Le cose sono più forti degli uomini. Me lo disse un banchiere, mentre parlavamo di politica. Spuntò dalle sue labbra come lama che calava inesorabile. Sul suo volto si dipinse un sorriso consapevole, non gratuito, intriso di esperienza e conoscenza del potere. E le cose sono più forti della volontà di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Le primarie sono l’unico strumento a disposizione dei partiti che escono dal ventennio berlusconiano e antiberlusconiano per provare a rigenerarsi. Non è detto che ci riescano, ma la strada è obbligata. Abbiamo assistito 72 ore fa alle elezioni americane: sono già lontanissime ma tanti italiani – e molti lettori de Il Tempo – hanno provato un sano sentimento di invidia per l’America, la sua meravigliosa Costituzione e la capacità di democratici e repubblicani di scegliersi un leader attraverso le primarie, votare e stringersi la mano subito dopo la dura battaglia elettorale. Il Pdl ieri ha mosso un vero passo in avanti dal partito carismatico di Berlusconi al partito democratico di Alfano. Il vertice di ieri ha decretato – per la prima volta – la messa in minoranza del suo fondatore. E la sua accettazione del verdetto politico. Il Cavaliere ha provato a contrastare la decisione, ha mostrato il suo scetticismo verso le primarie, ha mandato avanti la sua «guardia repubblicana» per sbarrare la strada al segretario, ma alla fine ha ceduto. La classe dirigente riunita intorno al segretario – che oggi rappresenta la maggioranza del partito – ha opposto il suo no netto alla retromarcia e al ritorno all’antico rito della nomina. Il Cavaliere ha freddamente incassato il risultato della riunione: Alfano batte Berlusconi uno a zero. È solo il primo tempo di una partita lunga tra il fondatore e il segretario del partito, ma la spaccatura si è consumata e politicamente è una svolta. Da oggi niente è più come prima e Berlusconi ha due opzioni sul tavolo: 1. Si fa garante, padre nobile e ispiratore delle primarie e chiude la sua storia da costruttore; 2. Lavora a un progetto alternativo, consuma il divorzio da quelli che sono stati i suoi colonnelli e chiude la sua storia da distruttore. Nel primo caso, la transizione avviene sotto la sua ala; nel secondo caso è una rottura traumatica in cui lui guadagna una lista personale, ma perde un gruppo di giovani riunito intorno ad Alfano che in ogni caso continuerà a fare politica anche dopo di lui. Il tema è di disarmante semplicità per tutti: con lui o contro di lui, con loro o contro di loro. Le primarie del Pdl non saranno da Oscar, ma faranno lo stesso un gran bene al centrodestra. Con o senza Berlusconi. Siamo vicini a uno shock politico-economico e le elezioni del 2013 lo renderanno visibile. E la vera sfida comincia un minuto dopo. Mario Sechi, Il Tempo, 9 novembre 2012

.…………….Peccato che Sechi, normalmente lucido analista della politica, non abbia considerato che ci sono anche le vittorie di Pirro. Eppure oggi ricorre l’anniversario della caduta del Muro di Berlino che segnò la sconfitta dell’impero del male che pure per più di sette decenni aveva governato metà del mondo e sembrava dover allungare la sua ombra su gran parte dell’altrà metà. Invece una piccola breccia bastò a far crollare il gigante d’argilla quale era sempre stato il comunismo internazionale. Senza voler  paragonare la caduta del Muro alle misere vicende della politica italiana,  ci pare che quella di Alfano è nella sostanza una vittoria di Pirro. Basterà attendere pochi giorni per averne conferma, basterà attendere che si celebrino le “primarie” che di certo  innalzeranno Alfano sul trono del prescelto ma nello stesso tempo certificheranno lo stato comatoso del centrodestra italiano. Sechi sostiene che dalle ceneri si può risorgere…è vero,  ma ciò è miracolistico e non appartiene alle storie degli uomini, specie quelli del PDL che non hanno mai fatto sforzi per “farsi”, avendo potuto sempre contare sulle capacità del Cavaliere, politiche, finanziarie, e, perchè no, barzellettistiche, su cui molti, forse tutti, hanno costruito le proprie fortune politiche. Senza dimenticare  di Berlusconi sia il carisma, che non si compra alla Mongolfiera, sia la intuitività coniugata all’uso della informatica applicata alla politica (leggi: sondaggi). Sui quali, non dimentichiamolo, si è fondata la recente campagna elettorale americana  che intanto, in quanto alle primarie, ha una tradizione bisecolare forgiata sugli usi e sui costumi di un popolo che sulla solidarietà ha costruito una Nazione pur nelle ampie diversità che la contraddistingono, e che conosce, diamone atto, il vezzo del rispetto almeno in supoerficie del rispetto per gli avversari, specie se sconfitti. Vezzo che non appartiene agli italiani, come ha avuto modo di confermare  il vicesegretario del PD, tale Enrico Letta, che l’altra sera, da Vespa, dovendo commentare i risultati elettorali americani non ha perso l’occasione per una ultima petulante contestazione a Berlusocni del quale ha ricordato che nel 2006 (nel 2006! un secolo fa in politica) non “riconobbe” la vittoria di Prodi.Miserie umane! Voler a tutti costi immaginare che basta indire le “primarie” perchè gli italiani, anzi i moderati italiani, riscoprino improvvisamente l’amore non per la politica  ma per il soggetto politico che ambiva a rappresentarli e che  sta chiudendo  la sua storia recente sostenendo il peggior governo di tecnocrati che mai si sarebbe immaginato che assumesse il timone del  nostro Paese è prova di forte miopia, e di viista corta. Non siamo noi che abbiamo in tasca la ricetta gista ma questa di Alfano condivisa da Sechi e forse solo da Sechi non ci sembra quella più appropriata. Prova ne è l’immediato e puerile tentativo di Fini, ormai all’ultima tappa del suo viaggio nel niente, di tentare di salire sul calesse di Alfano ponendo, lui che non  conta più nemmeno il due di coppe quando la briscola è a bastoni,  addirittutra le condizioni: una non detta, la cacciata dell’odiato Berlusconi, l’altra palese ma ancor più oltraggiosa per gli elettori di centrodestra: sostenere, ora e sempre, Monti. Se Alfano si incamminasse su questa strada non ci sarebbe  neppure bisogno di attendere l’annunciato flop delle primarie per decretare non solo la sua fine ma anche quella del centrodestra italiano per il quale si aprirebbe una lunga, lunghissima traversata del deserto, senza neppure le borracce dell’acqua. g.