La politica è uno straordinario banco di prova per il giornalismo. Abbiamo raccontato la vicenda dei soldi dati ai partiti della Regione Lazio con una verità che pareva a prova di bomba: è stato l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale a mettere nero su bianco l’aumento di quattordici volte dei contributi previsti fino a due anni fa per i gruppi politici. Vero, ma come spesso capita era solo un pezzo della storia. Una figura di questa vicenda veniva continuamente evocata, ma non aveva mai parlato: il presidente dell’assemblea, Mario Abbruzzese. Un tipo tosto, un acchiappavoti, uno che a Cassino e Frosinone raccoglie consensi, uno che fa «politica sul territorio». Abbruzzese rompe il silenzio. E lo fa con un’intervista che apre uno scenario diverso da quello finora descritto. L’aumento dell’obolo dorato non fu una decisione dei partiti presa all’insaputa della Giunta guidata da Renata Polverini, ma fu il frutto di un accordo politico in cui tutti – e sottolineo tutti – i partiti ebbero un ruolo. Nessuno escluso. Il luogo della decisione è la Commissione Bilancio, il braccio che apre la cassaforte è quello dell’assessore al Bilancio e lo strumento della ratifica è il Consiglio. Il cerchio si chiude, ci sono tutti. Enessuno può scagliare a questo punto la prima pietra. Né l’ex presidente Renata Polverini né l’opposizione nelle sue varie espressioni né quei partiti che non erano nell’ufficio di presidenza ma erano invece presenti dentro la commissione Bilancio guidata da Fiorito. In questa storia – come in tante altre – vale una vecchia regola del giornalismo: «Follow the money», segui i soldi. E quello che non mi tornava era appunto il portafoglio. Perché nella Regione Lazio il bilancio è unico. Non c’è un rendiconto del consiglio e uno separato della giunta. L’organo di governo decide, ma gli atti sono condivisi a livello partitico nelle commissioni e nell’assemblea. Dal racconto di Abbruzzese emerge un sistema che si finanziava in toto, senza esclusioni di sorta. E dal presidente del consiglio regionale mai un membro dell’assemblea si è presentato per chiedere lo stop della finanza allegra ai gruppi. Semmai il contrario: tutti chiedevano più soldi. Buona lettura. È solo l’antipasto, domani mettiamo in tavola il resto del menù. Mario Sechi, Il Tempo, 20 ottobre 2012

.……………Le vicende della Regione Lazio trovano nuive verità: tutti i gruppi consiliari erano d’accordo sulle assegnazioni milionarie che però passavanio attraverso provvedimenti varati dalla Giunta Regionale. Il tutto raccontato dal presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abruzzese nell’intervista rilasciata al Tempo che e che di seguito a questo commento potrete leggere. Emerge una verità diversa da quella raccontata sinora e sopratutto emerge una responsabilità della presidente Polverini che “non poteva non sapere”. Sechi nel suo editoriale dà appuntamento per domani per leggere l’inter0 menù rispetto all’antipasto rappresentato appunto dall’intervista di Abbruzzese. In attesa di leggere il resto ecco l’intervista ad  Abbruzzese.

Regione Lazio, parla Abbruzzese: “I soldi ai partiti? Ecco la verità“


«Non è che l’ufficio di presidenza s’è svegliato una mattina e ha deciso di regalare 8 milioni di euro ai gruppi politici. Ha solo ratificato un accordo siglato da tutti i partiti in commissione Bilancio». Mario Abbruzzese è un fiume in piena. Ha deciso di reagire, dopo aver incassato insulti e veleni. Il presidente del Consiglio regionale del Lazio sarà sentito dai magistrati la prossima settimana. È sereno. Difende i consiglieri regionali e non critica mai la governatrice Renata Polverini ma ci tiene a raccontare la «sua» verità.

Presidente Abbruzzese, perché l’ufficio di presidenza ha aumentato i soldi ai gruppi politici portandoli a 14 milioni di euro?

«Tutto nasce nel 2010. Il regolamento regionale prevedeva al massimo 12 collaboratori per ogni gruppo politico, cioè uno per ogni consigliere. Il problema è che Pd, Pdl e Lista Polverini avevano più eletti. Dunque questi gruppi chiedevano di cambiare le norme e di aumentare il personale, legittimamente. Non ho permesso di modificare il regolamento, così le forze politiche hanno trovato una strada alternativa: cambiare l’articolo 3 bis della legge 6 del 1973 che regolamenta il funzionamento dei gruppi. La nuova norma, che ha consentito di aumentare i collaboratori e dunque i soldi, è stata inserita nel maxiemendamento portato in Aula dalla Giunta e approvato con l’assestamento di bilancio nell’estate 2010».

Ma i soldi in più dove li avete presi?

«Erano fondi del Consiglio regionale, non soldi in più, né tantomeno sottratti a sanità e sociale, come qualcuno ha sostenuto. Sulle spese di funzionamento c’è soltanto un capitolo di bilancio, l’accordo in commissione tra Giunta e capigruppo prevedeva semplicemente di spostare alcune somme da un indirizzo a un altro».

Poi ci sono state le delibere dell’ufficio di presidenza.

«Non abbiamo fatto altro che ratificare un’intesa politica che conoscevano e condividevano tutti e 70 i consiglieri».

E poi la ratifica a chi l’avete mandata?

«Agli uffici dell’assessorato al Bilancio».

Quindi la Polverini non poteva non sapere.

«Questo lo dite voi».

D’accordo presidente, ma in queste settimane tanti hanno detto che il Consiglio regionale è pienamente autonomo rispetto alla Giunta, come il Parlamento rispetto al governo…

«Il Consiglio regionale ha l’autonomia finanziaria ma il bilancio della Regione è unico, tant’è vero che i fondi per la Pisana arrivano dalla Giunta. A differenza di quello che avviene alla Camera, al Senato e a Palazzo Chigi, dove ognuno approva il suo documento economico».

Ma non erano troppi i soldi assegnati ai gruppi? Sono passati dai 5,4 milioni previsti dalla legge a 14.

«La quota fissa resta di 5,4 milioni. È stata aumentata la quota variabile di 8,5 milioni. Con il senno di poi dico che è stata un’operazione sbagliata, soprattutto perché alcune persone hanno usato quei fondi non per attività politica. Ma voglio ribadire che la maggioranza dei consiglieri li ha spesi in modo corretto, promuovendo la nostra attività legislativa, che è stata intesa. In questi anni abbiamo approvato molte leggi come il Piano Casa e il Piano del turismo, il Piano Rifiuti, lo Small Business Act. Abbiamo sostenuto le piccole e medie imprese, i distretti industriali».

Si sente un capro espiatorio?

«No e difendo l’ufficio di presidenza che non può avere la responsabilità politica. Piuttosto spetta a tutti i consiglieri regionali. Ovviamente mi prendo la mia parte».

C’è stato qualcuno che ha mai protestato per la decisione di aumentare i fondi ai gruppi politici?

«No, qualcuno è venuto a protestare con me perché il suo capogruppo non gli dava i soldi».

Quanto le pesa il fatto che adesso i cittadini pensino che, più o meno, siete tutti ladri?

«Molto. Anche perché questo scandalo è scoppiato in un momento economico difficile. Tuttavia non si possono trattare tutti allo stesso modo. In Consiglio ci sono persone perbene».

Come ha spiegato alla sua famiglia quello che sta accadendo?

«Stiamo vivendo insieme questo momento drammatico. Ho spiegato che io non ho rubato niente e che non ho mai utilizzato quei fondi, anche se una parte di responsabilità politica me la prendo».

La prossima settimana lo spiegherà anche ai magistrati.

«Sono pronto. Dimostrerò che tutte le cose fatte sono state frutto di un accordo politico raggiunto in commissione Bilancio, dove siedono i rappresentanti di tutti i gruppi politici».

Ha mai avuto la sensazione che alcuni consiglieri spendessero quei soldi in modo «allegro»?

«Nessuno poteva sapere come venivano spesi i fondi assegnati. Ogni capogruppo ha un conto corrente intestato a suo nome».

E il comitato di controllo contabile della Regione?

«Ha acquisito le autocertificazioni dei capigruppo».

Scusi Abbruzzese, ma è vero che lei ha 18 collaboratori e tutti della sua città, Cassino?

«Ho affidato la mia attività politica a collaboratori di cui mi fido».

Prima che arrivasse lei, quanti collaboratori aveva a disposizione il presidente del Consiglio regionale del Lazio?

«Diciotto, come me. Io ho eliminato la sede che il Consiglio aveva in affitto nel centro storico di Roma, ho levato l’indennità di missione all’estero per i consiglieri, ho ridotto del 30% le auto blu. Ho pure cancellato la rassegna stampa cartacea e vietato di costituire nuovi monogruppi».

D’accordo, ma lei è il presidente dell’assemblea, forse poteva fare di più…

«Ma il presidente non è altro che l’arbitro, i provvedimenti li approva l’Aula. È come se si desse a Fini o a Schifani la responsabilità della mancata riduzione dei parlamentari».

E le multe che ha preso con l’auto blu? Sarebbero una cinquantina…

«Penso che chi fa 350 chilometri al giorno in macchina, come me, possa prendere multe».

Ma è vero che ha due auto blu, una a Roma e un’altra a Cassino?

«No. Ne ho soltanto una, assegnata con un atto formale dell’ufficio, potete controllare».

Ci sono state persone, presunti amici, che adesso l’hanno «abbandonata»?

«No, in questo momento intorno a me ho trovato solidarierà e affetto. Tanti amici mi hanno sostenuto. Tutti conoscono il mio impegno per il territorio. Sono molto sereno perché credo di aver operato in piena trasparenza».

Adesso lei rischia di non essere ricandidato. Anzi è quasi sicuro…

«Le candidature spettano al partito, che credo farà una distinzione tra le responsabilità. Non si possono mischiare quelle politiche e quelle giudiziarie. Tutti i partiti devono riflettere e distinguere tra chi ha lavorato bene e chi male. Questo Consiglio non va rottamato, c’è tanta gente perbene».

Perché non si è dimesso?

«Perché credo di aver lavorato bene. Mi dispiace per l’immagine negativa della Regione Lazio, ma sono abituato a combattere».

Anche la Polverini non doveva dimettersi? In fin dei conti altri governatori nei guai non l’hanno fatto.

«La sua decisione va rispettata. Mi sembra che sia stata presa perché l’Udc ha fatto mancare l’appoggio. Se non c’è più un progetto politico meglio tornare alle urne».

Non si sente scaricato dalla Polverini?

«Io non sono abituato a scaricare sugli altri le mie responsabilità».

Ammetterà che l’autonomia delle Regioni esce distrutta dalle tante inchieste aperte dalla magistratura. Va cambiato di nuovo il Titolo V della Costituzione, con cui gli enti locali hanno avuto più poteri e meno controlli?

«Non va cambiato. Molte Regioni hanno dimostrato di usare bene l’autonomia ricevuta. Bisogna invece aumentare i controlli, anche da parte della Corte dei conti».

Intanto però nel Lazio sono stati azzerati i fondi ai gruppi politici. È un errore?

«Sì. Devono avere dei fondi per la loro attività politica. Se no si rischia che li trovino altrove».

Nella prossima legislatura verranno ripristinati?

«Il decreto varato dal governo li prevede nella misura della Regione più virtuosa».

Quando crede si debba votare?

«Il prima possibile, anche per dare un messaggio ai cittadini. La Polverini ha 135 giorni di tempo, il termine scade a metà febbraio. Non credo si voterà con la Lombardia: la Cancellieri è stata chiara».

Ma ci sono prima i tagli da fare…

«Bisogna votare evitando confusioni e ricorsi. Il decreto del governo è chiaro: si deve andare alle elezioni con 50 consiglieri, altrimenti perderemo i fondi statali. Abbiamo avuto sei mesi per applicare la legge 138/2011, dovevamo armonizzare lo Statuto alle indicazioni del governo. Abbiamo preferito ricorrere alla Corte costituzionale, che ha respinto le nostre istanze con motivazioni legittime. Così è intervenuto il governo. Ora dovremo adattare la legge elettorale ai nuovi numeri: dieci eletti nel listino e quaranta con le preferenze. Questo è l’unico atto indifferibile che un Consiglio sciolto può compiere».