Tre giornali, Panorama , Il Fatto e Re­pubblica . Tre palazzi, il Quirinale, la Pro­cura di Palermo, la Corte costituzionale. E uno scontro istituzionale tra Colle e pm, probabilmente mai giunto a livelli così al­ti, che è riuscito a realizzare l’impossibile, spaccare il fronte giustizialista di sinistra: di qua, contro Napolitano, Idv, i grillini, il quotidiano di Antonio Padellaro e Marco Travaglio; di là, paladino del Colle senza se e senza ma, Eugenio Scalfari; e di là ­contro pm, Idv&Co – anche chi non ti aspetti, il Pd Luciano Violante, già icona del partito dei giudici, che grida al «popu­lismo giuridico» che strumentalizza le procure e punta ad abbattere Monti e Na­politano.

Per comprendere il pasticciaccio brutto culminato ieri nella nota del Quirinale a smentita dello scoop di Panorama sui col­loq­ui spiati tra il capo dello Stato e l’ex mi­nistro Nicola Mancino (indagato a Paler­mo nell’ambito dell’inchiesta sulla tratta­tiva Stato-mafia per fermare le stragi de­gli anni Novanta, con l’accusa di falsa te­stimonianza) bisogna fare un passo indie­tro. All’inizio dell’estate, quando il ping pong incrociato di rivelazioni, tra Il Fatto e Panorama , prende la via del Colle. A da­re il «la» è il quotidiano di Padellaro, il 16 giugno scorso, quando sotto il titolo «I mi­steri del Quirinale » racconta di una telefo­nata del dicembre 2011 fatta da Nicola Mancino, telefonata in cui l’ex ministro (all’epoca non ancora indagato ma già spiato) si lamentava dei pm di Palermo, esprimeva preoccupazioni per come sta­vano trattando l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e chiedeva aiuto al Quirina­le. Loris D’Ambrosio,consulente giuridi­co di Napolitano, conferma di aver parla­to con Mancino. I contenuti delle telefo­nate, otto, ça va sans dire , finiscono inve­ce sui giornali. Il 20 giugno è Panorama che rilancia: in due telefonate Mancino parla con Napolitano. E fanno dieci. Il Col­le si ribella. E si preoccupa quando in un’intervista a Repubblica , il 22 giugno, il pm Nino Di Matteo, titolare del fascicolo di cui è dominus l’aggiunto Antonio In­groia, si lascia scappare una smentita che è una conferma: «Negli atti depositati non c’è traccia di conversazioni del capo dello Stato e questo significa che non so­no minimamente rilevanti». Ergo, però, ci sono: «Quelle che dovranno essere di­strutte con l’instaurazione di un procedi­mento davanti al gip­aggiunge il pm –sa­ranno distrutte, quelle che riguardano al­tri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti». La linea della procu­ra di Palermo è segnata. Il procuratore Messineo minimizza: quelle intercetta­zioni saranno distrutte, non servono, ma a decidere sarà il gip Traduzione: rischia­no di diventare pubbliche. È l’esplosione del bubbone. Che diventa scontro il 16 lu­glio, quando il Quirinale annuncia l’aper­tura del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro i pm di Palermo. Na­politano non poteva essere intercettato, neanche indirettamente, e pertanto quel­le bobine vanno distrutte, è la tesi del ri­corso; non le useremo, ma si possono di­struggere solo se lo decide il gip, insiste la procura di Palermo.Il 26 luglio D’Ambro­sio muore: infarto, troppo stress. E men­tre i vari Lucifero e Nerone surriscaldano agosto, è a sinistra che si consuma lo scon­tro pro e contro Napolitano, pro e contro i pm di Palermo: Il Fatto , l’Idv di Di Pietro e Grillo contro il capo dello Stato; Repubbli­ca con Eugenio Scalfari pro Napolitano; il Pd Luciano Violante, che quasi grida al golpe contro Napolitano e denuncia: «Procure usate come clava».

L’ultimo atto, per ora, è lo scoop di Pano­rama sui contenuti di quei colloqui tra Mancino e Napolitano. Parlerebbero da vecchi amici.E da amici,fuori dall’ufficia­lità, si lascerebbero scappare frasi un po’ sopra le righe: su Berlusconi, fresco di di­missioni all’epoca; su Di Pietro, che di at­taccare il Colle non perde occasione; sui pm di Palermo. Frasi innocenti, appunto tra amici. Frasi imbarazzanti, se uno dei due amici è il capo dello Stato. È questo il motivo del conflitto di attribuzione solle­vato dal Colle? Al pettine restano troppi nodi: quelle conversazioni potevano es­sere intercettate? I pm potevano conser­varle? E se non potevano perché l’hanno fatto, rischiando, come è avvenuto con Panorama , che il loro contenuto trapelas­se? Misteri su misteri. Che si aggiungono ai tanti misteri sulla trattativa, da quello sulla sua reale esistenza a quello sui silen­zi, anche a sinistra, conservati per anni. La guerra è in corso. E il verdetto della Consulta, quale che sia il risultato, non cancellerà i veleni. Il Giornale, 31 agosto 2012