Se è vero anche solo un decimo di quanto scrive Panorama nel numero in edicola da oggi, scoppierà un pandemonio.

Il numero di “Panorama” che svela le intercettazioni su Napolitano

Chissà quante saette colpiranno il Qui­rinale, per altro da tempo coinvolto in polemiche velenose. Il lettore avrà capi­to a cosa alludiamo: alle famigerate in­tercettazioni telefoniche relative a fre­quenti conversazioni avvenute nell’ar­co di vari mesi tra Giorgio Napolitano e il suo amico Nicola Mancino. Delle qua­li­si occupa tenacemente il Fatto Quoti­diano ( diretto da Antonio Padellaro e vi­cediretto da Marco Travaglio) che in materia giudiziaria ne sa sempre un po’ di più di altri giornali, forse perché- si di­ce – ha buoni rapporti con la categoria dei magistrati.

Vabbè, questi sono dettagli, ma ser­vono a inquadrare la questione, che riassumiamo in poche righe per chi non l’avesse seguita con passione in ogni fase. La Procura di Palermo ha aperto un’indagine sulle presunte trat­tative Stato- mafia, cui avrebbero parte­cipato- ma è tutto da verificare – perso­naggi importanti, fra i quali Nicola Man­cino, già presidente del Senato e mini­stro dell’Interno.

Precisiamo: roba vecchia, inizio anni Novanta, quando la piovra compì nu­merosi attentati ( Milano e Firenze, sen­za contare gli omicidi Falcone e Borsel­lino). Su cosa verteva tale trattativa? Lo Stato chiedeva ai delinquenti una tre­gua ( dato che il Paese, tanto per cambia­re, viveva un momento difficile) e, in cambio, sarebbe stato disposto ad am­morbidire il cosiddetto 41bis, che pre­vede per i detenuti della criminalità or­ganizzata un regime severo, ai limiti del­la crudeltà. Come, e se, si sia concluso il negoziato non è stato accertato. Ma è una notizia che la Procura di Palermo si è impegnata nella scoperta della verità. Nell’ambito delle indagini, i Pm ave­vano ordinato di ascoltare le telefonate di Mancino, sospettato di falsa testimo­nianza. Ecco. Sono state ascoltate. Si dà il caso che il politico democristiano sen­tisse spesso il presidente della Repub­blica, oppure il consulente giuridico di questi, D’Ambrosio, mor­to alcune settimane orsono per infarto (soffriva di disturbi cardiocircolatori). Ovviamente, le registrazioni delle chiacchie­rate sono depositate in Procura. Saranno usate a fini processuali o no? Boh! Nel dub­bio il capo dello Stato ha fatto ricorso alla Corte costituzionale ricordando che lui, date le sue funzioni, non può essere inter­cettato. Giusto. Ma i magistrati rispondono: non abbiamo intercettato Napolita­no, bensì Mancino, il cui apparecchio era sotto controllo prima che questi parlasse con il Quirinale.

E allora? il problema è che uno non par­la da solo alla cornetta, ma si rivolge a qualcuno. E se questo qualcuno è il presi­dente, pace amen, peggio per lui. Ignoria­mo chi abbia ragione, ma sappiamo chi ha torto: tutti. Il Parlamento, che non ha mai disciplinato seriamente le intercetta­zioni; Napolitano, che si è accorto della gravità delle intercettazioni stesse solo quando è finito nel tritacarne; alcuni gior­nali che sono sempre stati favorevoli a «spiare» chiunque salvo indignarsi se ad essere spiato è l’Uomo del Colle,loro ami­co.

Infatti, quando era intercettato Silvio Berlusconi (indebitamente), e le sue con­versazioni venivano spiattellate (benché penalmente irrilevanti) su qualsiasi quo­tidiano, nessuno si stracciava le vesti. Al contrario, tutti gli avversari e detrattori del premier gongolavano. Adesso che in imbarazzo è Napolitano, i medesimi han­no alzato gli scudi in difesa dell’istituzio­ne. Questa è l’Italia alle vongole.

Noi abbiamo sempre sostenuto che il pasticcio delle intercettazioni meritasse un intervento del legislatore. Nulla è stato fatto in proposito perché i giustizialisti si sono opposti e si oppongono a ogni rego­la più rigida, considerandola un tentativo per bloccare l’iniziativa giudiziaria e per mettere il bavaglio alla libera informazio­ne. Cosicché, oggi siamo ancora qui a di­scutere. Ma assistiamo a un ribaltamento di posizioni: quelli che una volta erano fe­lici di pubblicare le porcate telefoniche dei politici «nemici», ora hanno cambia­to idea davanti all’ipotesi che la macchi­na del fango sporchi il doppiopetto di Na­politano. I loro timori, stando alle rivela­zioni di Panorama, sono fondati.

Perché? Le intercettazioni riguardanti il Quirinale, in teoria, non dovrebbero es­sere mai divulgate in quanto coperte da segreto. Però il nostro è il Paese di Pulci­nella, i cui segreti notoriamente non rimangono tali a lungo.

Quindi aspettiamoci di leggere, una bella mattina, la riproduzione integrale, su un sito internet o su un quotidiano, di tutte le riservate conversazioni di Manci­no con Napolitano. Nell’eventualità, pro­babile, verrebbe giù il mondo, forse no, forse sì.

Panorama asserisce che girano parec­chie indiscrezioni sapide: i due signori di cui stiamo discettando, convinti di non es­sere intercettati, si sarebbero lasciati an­dare un po’ nella valutazione di certi protagonisti della politica, tra i quali non po­trebbero mancare Berlusconi e Antonio Di Pietro. È chiaro. Due amici che blateri­no al telefono, a prescindere dai loro inca­richi istituzionali, sono portati a dire una parola in più del consentito. Normale. Ma se questa parola in più viene rilancia­ta «urbi et orbi», ti saluto autorevolezza delle autorità parlanti. Le nostre sono in­terpretazioni maliziose o, peggio, male­vole? C’è solo un modo per sgomberare il campo: tirare fuori le carte. Le intercetta­zioni sono pulite e innocenti? Sia Napoli­tano a mostrarle al popolo. Perché non lo fa? Vittorio Feltri, Il Giornale, 30 agosto 2012