Attenzione, i nemici non sono Bersani o Grillo, che ad abbattere Berlusconi ci hanno provato senza successo.

Ancora una volta il pericolo arriva dalla magistratura che, come dimostra il patetico caso Ingroia, era ed è politicizzata. E da ieri pure furente per la sonora bocciatura subita nelle urne da Rivoluzione civile, il partito dei pm manettari e dei giornalisti complici. Direte: ci risiamo con la menata della giustizia. Già, ci risiamo. E attenzione a non sottovalutare il problema. Perché il tribunale di Milano ha stilato un calendario di udienze e sentenze che riguardano Silvio Berlusconi che non ha precedenti nella storia. Eccolo: venerdì requisitoria del processo di appello per i diritti Mediaset, che andrà a sentenza il 23 marzo (presunta tangente pagata da Berlusconi a se stesso). Il 7 marzo sentenza per il processo Unipol (la pubblicazione dell’ormai famosa intercettazione: «Abbiamo una banca» pronunciata da Fassino). L’8 marzo, festa della donna (guarda caso), requisitoria della Boccassini per il processo Ruby, che andrà a sentenza il 18 o al più tardi il 25 dello stesso mese.
Una concentrazione tale di appuntamenti è incompatibile, oltre che con il buon senso, con i diritti della difesa e dell’imputato, che peraltro negli stessi giorni sarà impegnato a decidere se, come e con chi governare il Paese su mandato di una decina di milioni di italiani che, pur sapendo tutto, ma proprio tutto dei suoi presunti guai giudiziari, ha deciso di confermargli per l’ennesima volta un’ampia fiducia.
Questa ultima porcata ha un obiettivo chiaro: indebolire e delegittimare il leader del centrodestra agli occhi degli italiani e del mondo nei giorni della trattativa più delicata per la sinistra che, dopo aver perso la faccia nell’urna, ora rischia anche tutto il resto in Parlamento. Insomma, ci risiamo. Più il Pdl tiene, più il suo leader deve essere abbattuto per altre vie, nella fattispecie quella giudiziaria.
Calcolare i tempi dei processi in base alle esigenze politiche della sinistra è da criminali, oltre che incivile. Basterebbe congelare le prescrizioni e rinviare lo show a dopo il chiarimento politico. Questione di poche settimane per fatti (sulla cui fondatezza vi rimando all’articolo di Luca Fazzo) datati anni e anni fa. Non sarebbe la fine del mondo. Ma Ingroia insegna. Il loro mondo non è il nostro, è fatto di odi, partigianerie e impunità. Almeno che Napolitano ci metta una pezza e richiami tutti all’onestà che dovrebbe avere chiunque abbia deciso di servire lo Stato. Il Giornale, 27 febbraio 2013