Immaginiamo per un momento di vivere in un Paese con una classe politica seria, preoccupata delle difficoltà che ci tormentano da un tempo ormai lunghissimo. Questa classe politica avrebbe preso atto immediatamente che dalle urne del 24 febbraio non era uscito un vincitore capace di formare subito un governo e che il vero trionfatore (il movimento di Grillo) non aveva alcuna intenzione di fare accordi con gli altri partiti. Avrebbe imboccato la strada faticosa del dialogo tra le altre forze politiche (sinistra, centrodestra e montiani) per un’intesa che mettesse da parte le ostilità e la propaganda. Un accordo con pochi punti di programma per tirare fuori l’Italia dalla crisi. Non è impossibile, è successo in Paesi come la Germania e l’Olanda che hanno avuto leader politici consapevoli del proprio ruolo. Un mese e mezzo è invece passato da quel voto e nulla è accaduto. Siamo nel pieno di una commedia all’italiana che una volta divertiva e ora solo preoccupa l’opinione pubblica.

Un numero incredibile di giorni è stato perso da Pier Luigi Bersani nell’ostinato tentativo di convincere qualche parlamentare grillino a dargli il via libera in Parlamento. Tra le pagine più umilianti della sinistra italiana resterà certamente l’incontro con i due capigruppo del Movimento 5 Stelle, con la supplica a trovare un accordo respinta con supponenza. Bersani è tornato a mani vuote dal capo dello Stato, il suo preincarico è svanito. Si è ritirato in un silenzio misterioso ma il suo circolo magico non trova di meglio da fare che alimentare una guerra fratricida con Matteo Renzi, l’unico leader in cui gli elettori della sinistra sembrano conservare ancora fiducia.

Lo spettacolo offerto dal movimento grillino e dal suo leader è per alcuni aspetti ancora più preoccupante. Dalla messa in scena dell’«uomo mascherato» (l’ex comico che si traveste per sfuggire ai giornalisti) alle continue minacce di espulsione per chi ha un’opinione diversa da Grillo e Casaleggio. Dalle prestazioni parlamentari in stile «dilettanti allo sbaraglio» alle scampagnate con il trolley per destinazioni sconosciute dove ricevere il verbo del capo. Il voto di protesta degli italiani che hanno scelto M5S meritava tutto questo?

Di quello che resta dell’alleanza centrista c’è poco da dire: tanta litigiosità interna e scarsa rilevanza. Il Pdl infine, anzi Silvio Berlusconi, perché del partito si sono perse le tracce. Dal suo ritiro di Arcore arrivano segnali contraddittori: un giorno si suona la carica del ritorno al voto, un altro si chiede a un Pd riluttante di garantire l’elezione di un presidente della Repubblica espressione dei moderati e la formazione di un governo di larga coalizione.

Per non farci mancare nulla abbiamo anche avuto saggi che non dimostrano un briciolo di saggezza, parlando a ruota libera. La scena politica è sempre più dominata dai blitz telefonici della dissacrante trasmissione radiofonica La Zanzara e dalle imitazioni di Crozza.

Restano poco più di dieci giorni per mettere fine al più incredibile dopo voto della storia repubblicana. I partiti e i loro leader possono ancora dimostrare che sono in grado di trovare un’intesa sul nome del nuovo capo dello Stato, che sarà eletto dal 18 aprile. Una personalità che rappresenti l’unità nazionale e sia dotata di forza politica e credibilità internazionale. Una scelta unitaria che può aprire la strada a un governo che si concentri sull’emergenza economica e sociale, realizzi finalmente le riforme per la moralizzazione della politica e dei suoi costi, vari una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere i parlamentari e l’esecutivo.

Lo chiamino come vogliono: governo di larghe intese, di scopo, istituzionale, di tregua. La cosa importante è che definisca un programma limitato ma incisivo e che abbia la durata sufficiente per realizzarlo. Alle domande contenute nel voto di protesta non si risponde scimmiottando o inseguendo gli umori alterni dei nuovi eletti a Cinque Stelle ma mettendo in campo misure efficaci per aiutare le imprese che chiudono e gli italiani che perdono il posto di lavoro. Senza ostilità preconcette e complessi di superiorità di cui non si sente davvero il bisogno. da Il Corriere della Sera, 7 aprile 2013