Sembra di essere tornati a qualche secolo fa, a cavallo tra il Seicento e il Settecento. In tanti si precipitano alla corte del Re Sole (Monti), vogliono – come accadde proprio con Luigi XIV – che diventi il “sovrano” più longevo della storia europea perché lui «ha governato solo nell’interesse del nostro Paese». Lo tirano per la giacca, si sentono illuminati (e protetti) da lui, dicono di amare il nuovo Le Roi Soleil, uomo della provvidenza. Perché Monti, al pari di Luigi XIV, si occuperebbe di economia e della finanza dello Stato meglio di chiunque altro, le sue relazioni diplomatiche toccano nazioni lontane proprio come le relazioni del suo “predecessore”, la nostra cultura e la credibilità italiana sono di nuovo rinate (dicono) come rinacquero allora la cultura e la credibilità in salsa francese. Secondo i seguaci – vecchi e nuovi – del tecnopremier, questo quadro corrisponde perfettamente alla realtà dei fatti. Bontà loro. Sta di fatto che il confronto politico sembra ruotare solo attorno al dilemma “to be or not to be”, Monti si candida o non si candida, sfogliamo la margherita. I supporter centristi lo chiamano, se scende in campo va bene, se resta dietro le quinte va bene lo stesso, tanto loro faranno comunque campagna elettorale sul suo nome. Bersani dà l’aut aut: «Se Monti vuole dare una grossa mano per il futuro è meglio se non si mette nella mischia». Lo scontro continua ed è stucchevole. Ma è solo un piccola parte della millesima puntata di una telenovela che sembra non finire mai. Eppure in democrazia chiunque può scegliere di candidarsi o meno, di fare politica o fare sport. L’elettorato poi giudica. Ma qui si tratta del nuovo Re Sole. Ed è tutto un altro discorso. Il Secolo d’Italia, 22 novembre 2012

Eh, già. Tutti alla corte del nuovo Re Sole nella speranza di potersi riscaldare. Casini, Fini, Rutelli, e poi Montezemolo con il ministro Riccardi, e poi i tanti “senza voti” dei partiti che timorosi di perdere il loro posticino in Parlamento si affrettano a cambaire casacca e a montae sulla groppa del nuovo   cavallo bianco per tentare la fortuna e la riconferma. Ma, come al solito, ci sono tanti che fanno i conti senza l’oste, dove l’oste non è Monti che si infarina nella improvvisa “centralità” che solo un anno addietro si saebbe sognato di raggiungere, l’oste, invece, è il popolo italiano che, come spesso, talvolta a sproposito sostiene il direttore de Il Tempo, Sechi, nei omenti peggiori sa trovare la forza di rialzarsi. Eè retorica questa, ma abbiamo fede che così possa essere e che avendo toccato il fondo, dacvvero ci si possa rialzare e cacciare i nuovi mercanti dal tempio. E i peggiori mercanti sono quelli che pur  di salvare se stessi, sono pronti ad innalzare litanie agli affossatori della democrazia, Monti e il suo mentore Napolitano. g.