Giuliano Ferrara non è tipo che le manda a dire e pur di dirle non si cura di quel che può provocare. Così oggi, sul Foglio, pubblica una sua analisi, spietatamente dura, sul sistema della democrazia, alla luce, evidentemente, degli ultimi accadimenti.  Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’articolo di Ferrara non dimenticando, comunque, di sottolineare che,  come diceva Churchill “la democrazia è il peggiore sistema politico, se si escludono tutti gli altri”. g.

Bisogna che gli ottimati del circo mediatico e giudiziario, i palasharpisti di ogni latitudine ideologica, quelli che danno petulanti lezioncine di etica da posizioni di minoranza intransigente, si mettano in testa che la democrazia fa schifo, puzza, è per sua natura e definizione sporcata dalla manipolazione del consenso in regime di suffragio universale diretto.

La democrazia di massa è spettacolo, avanspettacolo, non riflessione; è agitazione di simboli e vitalismi come la favolosa (efficace) nuotata del sessantacinquenne venuto a stupire e a manipolare la Sicilia, l’amico di Casaleggio, il Pataca, il Grillo, piuttosto che elaborazione di idee, progettazione architettonica del futuro politico, convito energizzante dell’eros civile, mito poietico, macché, tutte balle:

l’assessore o il consigliere venuto dal nulla democratico, selezionato nel crogiuolo delle preferenze elettorali, da sempre si procura i voti con ogni mezzo lecito e illecito, una volta sono i soldi arrivati chissà come, una volta i circuiti dipendenti dalla affiliazione lobbista quasi perbene, una volta direttamente la ‘ndrangheta più sprezzante e avida, e quando sgarra oltre la decenza, e quando lo beccano (intendiamoci, solo se e quando lo beccano) finisce in galera come segnacolo di eccezione che conferma la regola.

Dove la società è tendenzialmente pulita o perbenista, puliti per quanto possibile sono gli affari, relativamente pulito è il circuito del denaro, dell’investimento, dell’opera, che ne so, in posti come Casalecchio di Reno o Sesto San Giovanni dove vige il cosiddetto sistema Penati, la funzione di collettore del consenso e dei mezzi per procurarselo la fanno i partiti tutori, la protezione sociale pubblica, le cooperative, lo stato, classi dirigenti senza particolari scrupoli etici ma attente a distinguere interesse collettivo e interesse personale, a tenere sotto controllo gli spiriti selvaggi della democrazia invece che a farsene ingabbiare.

La Milano di Umberto Eco, il luogo felice dove potevi uscire con chiunque, senza essere consegnato a una vita riservata e moralmente repellente di ogni contaminazione con il Male, che è il suo consiglio comportamentale per l’oggi, non è mai esistita, questo è appena ovvio. Il miracolo economico, la politica repubblicana dei partiti lo ha provocato e assecondato e accompagnato mangiando a quattro palmenti, generando quel sistema del consenso democratico che ha funzionato finché hanno funzionato le sue coordinate culturali, civiche, e l’antipolitica di vario ordine e grado, e l’influenza indipendente e aggressiva di media e giudici era cosa inconcepibile.

Il patto con il Male c’è sempre stato, è insito in un regime non aristocratico e forse in ogni regime politico, anche quello capace apparentemente di sublimarlo, ma una volta il patto con il diavolo era governato dalla politica, e produceva anche sogni democratici clamorosamente suggestivi, se non belli, poi la politica democratica si è indebolita, e allora abbiamo la nuda e sprezzante ‘ndrangheta e delle facce che non dicono più niente se non si travestono con le teste di maiale.

La democrazia è corrotta nel suo fondamento, è a misura d’uomo e dunque è storta come il legno storto. Recide come sistema ogni rapporto con il divino e il suo diritto, con il sacro, con la tradizione, con uno spazio pubblico occupato dalla storia e dal suo superbo portamento: la democrazia è la tabula rasa, il contare ciascuno per uno e dunque il contare le persone, la massa delle persone, come se fossero soldi, piccioli, birilli, pupi, mezzi e non fini.

E’ una utopia regressiva della quale non possiamo fare a meno per proteggere le libertà civili, i diritti della coscienza e della personalità e della proprietà, i diritti liberali. Ma non possiamo scambiarla per una scuola di misura e di responsabilità etica, è disonesto farlo, bisogna sapere che la sua regola è la dismisura dei mezzi che sopravanzano il fine. Giuliano Ferrara, Il Foglio 16 ottobre 2012