I giudici applicano la legge e la legge prevede che il direttore di un giornale possa andare in carcere da uno a cinque anni quando commette il reato di omesso controllo e diffamazione aggravata. Nel caso di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il formalismo giuridico è rispettato, ma la democrazia subisce un duro colpo in un Paese che in un tempo ormai remoto fu la culla del diritto e che ieri ha confermato di esserne solo la discarica a cielo aperto, in una giornata triste per la libertà di stampa e la giustizia. Dirigere un giornale è un mestiere duro e faticoso, ma in Italia è anche molto pericoloso. Provo a spiegare perché. Le norme prevedono che il direttore abbia il controllo assoluto di quel che viene pubblicato e a lui si estende una responsabilità oggettiva che lo chiama automaticamente in giudizio insieme all’autore dell’articolo. Questa norma poteva funzionare finché i giornali erano fatti di pochi fogli e le notizie non piovevano in real time. Secondo la legge il sottoscritto dovrebbe essere in grado di leggere tutti gli articoli, titoli e foto de Il Tempo, cioè la bellezza di due edizioni, un’ottantina di pagine al giorno, una media quotidiana di circa trecento articoli, più migliaia di lanci d’agenzia che sono potenzialmente impaginabili. Il controllo è esteso alla pubblicità, agli annunci economici e agli inserti. È un lavoro che non riuscirebbe a fare neppure Mandrake. E il risultato è che a dirigere un giornale alla fine ci si guadagna una fedina penale da Al Capone. Ogni volta che ricevo una notifica giudiziaria, incrocio lo sguardo imbarazzato degli amici carabinieri che sanno bene di dover svolgere un compito umiliante per chi ne è oggetto. È una delle tante porcherie giuridiche dell’ordinamento e stride con quel che accade in questi giorni: per un giornalista che rischia la galera e molti altri ridotti sul lastrico e impoveriti, abbiamo a piede libero un manipolo di ladri di polli con patente politica che fanno le star in televisione e promettono di ricandidarsi. Che schifo. È un insopportabile sottosopra che si svolge grazie all’immobilismo della politica. Di destra e di sinistra. Sallusti rischia il carcere non perché la magistratura applichi la legge – con un sinistro rigore, a mio avviso, visto che anche le attenuanti richieste dal procuratore generale gli sono state negate – ma perché il Parlamento se ne infischia di quel bene chiamato libertà di stampa, quello che fa la differenza tra una democrazia e una Repubblica delle Banane. I giornali pubblicano notizie. E possono dar fastidio. Ma sono anche l’unico presidio plurale di un Paese che tende pericolosamente ad essere monocorde. Da molti anni chiediamo una riforma dal volto umano, ma è sempre stato come predicare nel deserto. Nessuno è perfetto, questo è un mestiere delicato, si può sbagliare. Ma se l’errore viene punito con la cella e risarcimenti mostruosi, il risultato è quello di intimidire i giornalisti e mettere sul lastrico le aziende editrici. È esattamente quello che sta avvenendo. E ha dell’incredibile perché una riforma equilibrata, che rispetti tutte le parti in campo, non uccida il diritto di cronaca, dia all’offeso la giusta e doverosa riparazione se c’è un errore e non costringa gli editori a chiudere i giornali, è possibile. Tutto il mondo della stampa italiana deve favorire un’inversione di rotta, riunire editori e giornalisti, mettere nero su bianco una proposta e chiedere a questo Parlamento di discuterla, migliorarla e votarla. Senza manfrine, giochetti e ritardi. Questo è il momento di mettere insieme le forze, ora o mai più. Confido nella saggezza del Presidente Napolitano. Il caso del direttore de Il Giornale richiede il suo intervento e il suo senso dello Stato. Perché la libertà di Sallusti è anche la nostra. Mario Sechi, Il Tempo, 27 settembre 2012

……………Tra i tanti commenti al caso Sallusti che oggi vengono pubblicati su tutti iquotidiani italiani, tutti, nessuno escluso di solidarietà a Sallusti e di incredulità – a dir poco – di fronte ad una sentenza liberticida, abbiamo scelto quello di Sechi, direttore de Il Tempo, che ci è sembrato il più equilibrato e il più francamente coretto rispetto a tutte le questioni che la sentenza pone, ad iniziare dal vero e proprio bavaglio che questra sentenza di fatto impone alla stampa italiana, intimidita dalla paura di finire in cella solo per avr espresso una opinione o solo, nel caso dei direttori,  per non aver effettuato il controllo su ogni riga che il proprio giornale pubblica. Intanto Sallusti conferma che non intende chiedere la grazia e per lui la chiede al presidente Napolitano Renato Farina, giornalista oggi deputato, che alzatosi questa mattina alla Camera,  ha formalmente ammesso di essere l’autore del “pezzo” incriminato, il proprietaro del giornale rifiuta le dimisisoni rassengate da Sallusti e la politica quella che ormai si può scrivere solo la p minuscola annuncia di voler mettere una toppa a 60 anni di ritardi con una leggina o un  decreto legge che modifichi la legge Rocco (il giurista di Mussolini  che riscrisse nel 1923 il codice penale italiano, ovviamente calandolo nel contesto di un regime autoriario…) che prevede il casrcere per i direttori che omettino il controllo, il partito di Berlusconi del quale Sallusti è stato uno dei pochi giornalisti,pur con molti dubbi,  a sostenrne le tesi, non ha fatto sapere a Monti che se non impedisce che Sallusti finisca nelle celle, lì dove non finiscono più da tempo i delinquenti e i ladri, a incominciare dai politici di ogni schieramento, cesserà il sostengo ad un governo che a sua volta decreta d’urgenza sull’impoverimento degli italiani ma non lo fa quando si tratta di difendere il bene più importanre dell’uomo, la libertà personale. g