Il bello delle primarie è che sono finite, quelle del Pd, e il brutto è che potrebbero cominciare, quelle del Pdl, nonostante siano antipatiche a Silvio Berlusconi, la cui opinione è influente.

Tutti concordano nel dire che la competizione fra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi ha rivitalizzato il partito, soffocato da scorie comuniste. Ne prendiamo atto con soddisfazione. Constatare che l’anchilosata politica italiana si avvia sulla strada del rinnovamento fa sperare che i cittadini ritrovino un po’ di fiducia, adesso scarsissima, nelle istituzioni.

Non stupisce che sia stata la sinistra a dare la scossa, essendo abituata da sempre a mobilitare le masse con cortei, comizi, sventolio di bandiere, assemblee. Ha capito che nel Paese cresceva la protesta e addirittura il disgusto per lo scarso rendimento dei partiti, e ha deciso di riformare la propria liturgia logora nel tentativo, riuscito, di coinvolgere la base. Per la prima volta nella sua storia, ha messo a confronto il vecchio, incarnato dal segretario, con il giovane nella persona del sindaco di Firenze. Ne è uscita una gara appassionante, per quanto sgangherata, con regole discutibili e sbilanciata in favore del segretario: una specie di partita tra scapoli e ammogliati che comunque ha trascinato alle urne milioni di compagni, un record, di questi tempi.

Da qui in avanti, nel Pd potrà succedere di tutto: perfino che rompa la catena di trasmissione col sindacato più antiquato d’Europa, la Cgil e «filiali» varie. Una forza socialdemocratica in grado di camminare senza stampelle tardomarxiste sarebbe garanzia di maturità democratica. D’altronde, questo è ciò che voleva Renzi e lo ha ottenuto. Onore al merito. Poi vedremo come egli intende amministrare il patrimonio di voti che si è accaparrato. Qualcuno ipotizza una sua uscita dalla casa madre, finalizzata alla creazione di un nuovo partito, lasciando a Bersani i ferri arrugginiti recuperati negli scantinati di Botteghe Oscure. Presto per dire se sarebbe un bene o un male. In ogni caso, i lavori di ammodernamento sono iniziati e sarà difficile arrestarli.

Molti osservatori, avendo assistito alla fantasmagoria progressista, pensano che anche il Pdl, per non morire di inedia, dovrebbe promuovere in fretta primarie altrettanto sfavillanti. Ma non calcolano che manca la materia prima: cioè le folle di «fedeli» pronte a entusiasmarsi per un match che selezioni il candidato premier. Tramontata la Dc che si avvaleva dell’apporto e del supporto delle associazioni cattoliche nonché delle parrocchie, il centrodestra ha perso il terreno fertile su cui coltivare il consenso popolare.
Per parecchi anni, il Cavaliere ha colmato la lacuna col proprio carisma; adesso che la star si è offuscata a causa delle note vicende, i cosiddetti moderati non hanno più lo spirito e la verve per organizzare manifestazioni di piazza, kermesse, congressi veri né, tantomeno, votazioni interne. Gli stessi dirigenti del Pdl sono privi della carica necessaria per impegnarsi in una impresa simile a quella realizzata dai loro principali avversari. Danno l’impressione di essere solo preoccupati di conservare quanto è rimasto del partito, onde non scomparire dalla scena e non cedere tutte le poltrone.

Può darsi che nel Popolo della libertà (o in Forza Italia, le etichette hanno un valore relativo) si riaccenda il sacro fuoco, un domani, ma in questo momento non si vedono bagliori. Ecco perché ha ragione Berlusconi a scuotere la testa solo a udire la parola «primarie». Lui nasce costruttore. O si rimette subito a costruire qualcosa di eccitante o il centrodestra è destinato a diventare un rudere. Non si aspetti un grande aiuto dai suoi collaboratori: sono delusi e smarriti, assai spaventati. Hanno bisogno di credere, altrimenti si sparpagliano al grido «si salvi chi può!». Vittorio Feltri, Il Giornale, 3 dicembre 2012

.….Ecco, finalmente c’è chi lo dice senza fronzoli e giri di parole: le primarie non sono di destra. E  non sono neppure italiane. Sono americane, sono nate lì un paio di cento anni fa, regolano da allora le lezioni  del Paese più grande del mondo, anzi della Democrazia più vera del mondo e di quella Democrazia, le primarie, appunto, sono  il pilastro e il cemento. Ma come tutto ciò che ha senso in un determinato contesto, vanno bene lì dove sono nate, e dove fanno parte del dna degli indigeni, cioè degli americani. Insomma, non sono esportabili. Quelle della sinistra italiana, spacciate enfaticamente come il clone di quelle americane, sono in realtà il risultato di una poderosa macchina organizzativa che prima l’Ulivo, poi il PD, hanno ereditato dal PCI che resta il tronco da cui poi sono nati tutti gli altri. E’ la poderosa macchina organizzativa ex o post comunista che riesce a mettere in scena una…sceneggiata quali in effetti sono le primarie che hanno incoronato Bersani vincitore e quindi candidato premier del centrosinsitra alle politiche prossime a venire. Non ve n’era bisogno visto che lo statuto del PD prevede che sia il segretario a correre come premier tra l’altro nell’ambito della legge elettorale chiamata porcellum. Ma il PD, furbescamente, non certo per dare retta al sindaco di Firenze, e dietro l’alibi delle primarie di coalizione, altra fantasoosa bugia, le ha indette per aprire e celebrare una camopagna elettorale lunga mesi e mesi, con i riflettori della stampa e della TV accesi e quindi consapevolmente complici di un vero e proprio raggiro degli elettori. Raggiro del quale non si è reso conto il centrodestra che pensando così di uscire dalla crisi, rose irrimediabile, in cui si dibatte ha pensato di scimmiorttare la sinistra inviocandole come panacea alla sua crisi. Non sarebbe così, non solo per le cose che oggi scrive con dura franchezza Vittorio Feltri, ma anche perchè non  le capirebbero gli elettori che  alle primarie preferiscono di gran lunga coraggiose scelte politiche che ponessero fine al teatrino dei tecnici che invece di salvare il Paese lo hanno affondato, distruggendo la cosa più importante: la speranza nel futuro. Purtroppo, e anche in  questo dobbiamo dar ragione a Feltri, la classe dirigente dello schieramento di centrodestra – non solo quella che si identifica nel PDL – ma più vastamente  quella che  si estende anche oltre i confin del PDL, è la più sgangherata e lameno opresentabile delle classi dirigenti. La colpa maggiore è di Berlusconi, ma grazie a Dio, tutti ci hanno messo qualcosa per giungere a questo risultato. E l’incaponimento di taluni – tipo Alemanno, o Aledanno come lo definisce Dagospia – nel voler percorrere la strada delle primarie con il rischio di un flop che trasformi le primarie del centro destra  in un rimedio peggiore del male testimonia sino a che punto si sia giunti e come è in rigida salita la ricostruzione di un centrodestra capace di ritornare a vincere. g.