Era dal 1980 che i moderati non scendevano pacificamente in piazza. Era ottobre e 40mila dirigenti della Fiat sfilarono per le vie di Torino contro i sindacati che avevano paralizzato la fabbrica con scioperi, picchetti e violenze quotidiane.
Chiedevano, i dirigenti, la libertà di lavorare. Ieri erano solo, si fa per dire, in duecento, quanti sono i deputati e senatori del Pdl. Hanno marciato su Palazzo di giustizia di Milano per manifestare contro quella magistratura che ha sferrato un attacco micidiale per togliere dalla scena politica Silvio Berlusconi. Ormai siamo oltre l’accanimento, c’è chiara la volontà di umiliare un imputato, di farlo passare per malato immaginario quando fior di specialisti di fama internazionale giurano sulle precarie condizioni del suo cuore e dei suoi occhi.
Il clima d’odio montato dalle Procure ha raggiunto livelli da barbarie e pericolosamente coinvolto anche gli specialisti che hanno in cura il presidente. Insulti e minacce non stanno risparmiando neppure il professor Zangrillo, primario del San Raffaele e medico privato di Berlusconi, al quale invece andrebbero le scuse della Boccassini per aver messo in dubbio le sue diagnosi, confermate ieri pomeriggio dai periti medici nominati dal tribunale.
Quel far west che era la Fiat di trent’anni fa, e che originò la marcia silenziosa dei giusti, è molto simile al far west di oggi delle Procure: abusi, arbitri, violenze, la legge sterzata a uso e consumo personale da parte di una categoria, quella di pm politicizzati, che per ben 24 volte negli ultimi 18 anni ha dato l’assalto a Berlusconi senza riuscire a ottenere una sola condanna definitiva tanto erano infondate le accuse.
La manifestazione di ieri ha placato per qualche ora la furia delle toghe, nonostante da Napoli sia arrivata la richiesta per un nuovo processo. Ma per andare oltre occorre tenere il problema sul piano politico. Serve un segnale forte di pacificazione che ripristini un senso di giustizia e di garanzia per gli oltre otto milioni di italiani che hanno appena riconfermato fiducia in Silvio Berlusconi e nel Pdl. Oggi il segretario Alfano ne parlerà con il presidente Napolitano, dal quale ci si aspettano parole importanti. Altrimenti la battaglia, oltre che nelle piazze, si sposterà in Parlamento con forme e modi drastici. Perché, come dimostrato ieri, senatori e deputati del Pdl non sono più disposti, finalmente, a sopportare oltre. Nel caso, e per quel poco che conta, avranno tutto il nostro appoggio. Il Giornale, 12 marzo 2013
………………La marcia dei 40 mila dipendenti della Fiat, lungo le strade di Torino, per lo più operai e quadri, stanchi delle soperchierie dei sindacati rossi fu un segnale ma anche la tromba che suonò la carica della riscossa della gente comune che voleva lavorare e anche più semplicemente non subire le angherie di prepotenti che si nascondevano dietro il paravento sindacale per nascondere la loro indole e i loro obiettivi. La “marcia” segnò uno spartiacque nella storia italiana, ponendo fine alla stagione delle violenze rosse che avevano insanguinato il Paese. Ora c’è un’altra la violenza, quella che che taluni pm politicizzati perpetrano nelle aule di giustizia, trincerandosi dietro l’autonomia dell’ordine giudiziario e talvolta dietro il principio della obbligatorietà dell’azione penale per sferrare attacchi inauditi ai dirigenti e milianti di destra. Autonomia che spesso invece sono gli stessi magistrati a violare e l’obbligatorietà dell’azione penale che vale verso alcuni ma non per tutti. Ciò accade anche perchè l’ordine giudiziario non è sottoposto ad alcun controllo ma ad un organo interno alla giustizia, il che rende spesso problematico ottenere per loro ciò che essi chiedono per i comuni cittadini: rispetto della legge e prima ancora rispetto per il bene più prezioso, cioè la libertà personale. E’ di queste ore la notizia, clamorosa, che le fotografie che avrebbero dovuto inchiodare Ottaviano Del Turco, all’epoca del suo clamoroso e scenografico arresto, presidente dell’Abbruzzo, alle sue responsabilità di percettore di tangenti, non mostravano un bel niente benchè il procuratore dell’Aquila assicurò che la loro visione era la prova decisiva. Oggi in Aula l’avvocato di Del Turco ha mostrato le foto nelle quali non è ritratto un bel niente per cui la prova regina è svanita nel nulla, mentre restano le accuse di un imprenditore che da subito apparve poco credibile ma le cui accuse, si disse, erano suffragete da prove. Prove oggi svanite mentre resta la gogna mediatica cui fu sottoposto Del Turco, costretto a dimettersi e ridotto in carcere come un malfattore. Nessuno conosce l’esito del processo ma sin d’ora ci chiediamo: quel procuratore che sulla scorta di fotografie inesitenti ordinò l’arresto di Del Turco pagherà per il suo errore? E’ solo questa, o almeno questa, la riforma che vogliamo della giustizia. Che paghino anche i magistrati che sbagliano, come qualsiasi altro. g.