La Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna (4 anni di carcere e 5 di interdizione dai pubblici uffici) per Silvio Berlusconi, imputato nel processo sui diritti Mediaset, cioè l’acquisto nei primi anni Duemila di diritti per film americani da proiettare nelle sale e nelle tv italiane. Al gruppo Mediaset, che all’epoca dei fatti era il primo contribuente italiano, viene imputata una presunta evasione fiscale di pochi milioni compiuta da dirigenti infedeli (beccati e licenziati in tronco all’epoca dei fatti). Berlusconi è l’unico capitano d’industria che per i giudici non poteva non sapere che cosa combinavano i suoi manager, privilegio invece concesso quando nei guai sono finite le aziende, per esempio, degli Agnelli, dei De Benedetti e di importanti banchieri.

Continua dunque il doppio binario della giustizia. Quello riservato all’ex premier prevede procedure anomale, esclusione di testimoni chiave, non rispetto dei diritti della difesa, pene sproporzionate e tempistiche regolate per interferire sulla vita politica. È lo stesso film da 18 anni, e ancora non si vede la fine. Perché così come è successo in passato ben 32 volte su 32, difficilmente una sentenza così sgangherata supererà l’esame finale della Corte di Cassazione. Da oggi quindi riprende fiato il coro giustizialista che vorrà portare questa sentenza sul piano politico per fare saltare governo e pacificazione, un tranello dal quale mi auguro Berlusconi e il Pdl stiano alla larga, affidandosi alla saggezza dei giudici superiori. Una scommessa rischiosa, ma che vale la pena affrontare pur urlando forte la propria innocenza e l’affronto subito come è nel diritto di qualsiasi cittadino che si ritiene condannato ingiustamente. Lo fece, a ragione e tra lo scherno dei più, Enzo Tortora. È capitato più di recente al ministro Saverio Romano, massacrato da un’inchiesta infamante dalla quale è uscito alla fine completamente pulito. È successo, parliamo di pochi giorni fa, all’affarista Coppola, arrestato, perseguitato e rovinato da pm impazziti per poi ritrovarsi, a distanza di anni, prosciolto per non aver commesso il fatto.

Non è vero che ciò che viene deciso in aula di giustizia è la verità a prescindere. Alcuni pozzi sono avvelenati da tempo e in queste ore c’è chi continua a inquinare l’aria. Per esempio sostenendo che Nitto Palma non è persona degna a ricoprire la carica di presidente della Commissione Giustizia della Camera. Che cosa avrebbe di indegno? Vediamo. È un ex magistrato, come il neopresidente del Senato Grasso, è un ex magistrato ed ex ministro, come la Finocchiaro, ritenuta invece abile a occupare posizioni ben più prestigiose. E allora? Una differenza c’è: non è di sinistra ed è stato eletto nelle liste di Berlusconi. Così vanno le cose, ancora oggi, in questo Paese. Alessandro Sallusti, 11 maggio 2013