Niente usato sicuro. Ringiovanimento, competenza, donne, nessun falco, qualche sorpresa e un primato. Soddisfazione sobria, per usare le parole dello stesso premier Letta, per il nuovo governo che oggi giurerà nelle mani del suo «padre putativo», Giorgio Napolitano. E un sospiro di sollievo.

Fermo restando che non sono la differenza di genere né l’anagrafe le discriminanti di un esecutivo di successo che vince con la professionalità e il talento per affrontare le problematiche del Paese, fa piacere che ci siano sette donne tra cui due, Bonino e Cancellieri, in dicasteri di grande peso come gli Esteri e la Giustizia. Inoltre, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, c’è una ministra di colore deputata del Pd.

Un governo non snello, 21 componenti, sovradimensionato a sinistra (non quella bersaniana), ma fatto di persone di qualità che non dovrebbero cedere ai personalismi e quindi capaci di amalgamarsi e lavorare con un unico obiettivo: la salvezza dell’Italia. Confermata la promessa (obtorto collo) di non volere mettere paletti e Berlusconi incassa 5 ministri del Pdl con, in particolare, quello dell’Interno per il segretario Alfano che diventa anche vicepremier. Gli altri entrati, a parte la De Girolamo (lei che offese i contadini veneti all’Agricoltura) nessun fedelissimo ma tutti uomini di Angelino. E proprio Alfano con il collega Lupi e Mauro (di Scelta civica, già saggio) insieme allo stesso Letta, sono e saranno i magnifici quattro che hanno un ruolo per così dire «democristiano» (le origini non mentono), quello di collante di un governo di larghe intese, nato con 2 mesi di ritardo.

Non va al Pdl il ministero dell’Economia che sarà guidato da Saccomanni, il supertecnico capace di affrontare la Germania, che se non fosse stato ostacolato dall’allora ministro Tremonti, oggi sarebbe governatore di Bankitalia. Un ministero, però, al quale il Cavaliere ambiva per realizzare quelle riforme, dall’abbattimento del credito fiscale all’abolizione dell’Imu, su cui ha impostato il pre e post elezioni.

Da domani, quando Letta chiederà la fiducia, si capirà se questo governo politico, l’unico che poteva nascere, come ha ribadito con sollievo Napolitano, sarà un esperimento che andrà avanti e se sarà in grado di sciogliere i nodi che stanno soffocando il Paese: dare sicurezza ai conti pubblici ancora in bilico, abbassare il rigore, trovare i soldi per la cassa integrazione, risolvere il rebus degli esodati, garantire i 40 miliardi di crediti alle imprese, discutere la legge di bilancio per il prossimo anno, trattare con Bruxelles che vuole mettere fine all’austerity e Berlino che non ne vuole sapere.

La prospettiva? Se ci saranno risposte di qualità l’innovativo governo Letta andrà lontano, altrimenti sarà una bomba a orologeria. Timer giugno 2014, elezioni europee. Sarina Biraghi, Il Tempo, 28 aprile 2013