IL PIANO CASA’ NESSUNO LO VUOLE MA TUTTI SE LO PIGLIANO
Pubblicato il 15 gennaio, 2013 in Economia | Nessun commento »
Quando nel marzo 2009 l’allora premier Silvio Berlusconi lanciò l’idea del “Piano casa”, per offrire al cittadino la possibilità di “effettuare interventi di ampliamento e/o ricostruzione della propria abitazione” e di “semplificare le procedure burocratiche inerenti lavori di edilizia”, sui media italiani scoppiò quasi il finimondo. Repubblica, non da sola, avviò una campagna martellante contro la nuova “legge truffa” (copyright del vicedirettore Massimo Giannini), colpevole allo stesso tempo di leso ambientalismo e di eccessivo liberismo. Scesero in campo, tra gli altri, anche il normalista Salvatore Settis, che parlò di “frutto di cinica improvvisazione in caccia di voti” fermato per un momento solo da “centinaia di morti”, disse riferendosi al terremoto in Abruzzo. Poi Andrea Carandini, archeologo e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che preferì l’espressione “legge scempio”. A quasi quattro anni di distanza, però, tutte le regioni italiane hanno confermato in questi giorni la volontà di proseguire con il Piano casa (unica eccezione, l’Emilia Romagna).
Molti governatori allora si dissero costretti da Roma a legiferare in materia. Il governo centrale infatti non poteva agire direttamente, così fu raggiunta un’intesa nella Conferenza stato-regioni nella quale si dettavano le linee guida; dopodiché le regioni approvarono i loro piani, ma con precisi limiti temporali, generalmente triennali. Come dire: proviamo, ma non ci crediamo, quindi siamo pronti a lasciar cadere tutto. Tuttavia in queste settimane, con Berlusconi via da Palazzo Chigi da un anno e Mario Monti dimissionario, non c’è regione che non abbia scelto di prorogare quei termini e continuare con il Piano casa, in maniera bipartisan e piuttosto felpata. “Le attese di un rilancio dell’economia sulla base del solo Piano casa furono esagerate. Ma certo oggi è venuto meno il pregiudizio politico del 2009 – dice al Foglio Luca Dondi, economista e responsabile Settore immobiliare di Nomisma – L’iniziativa già allora conteneva elementi positivi sull’aspetto della semplificazione delle procedure, ora questi aspetti positivi sono stati colti. Oggi poi ancora di più ci si rende conto che con un ‘mercato del nuovo’ in difficoltà, il settore immobiliare e delle costruzioni può limitare i danni soltanto con un rafforzamento della manutenzione”. E’ d’accordo anche Paolo Pietrolucci, presidente della Confedilizia di Roma e del Lazio: “Lo scontro fu soprattutto ideologico. Il Piano avrebbe poi avuto più successo se ci fosse stato un dibattito pubblico non incentrato soltanto sulla ‘stanzetta’ in più o in meno da costruire, ma su una più ampia opera di riqualificazione”. La Cgil, in un report appena pubblicato dal dipartimento Politiche abitative, parla di “numeri decisamente inferiori alle aspettative”, però non cita alcuna cifra. Piuttosto ammette che “spesso, comunque, le leggi di proroga sono intervenute anche sulle norme di sostanza dei piani casa originari, nel tentativo di allentare i vincoli o incrementare il numero di domande”. L’intesa base prevedeva aumenti volumetrici del 20 per cento per le abitazioni e del 35 per cento nei casi di demolizione e ricostruzione. La Basilicata, prorogando a dicembre il Piano casa, ha per esempio consentito ampliamenti anche per immobili condonati o per i condomini.
Dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) fanno sapere che l’aggravarsi della crisi e le ristrettezze del credito hanno “rallentato tutto”, ma ricordano che al momento le regioni dove sono state presentate più “istanze” per ampliamenti, ristrutturazioni e via dicendo, sono il Veneto (26 mila richieste al luglio 2011) e la Sardegna (6.500 richieste alla stessa data, poi per Confartigianato diventate quasi 20 mila nel 2012). Tra i principali quotidiani, soltanto il Sole 24 Ore, sabato, ha registrato le ultime proroghe arrivate “al fotofinish” in Toscana (governo di centrosinistra), Campania (centrodestra) e Piemonte (Lega): “I governatori di ogni colore politico – ha commentato Giorgio Santilli – hanno dovuto riconoscere (magari senza dirlo) che il piano casa berlusconiano coglieva il cuore del problema italiano: l’eccesso di vincoli, di burocrazia, di procedure può uccidere l’attività economica anche più micro”. Non era una “legge truffa”? Fonte:Il Foglio, 15 gennaio 2013