La politica italiana è sempre più incapace di cogliere la sfida della contemporaneità. Composta da una classe dirigente vecchia, non ha gli strumenti culturali per leggere che cosa sta accadendo e, soprattutto, non coglie l’emergere di uno scontro sociale: quello dei giovani contro i vecchi. Quando una nazione è in mano alla gerontocrazia, quando il mercato delle opportunità è bloccato dagli «inamovibili», quando chi comanda scrive regole che chiudono il gioco democratico e servono la logica della nomina e della cooptazione, il risultato è che un’ampia fascia di popolazione – tra i trenta e i cinquant’anni – viene esclusa dalle scelte per il futuro. Vale per la politica, l’alta dirigenza pubblica e l’impresa privata. Il Paese ha un disperato bisogno di rinnovamento, ma sul ricambio generazionale è stato piazzato un tappo a prova di tritolo. Essere considerati giovani a 40 anni, francamente, fa sorridere. Perché nel nostro Paese è diventato un espediente lessicale per dirti: «Aspetta il tuo turno, ora ci siamo noi». Ovviamente il turno lo decidono i capibastone. E non arriva mai perché non c’è alcun meccanismo di competizione sociale. Numero chiuso. Regime. Mandarinato. Così invecchi, mentre i tuoi figli crescono. Il tempo passa. Ma aspetti il tuo turno.
Mai sentito parlare di «Generazione Y»? Sono i nati tra gli anni Novanta e i primi anni del Duemila. Hanno davanti un futuro ancora più difficile e incerto rispetto alle generazioni precedenti. Sono «nativi digitali», internet per loro è un ambiente naturale, ma vivono in una società che per loro sarà, paradossalmente, sempre più chiusa. La prima ondata trova lavoro con difficoltà, i vecchi costituiscono un ostacolo e non un’opportunità di formazione e conoscenza. Non c’è alcun «passaggio di testimone». Questo fenomeno in Italia ha raggiunto dimensioni croniche. E quando la «Generazione Touch» – quella dei bambini che naturalmente «sfogliano» un iPad o lo schermo di un telefono – avrà raggiunto la maturità, che cosa accadrà? Gli esclusi di oggi saranno i nonni di domani. Questi ultimi andranno in pensione più tardi dei loro padri, con un assegno più basso, in un mondo più complesso. Nel frattempo la classifica delle potenze economiche si sarà rimescolata. L’Italia sarà fuori dai primi dieci posti. I bambini di oggi a un certo punto cominceranno a fare domande «da grandi», prima in maniera vaga poi, anno dopo anno, con la precisione di un cecchino. Alla fine, preso atto dello scenario, si presenteranno come uomini e donne in cerca di un futuro, e chiederanno bruscamente ai genitori: «Ma cosa avete combinato?». E la risposta non potrà che essere una sola: «Non abbiamo fatto niente. Non ce l’hanno permesso e non abbiamo avuto il coraggio di ribellarci». Mario Sechi, Il Tempo, 16 settembre 2012

..………….Tanto vecchia che al vertice dello Stato c’è un 86enne che” pensa come se non dovesse morire mai” e al vettice del governo è stato insediato un 69enne che a sua volta pensa di averne 29…..quale sfida  del futuro si può vincere se si offrono come cambiamento vecchi arnesi del passato? Peccato, comunque, che Monti, come altri analisti della politica italiana  non l’abbiano rilevato anche solo una decina di mesi fa. g.