Nicola Cosentino era impresentabile, e dunque non è stato presentato nelle liste del Pdl in Campania. Sembra un’ovvietà, ma è una novità. Si è alzata l’asticella della decenza pubblica: gli italiani hanno fissato nuovi limiti a ciò che è consentito in politica, e ora tutti ne devono tener conto. Quest’anno non è passato invano. Mentre pagavamo i debiti dello Stato, ci sono diventati intollerabili i predatori insediatisi nello Stato. E bisogna ammettere che i nuovi arrivati, da Grillo a Monti, seppure in modi molto diversi tra loro, hanno contribuito a rendere inaccettabile ciò che lo è.
Il trauma nel Pdl è grande, perché escludere un imputato è più difficile in un partito il cui leader è a sua volta imputato in tre processi e vive in una condizione di guerra perenne con la magistratura. E perché è difficile per tutti, non solo per dei garantisti, prendere una decisione che tra qualche settimana aprirà le porte del carcere preventivo all’ex deputato Cosentino, accusato di essere un «colletto bianco» della camorra (del resto un anno fa l’ex ministro dell’Interno Maroni, oggi principale alleato di Berlusconi, votò ostentatamente a Montecitorio per il suo arresto). Ci sono volute 72 ore di feroce battaglia politica e un epilogo tra il drammatico e il farsesco, con l’escluso accusato di fuggire con le liste, il caos per ricostruirle, il sospetto su chi tra i suoi sponsor gliele avesse date.

Eppure, sebbene la presunzione di innocenza valga anche per Cosentino, non c’era bisogno dei sondaggi per capire che quella candidatura avrebbe politicamente sfregiato la coalizione di centrodestra. Al Nord ma anche al Sud, dove perfino il governatore pdl della Campania, Stefano Caldoro, aveva posto il suo aut aut: «O lui o me». Spinto da un Alfano tornato a combattere una battaglia di rinnovamento del partito, alla fine Berlusconi ha detto no.
Purtroppo però non tutto è bene ciò che finisce bene. Intanto Cosentino ha dato una preoccupante dimostrazione di forza. Per il Cavaliere è stato più facile mettere da parte Dell’Utri, sodale di una vita, che il ras della Campania. Perché? Le minacce dell’escluso («Vi sfascio, vi rovino») fanno pensare che almeno in Campania il Pdl sia più una truppa di capitani di ventura che un partito, e che qualcuno di loro abbia accumulato abbastanza potere da ricattare il re. L’autoriforma di quel partito deve cominciare da lì: democrazia interna e collegialità.
Il secondo problema sta nel fatto che, ancora una volta, i partiti si sono dovuti far scrivere il copione dai giudici. Questo riguarda anche il Pd, che pure con ben altra decisione ha tolto dalle liste i suoi «chiacchierati». Alcuni di loro però avevano addirittura fatto e vinto le primarie. Ci vuole dunque una legge che regoli la vita dei partiti, del resto prevista dalla Costituzione. E ci vuole una riforma elettorale che dia agli elettori il potere di scegliere i parlamentari, invece che a un sinedrio o a un capo.
Infine bisogna ricordare che l’impresentabilità non è un aspetto solo penale. Di relitti di una politica arrogante e incapace, pur senza avvisi di garanzia, nelle liste ne sono rimasti parecchi. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 22 gennaio 2013