In fondo anche questo va interpretato come un indizio del decadimento della classe politica italiana. Con tutti i soldi incassati – lecitamente o meno – dallo Stato, non c’è solo uno tra i novelli rappresentanti della casta cha abbia comprano un quadro di Picasso, un reperto storico o un libro per i propri figli. Tutti, o quasi, si sono sporcati le mani col pesce. Ovviamente pregiato – aragoste, caviale, spigole, cozze pelose – ma pur sempre un alimento, per soddisfare gli istinti primari più bassi piuttosto che cibare l’anima.
Sono lontani, insomma, i tempi dei ladri gentiluomini che ispiravano i feuilleton ottocenteschi, appassionati d’arte e di buone maniere. Dalle parti del Parlamento – ma anche delle Regioni, dei Comuni o della Guardia di Finanza; dovunque, in sostanza, girino soldi pubblici – il modello da prendere in esempio è quello di Franco Fiorito e dei suoi sodali del Pdl laziale. Che delle cene a base di pesce avevano fatto una vera e propria abitudine a spese dei contribuenti. Sono ormai famose le due fatture presentate al gruppo dal consigliere Andrea Bernaudo, protagonista di notevoli maratone gastronomiche da «Ottavio», a Santa Croce in Gerusalemme a Roma, con le ordinazioni che registravano ostriche francesi, crudi di pesce, moscardini, fragolino al sale, olio e pepe e vino Chardonnay: conti da 170 e 140 euro. A spese nostre.
Una volta il primo pensiero per il politico di turno era la casa. Ne sanno qualcosa i vari D’Alema, coinvolto in «Affittopoli»; Fini, inguaiato dall’appartamento monegasco del cognato; e Scajola, cui fu pagata, «a sua insaputa», una casa con vista sul Colosseo. Ora le priorità sono cambiate. Forse perché il ritorno dell’Ici sotto forma di Imu ha reso meno conveniente l’affare. Oppure perché sono stati proprio i traffici sulle case a scatenare i peggiori istinti di vendetta degli elettori, spesso alle prese con pesantissime rate del mutuo, e a costringere talvolta alle dimissioni chi è stato beccato con le mani nella marmellata.
Quindi si è passati al pesce. Con la speranza di cavarsela a miglior prezzo. «Di fronte alla corruzione che c’è, non me la vorranno mica far pagare per cinquanta cozze pelose?». In questi pensieri si macerava il sindaco Michele Emiliano quando si scoprì che aveva accettato in regalo diversi chili di pesce pregiato dalla famiglia di imprenditori baresi dei De Gennaro, titolari di diversi appalti in città.
Il primo cittadino non è mai stato indagato. Sorte diversa è toccata all’ex generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, oggi deputato del Pdl, condannato in secondo grado a 18 mesi per peculato ma con successivo annullamento della Cassazione che, di fatto, spinge la sua posizione verso la prescrizione. Speciale finì sotto accusa per un carico di spigole trasportato con un aereo militare fino a Predazzo, a Trento, perché «i finanzieri, quassù, il pesce non possono mangiarlo mai».
Perlomeno Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, il suo spaghetto al caviale da 180 euro – tutti soldi sottratti dai rimborsi elettorali – non se l’è fatto portare a domicilio, ma lo ha consumato nell’elegante «La Rosetta» al Pantheon. Mentre Francesco Belsito, «taroccatore» dei conti della Lega, per i pranzi a base di aragosta dei parlamentari del «Cerchio magico» preferiva prenotare da «Tuna», a via Veneto.
Caso ha voluto che l’ex tesoriere del Carroccio venisse scoperto anche a causa delle paghette elargite a Renzo Bossi, che ha in un pesce, il Trota, il suo soprannome. Di questi tempi, un appellativo del genere significa la quasi certezza di finire nei guai. da Il Tempo, 19 settembre 2012