunto niente della fine che farà il Pdl. Tutto, come sempre, è nelle mani del Cavaliere, compresa la riforma elettorale spacciata per imminente, ma della quale non si conoscono neppure i contorni, mentre lo scopo è chiaro: verrà varato un provvedimento che garantirà il pareggio sostanziale, cioè a dire la dissoluzione perfetta della politica in modo da poter conferire a Monti, senza ambasce, un altro incarico tanto per vedere l’effetto che fa. Il suo incarico, questa volta, potrebbe perfino essere facilitato dalla possibile sconfitta elettorale della signora Merkel la quale, nonostante lo spread alto dei Paesi “amici”, non è riuscita nell’ultimo anno a far drizzare i consensi del suo partito, la Cdu, sceso ai minimi storici nelle roccaforti tradizionali. E mentre l’Europa affonda e noi ci preoccupiamo per i nostri precari destini, a Berlusconi che gioca al piccolo chimico della politica fa da contrappunto Bersani che ritenendosi probabilmente la reincarnazione di Togliatti, Longo e Berlinguer, s’industria come può per mettere in piedi uno straccio di coalizione perdendo però ogni giorno qualche pezzo. Lui dovrebbe guidare una sorta di invincibile armata (visto come è ridotto il centrodestra), ma è difficile che riesca nell’impresa, soprattutto se si dovesse votare tra febbraio e aprile: i suoi sodali stanno organizzando per benino le primarie e non è detto che non riescano a lasciarlo a smacchiare i giaguari. Tra tanto contendere nel Pd qualcuno forse pensa ai problemi evocati dal nostro direttore nel suo editoriale di ieri? Ma ci facciano il piacere. E, giacché ci ci siamo, ce lo facciano pure Casini, Fini, Passera, Montezemolo, le “cose” bianche, bianconere o rosee. Non ne possiamo più di alchimie elettoralistiche vuote, insignificanti, gonfie di aria malsana. Ci piacerebbe ascoltare qualcuno che proponesse qualcosa per uscire se non dalla crisi quantomeno dal pantano. Ma nelle cliniche partitocratiche dove tutti sembrano aver trovato ricovero, il massimo che riescono a produrre sono vascelli di carta galleggianti nell’afa agostana. L’autunno è alle porte. Si annunciano i primi temporali che dovrebbero segnare la fine dell’insopportabile estate. Cadranno le foglie e con esse anche molte illusioni. Gli statisti dediti all’inciucio troveranno ancora una volta sulla loro strada Monti e Napolitano. Non cambierà lo scenario. O forse sì. Marchionne lo vedremo sempre di meno in Italia, di acciaio se ne produrrà pochino, il mercato edilizio ristagnerà e l’agricoltura boccheggerà complice la siccità di quest’anno. Neppure la cultura potrà dirsi al riparo: altre devastazioni visiteranno la nostra memoria storica, mentre i ricercatori cercheranno di fuggire all’estero e parte dell’immenso patrimonio librario marcirà in qualche magazzino. Come accadrà a quello raccolto in una vita dall’avvocato Marotta per il cui Istituto di studi filosofici di Napoli nessuno ha trovato una sistemazione più adeguata di anonimi capannoni di Casoria dove trecentomila volumi diventeranno, con ogni probabilità (pur facendo gli scongiuri) cibo per topi o forse ghiotta merce per ladri che poi a caro prezzo venderanno agli antiquari le prime edizioni delle opere di Croce o quelle più preziose di Giordano Bruno. Non è detto che tu ed io, caro direttore, frequentatori di custodi delle memorie librarie che contribuiamo a sostenere, non c’imbatteremo in qualcuna di quelle preziose icone della nostra memoria. La politica può attendere. Gennaro Malgieri, Il Tempo, 28 agosto 2012

Malgieri è deputato del PDL, ex An ed ex Msi,ed ex direttore de Il Secolo d’Italia: questa analisi  è stata già argomento di pubblicazione sul Borghese diretto ora dal figlio del mitico direttore Mario Tedeschi che fu parlamentare misisno e poi di Democrazia Nazionale. Analisi che fa il paio con quello che ha scritto ieri sul Tempo Mario Sechi. Purtroppo entrambi, come tanti, scrivono e dicono cose ovvie e per questo inascoltate da coloro cui sono destinate. Questi fanno orecchio da mercante e si preparano a fare ciò che Malgieri e Sechi pronosticano. Senza curarsi di quel che accadrà. Povera Italia! g.